LETTURE DEL BLOG N. 120.882 AL 24 GENNAIO 2024
BREVE VITA DI SAN CORRADO CONFALONIERI TRATTA
DALLE FONTI STORICHE E DALLA TRADIZIONE ANTICA
Il giusto deve giudicare la sua vita in confronto con gli esempi dei
migliori, poiché gli esempi, quasi sempre, colpiscono più delle parole.
Cronaca francescana di Tommaso da Eccleston.
San Corrado della nobile Famiglia dei Confalonieri nasce nel 1290 a
Piacenza in Castrum Calendaschi, non molto lontano dalle rive del fiume Po.

Fin dalla giovinezza è addestrato agli usi ed ai costumi della cavalleria;
nelle campagne prossime alla città Corrado è solito andare a caccia.
Assiste anche allo sviluppo dell’Ordine francescano ed al gran numero di
laici che vi aderiscono: a Piacenza i Confalonieri sono stimati come
apertamente schierati con i guelfi, di salda fede papale.
Anche nel borgo di Calendasco, poco discosto dal suo maniero, vi è un
piccolo eremo-hospitio per pellegrini e poveri gestito da frati Penitenti
riconosciuti nell’Ordine Terziario di S. Francesco.
Corrado è un giovane dedito ai piaceri della sua posizione nobiliare feudale,
una mattina prossima all’estate, verso l’anno 1315, di buon ora esce
accompagnato dai suoi servitori, per una battuta di caccia nella campagna.
Nonostante i battitori e l’uso di cani da caccia, pare che la vegetazione
incolta sia un utile rifugio alla selvaggina, e quindi Corrado ordina ai suoi
uomini di appiccare piccoli incendi alla radura ed alle sterpaglie
prossime all’incolto.
Purtroppo un vento possente aiuta il divampare delle fiamme, che ormai
divenute incontrollabili, ardono oltre che la piccola foresta anche i campi
colti a frumento, gli armenti che vi pascolano ed alcune masserie abitate
da contadini.
Accortosi che le fiamme sono indomabili, per la scarsità di acque utili a
spegnerle e per la dimensione dell’incendio, decide di lasciare il luogo
ritirandosi entro le mura della sua casa cittadina.
Ordina prontamente ai servitori, pena la loro stessa vita, di non dir niente
del danno e della colpa relativa all’incendio.
Nel frattempo, il Visconti, che era Signore di Piacenza, venuto a
conoscenza del grave danno accaduto nelle campagne e che ha distrutto
animali e fattorie, da ordine ai suoi sgherri di arrestare colui che ne fosse
il colpevole.
Viene accusato un povero contadino sorpreso a bruciare stoppie ed
erbacce secondo la normale consuetudine agricola.
Il poveraccio non riesce ovviamente a mostrare le sue ragioni e viene
prontamente processato e condannato alla pena di morte.
Nel frattempo Corrado, venuto a conoscenza che un innocente entro
breve sarà giustiziato per colpa sua, inizia un travaglio della coscienza,
che in accordo con la moglie Eufrosina, lo porta ad ammettere la propria
colpa dinnanzi al Visconti.
Il contadino è liberato, ha la vita salva, mentre Corrado che è già per
motivi di famiglia avverso al Visconti, ghibellino, è condannato al
risarcimento dei danni causati.
Anche Corrado ha la vita salva in quanto egli è un Nobile ma ugualmente
è costretto a riparare del danno fatto e costretto dall’evento, vende ogni
suo bene per tal fine, riducendosi ormai a stato di povertà.
In questo periodo viene disconosciuto anche dalla Famiglia, oltraggiato
e deriso dal mondo feudale che fino a poco tempo prima godeva dei suoi
stessi beni, privilegi ed amicizia.
Matura intanto dentro a se una conversione estrema: la sua educazione ai
valori cristiani lo spinge ad avere una compunzione carica di dolore dei
suoi peccati, l’esempio dei poveri fraticelli della Penitenza di
S. Francesco sono uno stimolo a ricercare ormai in altro luogo la
soddisfazione della sua persona.
In intesa con la moglie Eufrosina vende quel poco che gli resta e lo dona
ai poveri, e secondo la Regola francescana esplicata con la Bolla Supra
Montem nel 1289 dal Papa Gregorio IX, relativa ai laici uomini e donne
convertiti alla penitenza del Terzo Ordine – entrata la moglie Eufrosina
nelle Clarisse – si ritira egli stesso nel piccolo eremo-hospitio dei
Penitenti di Calendasco.
Inizia qui il cammino della sua conversione che lo porterà, alla fine
dell’itinerario spirituale che attuerà per tutta la vita in modo sempre più
perfetto, alla gloria del Paradiso ed agli onori degli Altari della Chiesa
cattolica.
Nel piccolo hospitio vive assieme a pochi altri fraticelli sotto la guida
spirituale di Frate Aristide, lo stesso che qualche decennio prima era stato
chiamato a Montefalco per edificare il nuovo convento delle clarisse,
voluto dalla stessa Santa Chiara di Montefalco, Nobile dei Bennati.
Il progresso di Corrado penitente segue varie tappe, dalla iniziale fase
dello sconforto, dello scherno che egli subisce dalle genti,
all’umiliazione di chi si trova di colpo da uno stato agiato ad uno di
massima povertà e disagio, fino al progressivo suo vincere lo sconforto e
progredire nella adesione più sincera al Vangelo di Cristo.
Nell’eremo, che è anche hospitale per i pellegrini che giunti al Po
proseguono verso Roma o inversamente, per il nord Italia e la Francia,
impara ad essere umile e servizievole.
Qui infatti si unisce la preghiera e la contemplazione con la vita attiva,
con il lavoro manuale appunto compiuto nella accoglienza cordiale degli
sconosciuti e dei bisognosi in genere.
Dopo un buon numero di anni e di lodevole servizio ed essendosi sparsa
la voce del suo progresso spirituale, le genti della zona piacentina
iniziano a recarsi presso di lui in cerca di guida e consiglio.
Corrado ormai è avviato sulla via della ricerca della contemplazione più
perfetta per avvicinarsi a Dio sempre più, grazie alla lettura del Vangelo
e allo studio dei libri dei Padri della Chiesa su come raggiungere uno
stato di vita il più possibile lontano dal frastuono del mondo, quindi
decide di partire pellegrino alla volta dei luoghi santi di Roma.
In questo comportamento possiamo già infatti leggere quel richiamo
all’abbandono dei legami famigliari e materiali con il mondo che gli
appartiene e che si esprime nell’insegnamento dei Padri ai desiderosi di
vita solitaria eremitica con la applicazione della xeniteia: appunto
l’abbandono fisico della patria natia e di tutto ciò che essa rappresenta.
Corrado vestito del suo misero abito fatto di panno tinto grigio all’uso dei
penitenti, armato di sandali e di un bastone se ne parte quindi pellegrino.
Ormai ha maturato il proposito di dedicarsi interamente a Dio solo, per
questo continua il suo pellegrinare e giunge in Sicilia.
Venuto a conoscenza che i posti migliori per intraprendere il suo stile di vita
fossero in Val di Noto, qui si dirige e trova il primo albergo presso il luogo
di Palazzolo. Qui è accolto molto malamente, al punto che oltre ad essere
deriso e preso a male parole volevano anche fargli del male nella persona.
Corrado se ne parte, inseguito dai cani rabbiosi aizzati dagli abitanti di
quel posto, quasi presagio questo che ora lui è preda diversamente da
quando, giovine, era dedito alla caccia ed all’inseguire selvaggina.
Giunge nella città di Noto, ove erano molte buone e devote persone e qui
riconosciuta la sua buona e onesta vita può restare in tutta tranquillità.
Entrato in confidenza con un buon uomo, questi lo indirizza al suo primo
ritiro nel luogo detto Le Celle, vicino alla Chiesa di Santa Maria del
Crocifisso.
Qui dimorando in solitudine, inizia a lavorare il terreno affidatogli e lo
trasforma in luogo coltivato con alberi di frutto e viti.
Il suo progresso non sfugge alle genti, che iniziano a rendergli visita per
chiedere consiglio a questo uomo devoto e religioso nella Santa Chiesa
cattolica. Ma il suo proposito è quello di trovare completa solitudine,
vuole abitare nel deserto più completo.
Uscito quindi dalla città di Noto andò ad abitare in un luogo distante
pochi chilometri detto I Pizzi, ove era una valle in cui scorreva un fiume.
Sul territorio vede esservi altre grotte e spelonche che già penitenti
usavano come dimora. E qui, immerso nella natura più aspra, inizia una
vita molto dura e oltre alla vita di preghiera trasforma il luogo ove risiede
in un bellissimo giardino piantandovi aranci, alberi di noci e peri e
svariate qualità di vitigni.
L’intento era tanto più benedetto in quanto riusciva ad irrigare questo
bellissimo giardino con l’acqua del fiume che non molto lontano scorreva.
Viveva di poco pane e le genti, che si accorsero della sua vita in astinenza,
non sdegnavano di mandargli in dono spesse volte dei legumi come suo cibo.
Un giorno, mentre ritornava dalla città di Noto ove era stato a consolare
un suo devoto, passando per le botteghe dei sarti fu invitato in casa d’uno
di questi, che aveva un figlio di sette anni affetto da una forma d’ernia
inguinale che gli aveva reso i testicoli grossi come pani.
Il povero sarto che aveva molto sperato di poter chiedere aiuto a fra
Corrado, gli mostra le parti insane del bambino e questi alzando gli occhi
al cielo, facendo un segno di croce, benedisse quell’infermità.
Di là a poco che frate Corrado se ne era andato il bambino chiamò il
padre mostrandogli d’essere stato sanato: con questo miracolo molto si
sparse la voce della santità del penitente al punto che quando doveva
recarsi nella città di Noto, si calava il cappuccio fino agli occhi e
velocemente sbrigava le sue necessità.
Viveva nella sua solitudine lavorando umilmente. Un giorno il notaio di
Noto Bartoluccio Longo, che era devoto al frate per le sue virtù, gli mandò
per mezzo di un garzone due fiasconi di vino. Il malizioso garzone ne
nascose uno per se nella boscaglia e l’altro lo consegnò a Corrado, che
però, con meraviglia del giovane, gli chiese del fiascone mancante.
Questi ammise la colpa, e come gli aveva immediatamente predetto il
frate, trovò sul fiascone una serpe velenosa che scostò con un lungo
bastone, poi riportò il maltolto a Corrado che lo ammonì di non ripetere
un’altra volta un tal gesto.
Il garzone narrò poi della preveggenza di Corrado al suo padrone che lo
redarguì per la mal azione.
Un’altra volta, un diverso suo devoto andò a visitarlo. Nel ritornare alla
città, nella boscaglia fu sorpreso da un grande temporale con molti tuoni
e lampi e acqua. Il pover’uomo si riparò in una grotta e si addormentò:
Corrado che stava in orazione, vide in spirito l’uomo addormentato che
sarebbe morto colpito da un fulmine; partì allora alla volta della grotta
ove era il devoto assopito e dopo averlo redarguito, lo fece riparare nella
sua grotta e lo ammaestrò con buoni sermoni. Questi raccontò poi alle
genti del fatto in cui era incorso e di come il santo frate l’avesse salvato
ed in questo modo se ne accresceva la stima.
Un’altra volta, un garzone gli stava portando dei legumi, quando Satana
si mostrò al giovine dicendogli che Corrado era in un’altra parte di quella
valle e lo portò in un anfratto roccioso ove rimase pericolosamente in un
crepaccio. Il diavolo sotto forma di persona, sparì, e lasciò il garzone in
disgrazia: fra Corrado, che stava in preghiera nella sua grotta, vide in
spirito il giovane in pericolo che gridava aiuto e si disperava, e corso al
luogo, calandosi nel crepaccio lo liberò dal pericolo; il giovane poi,
tornato a casa raccontò il fatto al padre.
Satana tentò varie volte il beato Corrado, con pensieri di lussuria, ma
invano non riusciva nell’intento: rispondeva pienamente al voto di castità
che gli imponeva la sua professione religiosa ed anche mostrava una
grande crescita in Spirito e virtù sante.
Allora il diavolo fece venire a Corrado il desiderio di mangiare carne di
maiale. Il beato intraprese anche questa lotta con il maligno e da un suo
devoto si fece portare in dono della ‘longa’ di maiale; quando l’ebbe,
l’appese con un uncino nel mezzo della grotta e resistette per ben dieci
giorni fino a che la carne si riempì di vermi e imputridì con un puzzo
terribile; allora buttò quella carne marcia e scacciò il pensiero di gola. In
tal modo vinse Satana in virtù di Cristo.
Un altro suo devoto che un giorno venne a trovarlo presso la grotta si
sentì chiedere da fra Corrado se poteva donargli una grossa forma di
formaggio, il buon uomo tornato a casa manda il figlio, che si chiamava
Corrado, a portare il formaggio promesso al santo uomo ma la moglie
seccata ribattè al marito cosa mai se ne facesse il frate di quella grande
forma, ma il marito ugualmente mantiene la parola data.
Quando il figlio giunge dal frate con il dono, fra Corrado lo benedice con
la mano e diviso il formaggio in due, ne affida una metà al giovine perché
la riporti alla madre, dicendogli “Questa metà è di tua madre e questa è
di Gesù Cristo”. Il giovane raccontò poi dell’accaduto al padre che restò
grandemente meravigliato.
Ma Satana tornò a far battaglia di gola al beato Corrado, mettendogli la
voglia di mangiare una buona gallina grassa.
Venuta occasione, un uomo che voleva far del bene al beato ed avendolo
egli espressamente chiesto, gli portò in dono una bella gallinella grassa.
Corrado quando fu solo legò i piedi alla gallina e l’appese all’uncino
dentro la grotta e cominciò a far penitenza mentre il demonio lo tentava
con pensieri di gola; fatta questa battaglia per alcuni giorni, alfine la
gallina si riempì di vermi e come la toccava si staccavano penne
mischiate a vermi, così vinse il desiderio.
Ed ancora tentato nella gola di mangiare una cassata, si fece portare
farina di orzo e delle fave. Corrado impastò con acqua la farina e le fave
e la mise al sole ad arrostire; quando parve cotta la spezzo ed essa
puzzava forte e il beato ne fu disgustato ed ancora Satana fu sconfitto
nella tentazione.
Venuta la stagione dei primi fichi, Corrado ebbe il pensiero di mangiarne
e quindi andò presso al fico e presone uno, lo ruppe per metà e guardando
la pianta vide che ne era piena e dopo averlo annusato si spogliò nudo e
si rotolò dentro a un grosso cespuglio di ortiche e di rovi, rigirandosi
dentro fino a colare sangue.
Anche stavolta il diavolo fu battuto da questo asceta che mostrava ormai
al mondo la forza del suo abbandono totale alla Provvidenza ed alla sola
preghiera a Dio.
Quando il beato Corrado stava ancora al luogo delle Celle del Crocifisso
di Noto, il padrone del luogo tal Guglielmo di Buccheri, servitore del re
Federico II, un giorno durante la caccia fece uno sforzo particolare al che
gli uscì l’anca a tal punto che pareva uno storpio. Il re per ricompensarlo
gli donò il cortile del castello ove l’uomo fece le Celle e facendosi frate
viveva in penitenza un poco angustiato dal proprio figlio.
Quando il suo figliolo si ammalò, fra Guglielmo lo mandò per esser
sanato da Corrado; così avvenne e gli predisse anche una vita calamitosa
tanto che poi si seppe che questo giovane una volta incappò in un grande
branco di lupi e tempo dopo, fu catturato come traditore ed impiccato.
Ora la fama del beato Corrado si spargeva nella città di Noto e nelle sue
terre al punto che il vescovo di Siracusa volle andare ad incontrare questo
campione di virtù. Quando il vescovo arrivò dall’eremita alla grotta,
entrando vide che era nuda roccia e che era completamente spoglia,
senza letto né pane eccetto una grossa zucca.
E Corrado prese la benedizione del vescovo che si fermò nel giardino con
i famigliari ed i servitori per mangiare e Corrado andò alla sua cella e
subito ne tornò con quattro pagnotte calde.
A questa vista il vescovo si inginocchiò e disse “E’ più che non si dice” ma
Corrado pure inginocchiandosi, disse di essere solo un misero peccatore che
solo Dio per grazia, faceva queste cose. Ed il vescovo tornò a Siracusa
edificato e raccontando di quanto gli era capitato presso l’uomo beato.
Corrado pur nella sua solitudine, riceveva visite dovute alle voci che
correvano della sua vita virtuosa ed umile. Un giorno un suo amico venne ad
invitare Corrado perché andasse a casa sua a mangiare dei pesci che aveva
comprato e l’eremita gli disse che sarebbe andato un’altra volta perché i
pesci glieli aveva mangiati la gatta ed in effetti tornato a casa l’uomo fu
accolto dalla moglie che gli disse che il gatto si era mangiato i loro pesci, e
l’uomo credette alle parole del beato e raccontò il fatto alla consorte.
Ma Corrado aveva anche genti che lo biasimavano, così certi giovani
vollero fargli un tranello, invitandolo a mangiare da loro di venerdì del
pesce. Questi però cucinarono anziché pesce arrosto, un giovane porcello
e quando fu ben cotto, ne diedero quindi anche all’eremita.
Egli si cibò tranquillamente al che i giovani lo derisero dicendogli che
essendo venerdì egli aveva infranto il digiuno mangiando carne; ancora
seduto a mensa Corrado mostrò loro spine, squame e schiena e code dei
pesci che aveva mangiato, a tal vista questi, pentiti, domandarono perdono
al beato, che li rimproverò e quindi tornò alla sua grotta nella montagna.
Corrado fu anche consolatore, leggendo nello spirito, così che diede grande
consolazione ad un buon uomo, suo amico, vetraio, insegnandogli a
pregare per trovar conforto e consolazione in Cristo e nella Vergine Maria.
Quando Corrado stava ai Pizzoni, il demonio mise in cuore ad alcuni giovani
uomini di dare bastonate all’eremita e deridendolo chiamandolo vecchio,
iniziarono a colpirlo molto forte, tanto che lo lasciarono a terra tramortito
mentre il povero frate pregava che Dio avesse misericordia di loro.
I giovani si allontanarono un poco e restarono a guardare cosa facesse il
beato uomo, che rialzatosi tutto malandato, li richiamò a sé.
Questi pensarono che fosse una sfida e tornarono baldanzosi pronti a
riempire ancora di legnate l’asceta. Quando furono vicini Corrado
mostrò loro delle pagnotte calde e ne diede loro tante quanti erano: il
pane sembrava appena sfornato ed i giovani malvagi ne mangiarono,
dopo di che se ne andarono pensando che comunque nessuno li avesse
visti nel loro grande crimine.
Quando a Noto si seppe che il beato era stato bastonato , caso volle che
furono subito scoperti i responsabili e quindi messi in prigione.
Allorquando fu fatto il processo venne chiamato anche Corrado, i
malfattori furono portati al suo cospetto e fu chiesto se riconoscesse i
suoi aguzzini. Corrado risponde “Non mi paiono quelli”. E disse la verità
il beato Corrado “chè, quando mi batterono, erano armati ed irati, ed ora
erano attaccati e tremavano di paura”.
Corrado comunque non volle accusarli ma la giustizia fece il suo corso
ed i giovani ebbero parecchi guai finchè poi finirono morti.
Passarono tempi e Corrado decise di andare a Siracusa per confessarsi
dal vescovo. Quando fu là, tutti videro che una moltitudine infinita di
uccelli lo seguiva e stava sopra i muri cinguettando molto dolcemente.
E ancora, un giovane lo sorprese mentre era attorniato da tanti uccelli che
gli stavano in testa, nelle mani e sulle spalle cinguettando allegramente,
al chè lo raccontò alle genti e molto persone presero a devozione il beato
frate Corrado.
Era a tal punto ormai tanto amato dalle genti, che quando veniva a Noto
per ricevere la confessione e la comunione dal prete della chiesa di
S. Pietro il Nuovo, era costretto ad andarci di notte perché la gente non
disturbasse la sua buona azione.
Una volta, avendo tagliato una grande pietra della roccia nella sua cella,
non riusciva a rigirarla per cui andò a chiamare alcuni buoni giovani che
lietamente vennero a dargli aiuto. Quando furono alla nuda grotta
rocciosa e videro il macigno dissero che non sarebbero certo riusciti a
smuoverlo essendo veramente troppo grande e pesante. Corrado
benedisse con la mano il masso facendo il segno della croce e tutti
assieme levarono ed alzarono come leggerissima la roccia e la portarono
fuori della grotta.
Rimasero i giovani meravigliati del prodigio ma Corrado, entrato nella
cella, subito ne uscì con tanti pani caldi quanti erano i buoni giovani.
Meravigliati i giovani mangiarono e con grande devozione verso il santo
uomo se ne andarono al loro lavoro.
L’esempio di povertà e umiltà di Corrado attirò alla grotta un giovane
che volle farsi suo servitore e frate; istruito su tutti i lavori corporali e
spirituali il garzone divenne ricco in virtù. Ma il demonio fece entrare
nella mente del giovane il desiderio di una donna e quindi deciso a
prendersi moglie volle abbandonare il vecchio eremita.
Corrado lo mise in guardia prevedendogli alcune sciagure: predisse che
avrebbe trovato in uno stivale una serpe, patendone grande paura, poi
avrebbe rischiato la morte in una lite e per ultimo, andando per strada con
una lancia in mano, sarebbe caduto sulla stessa ferendosi gravemente. Il
giovane se ne andò vinto dal demonio, si spogliò dell’abito di frate e prese
moglie, e tutte le cose predette gli accaddero e la sua fine fu miserevole.
Vi fu un tempo in cui la carestia colpì duramente quella terra di Noto e
della Sicilia, così tanti uomini e donne e bambini, soprattutto tanti bambini,
andavano da lui a chiedere pane ed egli riceveva pane celeste ed a ciascuno
di quei piccini dava una pagnotta calda e li sfamava e tantissime genti
vennero e trovarono sempre pane caldo: egli a tutti faceva la carità di Gesù
Cristo con amore.
Fra Michele Lombardo, che visse alcuni tempi con Corrado, e che ne
scrisse anche la vita, racconta di come il santo uomo vivesse in astinenza
dai cibi e dalle bevande e nella quaresima non mangiasse pane ma solo
legumi e non bevesse vino.
Fra Corrado andava scalzo, con la tonaca aderente al suo magro fisico e
faceva vita ordinata alle cose di Dio così come conveniva a colui che
aspirava all’unione mistica con Dio Padre.
Passarono gli anni e Corrado si avvide che ormai era venuto il tempo in
cui avrebbe reso lo spirito a Dio. Confidò questo ad un suo devoto che
molto amaramente pianse alla triste notizia. Corrado predisse che alla sua
morte il popolo di Avola e di Noto si sarebbero contesi il suo corpo per
la sepoltura: solo lui, il suo amico devoto, avrebbe potuto prendere il
corpo per il rito funebre.
E venuto il tempo e il giorno che il beato Corrado doveva trapassare, egli
andò nella sua cella e si mise, come soleva stare, in orazione e incomincia
a fare orazioni a Dio umilmente in ginocchio e alzò il capo a Dio e disse:
“Onnipotente Dio, ti raccomando l’anima mia e di ogni creatura;
liberami, Signore, dalle mani del demonio, chè io non vada a vedere i
nemici, i quali si tormentano nell’inferno; o Signore, stendi la tua mano
e dammi aiuto”. E sopra di lui fu grande luce: il beato uomo rese lo
spirito a Dio.
Come Corrado fu trapassato le campane di Noto e di Avola
incominciarono a suonare fortemente a tal punto che non si riusciva a
fermarle e le genti accortisi del miracolo pensarono subito alla morte di
un uomo santo per tanto miracolo.
Gli uomini di Noto andarono alle Celle credendo di trovare fra Michele
ormai defunto, invece egli era vivo e disse che altri era colui che era
trapassato santamente.
Le genti corsero allora ai Pizzi armate di bastoni e lance. Giunti
alla grotta trovarono il beato Corrado trapassato, in ginocchio.
Ed anche le genti di Avola vennero per prendere il corpo del frate
eremita. Intanto quelli di Noto avevano fatto una cassa di legno ma
quando stavano per pigliare il beato corpo per metterlo nella cassa,
questo fremeva e tremava mormorando, e nessuno lo poteva toccare.
Allora fra Michele, l’amico del beato, l’unico cui era concesso di toccare
il corpo, si avvicinò, prese il corpo e lo mise nella cassa. Ma il corpo
nella cassa fu tanto lungo che non vi entrava. Allora fecero un’altra cassa
più lunga ma anche in questa non entrava: il corpo si allungava
miracolosamente.
I Netini temevano che gli Avolesi venissero a prendersi con la forza il
corpo del beato ed infatti arrivarono in grande turba, armati di balestre e
lance e dardi, pavesi, spade e coltelli. Allora quelli di Noto vedendo
arrivare in tal modo quelli di Avola, presero il beato corpo di Corrado e lo
portarono fuori della grotta e si incamminarono lungo la ripa della valle.
Quelli di Avola si misero al passo ad aspettare armati di tutto punto che
giungessero con il corpo i Netini per levarglielo.
Accortesi degli armati che li attendevano gli uomini di Noto misero il
corpo dell’eremita in mezzo a loro per difenderlo e si prepararono a
battaglia.
Iniziò una dura battaglia con l’uso di dardi e frecce, le due turbe si
scontrarono per un pezzo ma fu un miracolo di Dio che nessuno ebbe
male e ognuno si ritrovò con in mano la propria arma come se mai
l’avesse usata.
Quelli di Noto si ritrovarono ancora il corpo in mezzo a loro come
l’avevano prima e se ne tornarono alla loro città cantando e lodando Dio
con grande giubilo. E la cassa del beato Corrado pareva non pesasse
niente. Quando furono alla spianata del Crocifisso, i cittadini volevano
che stesse in S. Maria; come vollero fare via, il corpo fu così pesante che
non lo poterono muovere per nessuna ragione.
Allora dissero: “Andiamo alla chiesa madre”. E quando fu detta questa
parola, il corpo fu così leggero come era prima. E andarono nella chiesa
madre.
Quando furono entrati con il beato corpo di Corrado, i miracoli furono
tanti da non poterli enumerare quanti fossero, egli ne fece senza conto
d’uomo umano, ché egli sanava storpi, zoppi e orbi e muti e diverse
infermità.
Il corpo di San Corrado fu preso e ordinatamente deposto nel suo luogo,
che è benedetto per i secoli dei secoli.
Corrado ha reso lo spirito a Dio il 19 febbraio 1351.
I LUOGHI
della devozione
in Piacenza e provincia
San Corrado Confalonieri



nella foto sopra:
  1. Calendasco: eremo-hospitale, castello ove i Confalonieri sono stati per 200 anni feudatari e l'altare dedicato nella parrocchiale con la tela del 1600 e la reliquia, è Patrono del borgo sul Po da ben 400 anni
  2. Piacenza: parrocchia S. Corrado in città dedicata al Santo e in cattedrale le pitture del 1600
  3. Castel S. Giovanni: Collegiata, il dipinto di S. Lucia con a lato anche San Corrado e nell'oratorio di S. Rocco la statua del santo eremita piacentino
  4. Celleri di Carpaneto: la Casa Torre dei Confalonieri
  5. Pontedell'olio: quadro in sacrestia
  6. Cortemaggiore: quadro in sacrestia, copia di quello del Lanfranco






alcune delle opere e dei monumenti nei luoghi ove si
venera San Corrado Confalonieri


Per approfondire

  • visita www.araldosancorrado.org
  • Questo Blog e' un prodotto amatoriale e non editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7 marzo 2001
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  • L'Araldo di San Corrado è il Collegamento Devozionale Italiano dei Devoti e Fedeli del Santo piacentino morto a Noto il 19 febbraio 1351 e nato in Calendasco (Piacenza) nel 1290