L’ASCETICA DI CORRADO
Breve sintesi a cura di Michele Di Gabriele
per “L’Araldo di San Corrado web”
Elaborazione di un testo inserito nel volume agiografico
“S. Corrado Confalonieri il cercatore di Dio” – Piacenza 2005
Il Santo Corrado, si ritirò in un luogo appartato, “secessit ad remotiora”;
il luogo appartato è per l’eremita “orationis locus”, luogo di preghiera.
La preghiera dell’eremita che si ritira dal mondo è favorita dal luogo
“adiuta loco”, è impreziosita dalla solitudine “honorata secreto”, e arriva
più facilmente al cielo “facilius nubes...penetraret”.
San Corrado nella sua vita solitaria ha acquisito particolari grazie e virtù.
La vita solitaria è per l’eremita: patria della fede – fidei sedem – Arca
della virtù – virtutis arcam – santuario della carità – caritatis sacrarium
– patrimonio di spiritualità – pietatis thesaurum – fonte della santità –
iustitiae prontuarium.
S.Corrado lascia la sua patria natale, Calendasco e Piacenza, partendo
pellegrino alla volta dei luoghi santi di Roma. Giunge dopo un lungo
viaggio presso la Valle delle Celle per poi trasferirsi ‘alli Pizzoni’ di Noto in Sicilia.
L’abbandono della patria terrena fisicamente, è richiesto a chi desidera
vivere nella solitudine eremitica per darsi quindi alla contemplazione di Dio.
Questo abbandono, che prefigura il pellegrinaggio alla patria Celeste, è
chiamata “xeniteia”; il Santo Corrado mette in pratica un corretta
“xeniteia”, recidendo i legami con la sua terra d’origine, con i parenti, gli
amici, cose e beni materiali.
Solo più tardi, secoli dopo, con la elevazione alla santità, si riscoprirà la
“originem terrenam” del Santo Corrado e si ricucirà un aspetto
importante perduto secoli prima con la xeniteia. Egli lasciando tutto,
potrà darsi alle ‘cose’ di Dio in piena libertà dagli affanni del mondo.
Con umiltà, coltiva l’oblio delle cose terrene, “immemores terrenorum”
e disprezza la ricchezza “abiciunt divitias”, sceglie la povertà “egere
malunt” per avere la speranza ed il desiderio dei beni celesti.
S. Corrado guarda benigno alla piccola minoranza positiva dell’eremo di
Calendasco e da essa trae forza: qui temprerà il suo spirito nel periodo
più decisivo e cruciale di tutta la sua ascesa religiosa. Gli eremiti
penitenti di Calendasco che lo hanno accolto alla prima conversione,
sono chiari esempi di ottima vita di pietà religiosa ed evangelica, di
progresso morale e spirituale.
Egli accetta la proposta religiosa-spirituale dei penitenti francescani, essa
richiede una adesione alla fede così assoluta e radicale che lo spingerà
esplicitamente alla scelta ascetica e monastica quale espressione ottimale
del “secessus” dal mondo.
E’ la conversione che “significa assumere un modo diverso di pensare e
di agire… significa liberarsi dagli idoli che ci siamo creati e che legano
il cuore”.
Ritirato alfine nella grotta fra la brulla montagna della valle di Noto,
S. Corrado si dedica allo studio della Sacra Scrittura in maniera intensa.
Corrado quando giunge presso la grotta di Noto è già da un pezzo ‘ricco
di Cristo’; spogliato dei beni terreni ora vale più dei giovani per l’età e
più dei vecchi per la santità; ha la mente illuminata e con intensità brama
a quel luogo di solitudine, dimenticato.
Corrado è convinto che i beni da lui trattenuti sarebbero stati una
distrazione continua per il pensiero. Essendo il pensiero rotto dal
possesso dei beni, i ‘pensieri superiori’ sulle cose spirituali e di
comunione fraterna ne sarebbero anche essi distolti.
Non è facile entrare nella coscienza di Corrado in modo netto e chiarificante
ma possiamo sostenere con quasi certezza che la svolta è stata estrema. Si
legge nella pergamena che fu deposta nel sarcofago del santo, che ne narra
la Vita, che “Il beato Corrado fu di Lombardia, di una città chiamata
Piacenza, ed egli fu dei maggiori uomini e gentili di Piacenza”.
Corrado, sotto la guida del padre spirituale Aristide nel romitorio di Calendasco,
impara che i sani non
frequentano la casa di cura: “Dio è la vita e la salvezza di quanti ha voluto
creare, proprio di tutti, fedeli e infedeli, giusti e ingiusti, pii ed empi,
schiavi delle passioni o liberi da esse, monaci e secolari, dotti e indotti,
sani e ammalati, giovani e non più giovani. Essendo effusione di luce e
sole degli spiriti, a questi concede la sua luce in misura diversa ma in
modo imparziale, perchè in Dio non c’è accezione di persone. Il cristiano
secondo l’umana possibilità imita il Cristo aderendo in parole opere e
pensieri alla fede nella santa Trinità, correttamente e irreprensibilmente
il cristiano non trascurerà di fare del bene per quanto sta in lui.”
Si noti come Francesco d’Assisi mostri un recupero dell’esperienza
spirituale antica, quando afferma a chi è rivolto il messaggio evangelico:
“qualsiasi fedele, ricco, povero, nobile, non-nobile, senza valore, brillante,
0prudente, semplice, chierico, illustre, laico nel popolo cristiano”.
Corrado è stato folgorato da questa frase: accortosi che Dio è vita e salvezza
aderisce secondo la sua possibilità a Cristo, la sua vita secolare, sebbene
nobiliare cavalleresca, non gli è di impedimento ad una conversione piena.
Questa conversione significa due cose: 1) ricominciare da zero la sua vita
materiale, adattandola al monachesimo-penitenziale e 2) coltivare una
vita spirituale graduale, che porti l’affidamento fatto nella fede, ad una
maturazione profonda ed unica in Dio.
Corrado non si è tirato indietro: una conversione totale, al pari del suo
padre spirituale nell’ideale di povertà e cioè il Santo d’Assisi Francesco,
che ormai in quegli anni tanto aveva segnato le genti e gli animi. E del
francescanesimo era già da tempo, dagli anni della sua più fortunata
diffusione, che Corrado ne respirava l’ideale.
Michele Di Gabriele