LETTURE DEL BLOG N. 120.882 AL 24 GENNAIO 2024
I CONFALONIERI
Casata egemone
carte e atti notarili
sono una fedele

testimonianza storica


di Umberto Battini
agiografo di San Corrado



La Casata dei Confalonieri a Piacenza e nel territorio ha radici molto lontane, già nel 846 compare nominato Anduyno de Confalonieri in una carta relativa a Bobbio per il diritto dei benedettini di navigazione libera sui fiumi Po e Ticino. Piacenza in età longobarda aveva la sede di un Ducato, mentre i carolingi la resero centro d’un Comitato. Nel Registrum Magnum di Piacenza troviamo nominati i Confalonieri in tanti atti della comunità: suore nel monastero di S. Giulia di Brescia che aveva i diritti per la navigazione sul Po, il porto e traghetto posti al nord-ovest di Piacenza, tra i quali quello appunto di Calendasco, nel 1198 erano la domina Helena Confanoneria e la domina Mabilia Confanonera.




In un’altra carta del 1277 compare nominata sempre per diritti relativi al Po, Leonor Confalonieri ed in un Cartula societatis fatta a Piacenza il 17 febbraio 1200 si legge di Arduino Confanonerius che chiede per sè e per Giovanni Rogna il diritto di estrarre acqua dal Nure per mezzo di un canale, per portarla a due molini in costruzione.

Sappiamo con certezza che erano al servizio del Vescovo nei secoli XI – XIII, ed in quanto famiglia guelfa a seconda dei momenti politici di Piacenza, subirono come altre casate nobiliari momenti positivi e periodi di aspra contesa e lotta ed i Confalonieri erano “antichi capitanei episcopali che si erano inseriti nella lotta per il predominio cittadino ed avevano assunto il potere assieme ai capi della fazione nobiliare che nel 1310 aveva battuto Alberto Scotti”. A Piacenza dopo il 1220 si impone il sistema politico retto dal Podestà, che diventa arbitro tra le varie fazioni, nel 1242 troviamo in carica Manfredo Confalonieri.

E’ una Casata molto prolifica, ad esempio in carte del 1282 e 1283 troviamo citati vari componenti: Jacopo Confalonieri con i figli Alberto, Bernabò e Filippino ed ancora Bernardo figlio di Oprando Confalonieri.

Ai Confalonieri era espressamente riservato il controllo dei passi sul Po e quindi anche la relativa riscossione delle gabelle per transitare lungo l’alveo piacentino del Po per certi ben definiti tratti. Calendasco nei secoli X – XII era sottoposto alla giurisdizione del Vescovo-Conte di Pacenza e nel 1162 il Podestà che aveva messo personalmente il Barbarossa, Arnaldo detto il ‘Barbarava’, restituisce al vescovo di Piacenza Ugo poteri e diritti, tra cui quelli sopra agli abitanti del distretto e del territorio rurale nei dintorni della città; su questo territorio era l’importante strada di origine romana, Placentia-Ticinum (Piacenza-Pavia) e poco discosto dal burgi Calendaschi era il porto sul fiume ed il traghetto. Piacenza vedeva confluire sul suo territorio tre grandi vie: “La prima, la ‘via francigena’, conduceva i pellegrini che venivano dai paesi ‘franchi’ per andare a Roma. Essa sboccava sul Po, varcandolo a nord di Piacenza attraverso un passo che non era controllato dal governo comunale perchè, dall’età longobarda, si trovava in possesso del monastero di S. Giulia di Brescia. La ‘via francigena’ attraversava da ovest a est il territorio piacentino...”.


Sul porto della Via Francigena rientrante nel contado di Calendasco, abbiamo la Cartula concordie et pacti fatta tra piacentini e ferraresi per avere libero movimento sul Po e garanzia per cose e persone: “... Et Ferrariensis debe esse salvus et custoditus in persona et in habere in Placentia et in districtu Placentie, et non debet dare aliquam dationem in Placentia vel in districtu Placentie, nisi duos solidos de fune navis et unam libram piperis super rivum et unam aliam libram piperis ad Roncarolum de sterio...”, nessuna tassa quindi, ma solo una piccola parte in denaro e pepe – spezia preziosissima nel medioevo – da pagare al porto di Sopra rivo, che è a soli due chilometri da Calendasco. Una carta del 1056 parla dei beni venduti che sono in eodem loco Calendasco e che sono posti desuper strata Romea in integrum e queste terre hanno degli appezzamenti sui quali è possibile costruire delle case e fattorie, cioè sedimen, ed ancora terre arabilis atque gerbidis et buscaleis cum illorum areis insimul iuges viginti quinque”, tra l’altro queste ‘boscaglie’ poste intorno a Calendasco possono ben adattarsi all’incendio che San Corrado provocherà nel primo 1300.


La chiesa sorse sopra un monticello assieme al primo nucleo del castello, dalle carte longobarde sappiamo che l’oratorio di S. Maria riceveva dai rustici, la decima. Un diritto riservato alle chiese insigni pievane, Calendasco però aveva la particolarità di essere feudo diretto del Vescovo di Piacenza nel XI secolo e quindi per proteggere le popolazioni che qui risiedevano per lavorare le terre si costruì un recetto.

Oggi il recetto appare addossato al castello maggiore ed ancora nel 1500 nei documenti si evidenzia la distinzione tra ‘castello’ e ‘recetto’: i recetti, che sono depositi dei generi prodotti dal lavoro della terra, sorgono a protezione delle popolazioni rurali e degli ammassi di cereali, biade e vino. Nell’Estimo farnesiano alcune case sono a confine con la fossa del rezeto oppure con la piazza del rezetto, ma già nel 1461 in accordi tra il sacerdote Guglielmo De Ferrari e i Confalonieri, veniva deciso il libero passaggio sul ponte che immetteva al recetto.

Questi ‘recinti difensivi’ detti recetti hanno al loro interno abitazioni provvisorie; col tempo i recetti è provato che divengono nuclei importanti per un successivo centro abitato; il recetto di Calendasco, di proprietà vescovile nei secoli X-XII, è sorto lungo la strata romea, “percorso su cui in epoca medievale si doveva ancora rilevare il lisostrato di età romana”.

Le carte più antiche che ci parlano dei Confalonieri conservate nell’Archivio della chiesa di Calendasco datano a partire dal 1461, ma in Archivio di Stato di Piacenza se ne conservano da ben prima di quella data e per buona parte comunque inedite. Il documento fatto dal notaio nel rezeto Calendaschi il 19 ottobre 1448 ci fa intendere che esso era attaccato al castrum, compaiono i Nobili Confalonieri e nel recetto vi abitavano più persone. Una carta del 1447 ci dice che una persona che aveva dimora dentro al recetto viveva distintamente sub lege romana, il presbitero che compare in questo periodo è Guglielmo de Ferrari.

La carta del 12 gennaio 1461 è stata fatta nella Curia di Piacenza, alla presenza del Preposto Paolo Malvicini De Fontana, con i notai piacentini Antonio Gatto e Pietro De Jerondi, essa interessava il Dominus presbiter Gulielmus de Ferrariis rector ecclesiae sanctae Mariae de Calendascho Placentinae Diocesis ed anche i Nobilis vir Bernabos de Confanoneriis filio Divi Ludovici, la Nobil Donne Helena matris suae, viene pure citato Antonio Confalonieri ove si specifica che è fratello di Bernabò e Magdalena, la quale ritengo con certezza essere la stessa che ritroveremo come Abbatissa nel monastero di S. Chiara di Piacenza nei primi anni del 1400, e si cita anche il Marchese di Piacenza Malvicini De Fontana. Queste concessioni tra i Nobili e il parroco della chiesa, vanno ad interessare terre casamentate et in parte canelate poste in burgo dicti loci Calendaschi: tra l’altro comprendono un ben definito jus irrigandis ed uno jus cimitterius. Le terre sono poste vicino al castello incipiendo strata introitus dicti riceti sive roche sive castri Calendaschi, od anche hanno confine versus sera Tantum Castrum,scopriamo che quello che oggi è un semplice grande canale, qui è citato quale flumen Ranganelle vivue e flumen Ranganelle mortue, alcune coerenze sono con il rivo Macinatore, rivus macinatorius di proprietà dei Nobilis de Confanoneriis ai quali appartiene il cavo adaquatorium; quali testimoni del cambio e permuta di terreni, si citano venerabilis Dominus Jacobi de Ambrosii canonico della Chiesa maggggiore piacentina (la Cattedrale) e Antonio de Abiatici Arciprete della Pieve e Chiesa di S. Germano di Podenzano. Una stipula di enfeteusi del 1670 ha coerenze con la strata campestra mediante fossato divisorio mentre la terra è libera cioè allodiale et franca con però l’obbligo di non alienare ne vendere ab aliquo loco religioso ne militare, la carta si conclude con il segno del notaio, con valore di sigillo che attesta la pubblica fede e l’autentica dello scritto.

E’ da notare che nelle carte Calendasco ha dignità di Borgo, cioè rientrava in quel ristretto nucleo di luoghi che avevano preminenza su altri minori, tra 1200-1300 sappiamo che i più importanti borghi posti sulla Via Francigena erano Fontana Fredda, Fiorenzuola d’Arda e Calendasco. Inoltre con rogito notarile tutta l’area a nord-ovest di Piacenza prossima al Po, fu ceduta dagli Scotti al vescovo di Piacenza proprio negli anni della maturità di San Corrado.

Quali feudatari i Confalonieri stilarono per mano dei vari notai che nel tempo si susseguirono, vari atti direttamente a Calendasco in castro.


Altre notizie con i riferimenti d'Archivio di Stato nel volume curato da U. Battini
"San Corrado Confalonieri i documenti inediti piacentini" 2006 Calendasco di Piacenza


Per approfondire

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