L’INCENDIO
di Umberto Battini
agiografo di San Corrado
La causa che spinge il nobile Corrado a dare una svolta alla sua vita è collegata senza ombra di dubbio al fatto dell’incendio che provocò durante una battuta di caccia. Siccome fu incolpato del danno un innocente contadino, Corrado lo fa liberare ammettendo la colpa: lui è il colpevole e lui è l’uomo da punire. Gli antichi Statuti piacentini sono da datare al 1322-36, Galeazzo I Visconti milanese e Signore di Piacenza morì nel 1328, gli studiosi propendono perché “una compilazione di norme da lui ordinata, potrebbe essere avvenuta soltanto nel periodo fra il 29 dicembre 1322 in cui ritornò al potere, e il 1327 in cui ne fu deposto. In questo arco di tempo cade appunto la compilazione del 1323 cui si aggiunsero altre norme che risultano confermate nel 1336 da Azzone Visconti... ed altre ancora poste sotto gli anni 1341-1342” e proprio queste antiche leggi trattano anche dell’incendio: “Munita di sanzione penale era soltanto la norma relativa all’incendio doloso, e la pena variava a seconda dell’entità del danno arrecato... tuttavia il condannato poteva sottrarsi alla pena corporale pagando al Comune la somma di 200 lire entro quindici giorni dalla condanna, e risarcendo completamente il danno”. Per la cessione dei beni in caso di dover pagare per un danno causato, quale appunto l’incendio, oltre alla forma della espropriazione dei beni da parte del potere civile, poteva essere attuata “la volontaria cessione di tutti i beni da parte del debitore”.
La famiglia del santo era guelfa, intimamente legata alla chiesa piacentina e molto vicina ai francescani. Nello stesso borgo di Calendasco esisteva una piccola comunità di frati laici della Penitenza, cioè del Terzo Ordine francescano che erano conosciuti per il loro modo di vivere in povertà al servizio di tutti, anche dallo stesso giovane Corrado.
La Tradizione dell’incendio, che si è tramandata da secoli nel piacentino, narra di due possibili luoghi: la località Case Bruciate di Travazzano nei pressi di Carpaneto – ove i Confalonieri possedevano una Casa Torre con delle terre presso Celleri – oppure il Villa Campadone – luogo vicino a Calendasco e rientrante nel feudo che gli stessi qui avevano.
Un ‘molino brugiato’ c’è anche nei pressi dello stesso paese e proprio ove nel 1805 le mappe catastali napoleoniche indicano il “molino Raffoni”, quello legato alla tradizione del gorgolare. Il molino bruciato posto a Calendasco confina con la strata levata, cioè la strada che è rialzata proprio per far sì che il rivo macinatore possa far quel salto necessario a smuovere la grande pala del molino.
Ma anche una nuova ipotesi per collocare l’incendio causato dal giovane san Corrado può aggiungersi a queste: infatti non molto lontano da Calendasco, a pochi chilometri – (circa quattro) - in direzione di San Nicolò a Trebbia, esiste una località chiamata ‘la Bruciata’ di antica memoria.
Il fatto eccezionale è dato da una pergamena dell’11 gennaio 1589: è una investitura di un fondo terriero di 200 pertiche fatta dai monaci di Quartazzola (località a pochi chilometri da Piacenza posta non molto lontano dal fiume Trebbia) ad un certo Cesare Viustino che è erede del fu Alfonso.
La pergamena riporta che le terre sono poste nel territorio di Calendasco, in direzione di San Nicolò e nel luogo detto “alla Brugiata”: una vasta area agricola coltivata di ben 200 pertiche (pensate che un campo da calcio è di circa 4 pertiche piacentine).
A diritto questo grande spazio rurale fatto di campi coltivabili, vitigni e zone a bosco può essere ritenuto il luogo dell’incendio di san Corrado Confalonieri? A mio avviso si, con un buon margine di possibilità, data dalla ragionevolezza che una così vasta possessione terriera sia ricordata nel ‘500 con il nome ‘Bruciata’, sintomo che lì vi fu nei tempi andati un possente incendio che ancora segnava la toponomastica e la memoria della gente.
Per restare in argomento una carta sempre dei frati Bernardini di Quartazzola del 23 giugno 1654 testimonia del fitto di terre ad un certo signor Viustino (discendente dell’altro prima citato) poste alla “Bre” in territorio di Calendasco che sono al ridosso confinale con i paesi di San Nicolò e Santimento.A buon diritto ritengo che se la certezza per l’incendio corradiano non è possibile darla per scontata, tutto quello che la vecchia storiografia dava come unico dato, cioè citando solo ed esclusivamente quale posto del danno ‘le Case Bruciate’ dell’area di Travazzano, sia da ritenere sorpassata e ampiamente messa in discussione dai nuovi dati storici inediti che ho rintracciato in Archivio di Stato di Parma e Piacenza: cioè il molino Bruciato di Calendasco e soprattutto l’area agricola nel territorio dello stesso Calendasco chiamata ancora nel 1589 la Bruciata, ha più valore storico per crederla area dell’incendio corradiano, al contrario di quello che può essere un toponimo relativo a delle poche case andate bruciate.
La causa che spinge il nobile Corrado a dare una svolta alla sua vita è collegata senza ombra di dubbio al fatto dell’incendio che provocò durante una battuta di caccia. Siccome fu incolpato del danno un innocente contadino, Corrado lo fa liberare ammettendo la colpa: lui è il colpevole e lui è l’uomo da punire. Gli antichi Statuti piacentini sono da datare al 1322-36, Galeazzo I Visconti milanese e Signore di Piacenza morì nel 1328, gli studiosi propendono perché “una compilazione di norme da lui ordinata, potrebbe essere avvenuta soltanto nel periodo fra il 29 dicembre 1322 in cui ritornò al potere, e il 1327 in cui ne fu deposto. In questo arco di tempo cade appunto la compilazione del 1323 cui si aggiunsero altre norme che risultano confermate nel 1336 da Azzone Visconti... ed altre ancora poste sotto gli anni 1341-1342” e proprio queste antiche leggi trattano anche dell’incendio: “Munita di sanzione penale era soltanto la norma relativa all’incendio doloso, e la pena variava a seconda dell’entità del danno arrecato... tuttavia il condannato poteva sottrarsi alla pena corporale pagando al Comune la somma di 200 lire entro quindici giorni dalla condanna, e risarcendo completamente il danno”. Per la cessione dei beni in caso di dover pagare per un danno causato, quale appunto l’incendio, oltre alla forma della espropriazione dei beni da parte del potere civile, poteva essere attuata “la volontaria cessione di tutti i beni da parte del debitore”.
La famiglia del santo era guelfa, intimamente legata alla chiesa piacentina e molto vicina ai francescani. Nello stesso borgo di Calendasco esisteva una piccola comunità di frati laici della Penitenza, cioè del Terzo Ordine francescano che erano conosciuti per il loro modo di vivere in povertà al servizio di tutti, anche dallo stesso giovane Corrado.
La Tradizione dell’incendio, che si è tramandata da secoli nel piacentino, narra di due possibili luoghi: la località Case Bruciate di Travazzano nei pressi di Carpaneto – ove i Confalonieri possedevano una Casa Torre con delle terre presso Celleri – oppure il Villa Campadone – luogo vicino a Calendasco e rientrante nel feudo che gli stessi qui avevano.
Un ‘molino brugiato’ c’è anche nei pressi dello stesso paese e proprio ove nel 1805 le mappe catastali napoleoniche indicano il “molino Raffoni”, quello legato alla tradizione del gorgolare. Il molino bruciato posto a Calendasco confina con la strata levata, cioè la strada che è rialzata proprio per far sì che il rivo macinatore possa far quel salto necessario a smuovere la grande pala del molino.
Ma anche una nuova ipotesi per collocare l’incendio causato dal giovane san Corrado può aggiungersi a queste: infatti non molto lontano da Calendasco, a pochi chilometri – (circa quattro) - in direzione di San Nicolò a Trebbia, esiste una località chiamata ‘la Bruciata’ di antica memoria.
Il fatto eccezionale è dato da una pergamena dell’11 gennaio 1589: è una investitura di un fondo terriero di 200 pertiche fatta dai monaci di Quartazzola (località a pochi chilometri da Piacenza posta non molto lontano dal fiume Trebbia) ad un certo Cesare Viustino che è erede del fu Alfonso.
La pergamena riporta che le terre sono poste nel territorio di Calendasco, in direzione di San Nicolò e nel luogo detto “alla Brugiata”: una vasta area agricola coltivata di ben 200 pertiche (pensate che un campo da calcio è di circa 4 pertiche piacentine).
A diritto questo grande spazio rurale fatto di campi coltivabili, vitigni e zone a bosco può essere ritenuto il luogo dell’incendio di san Corrado Confalonieri? A mio avviso si, con un buon margine di possibilità, data dalla ragionevolezza che una così vasta possessione terriera sia ricordata nel ‘500 con il nome ‘Bruciata’, sintomo che lì vi fu nei tempi andati un possente incendio che ancora segnava la toponomastica e la memoria della gente.
Per restare in argomento una carta sempre dei frati Bernardini di Quartazzola del 23 giugno 1654 testimonia del fitto di terre ad un certo signor Viustino (discendente dell’altro prima citato) poste alla “Bre” in territorio di Calendasco che sono al ridosso confinale con i paesi di San Nicolò e Santimento.A buon diritto ritengo che se la certezza per l’incendio corradiano non è possibile darla per scontata, tutto quello che la vecchia storiografia dava come unico dato, cioè citando solo ed esclusivamente quale posto del danno ‘le Case Bruciate’ dell’area di Travazzano, sia da ritenere sorpassata e ampiamente messa in discussione dai nuovi dati storici inediti che ho rintracciato in Archivio di Stato di Parma e Piacenza: cioè il molino Bruciato di Calendasco e soprattutto l’area agricola nel territorio dello stesso Calendasco chiamata ancora nel 1589 la Bruciata, ha più valore storico per crederla area dell’incendio corradiano, al contrario di quello che può essere un toponimo relativo a delle poche case andate bruciate.
Note al testo
GIACOMO MANFREDI Gli Statuti di Piacenza del 1391 e i Decreti Viscontei, a cura della Banca di Piacenza, Unione Tipografica Editrice Piacentina, Piacenza 1972; pagg.12-13; ringrazio per avermi permesso di consultare l’importante volume il Sig. Romano Gobbi attento cultore della storia piacentina
GIACOMO MANFREDI Gli Statuti di Piacenza del 1391 e i Decreti Viscontei, a cura della Banca di Piacenza, Unione Tipografica Editrice Piacentina, Piacenza 1972, pag.72-73
GIACOMO MANFREDI Gli Statuti di Piacenza del 1391 e i Decreti Viscontei, a cura della Banca di Piacenza, Unione Tipografica Editrice Piacentina, Piacenza 1972, pag.126-127
sull’hospitale di Calendasco che era al passo del Po sulla Via Francigena non ci sono più dubbi, già ne trattai nel II°Convegno Nazionale di Studi in onore di S. Corrado Confalonieri – Calendasco 1999 e con maggior ampiezza nella relazione che ho svolto in: III° Convegno Nazionale di Studi in onore di S. Corrado Confalonieri – Piacenza 18 marzo 2000 Auditorium S. Ilario, Partner organizzativo la Banca di Piacenza
ASPC notaio Lelio Degani pacco n.15393, ove una carta del 1653 cita appunto il molino brugiato in loco calendaschi e la strada levata o rialzata.
ASPR Convento di Quartazzola di S. Maria e S. Salvatore, pergamena in corsiva latina, pacco LXXVII 1, doc. del 11 gennaio 1589; sempre nel Fondo di questo Convento una pergamena del 14 febbraio 1277 tratta di una pecia terra culta que est quatuor jugera che è posta in Capitis Trebie,cioè Cò Trebbia (vecchia) luogo in cui sorge la famosa abbazia dipendente da S. Sisto di Piacenza ove si tennero le Diete del Barbarossa nel 1158
anche questa pergamena è un inedito da me rinvenuto in quanto nessuno aveva mai dato peso al fatto che in essa si trattasse di questa area agricola detta ‘bruciata’
ASPR Convento di Quartazzola di S. Maria e S. Salvatore pacco LXXVII 1 – AI° AII°, pergamena n.19
dal volume AA.VV. "San Corrado Confalonieri - i documenti inediti piacentini"
edizioni Compagnia di Sigerico 2006 - Calendasco (Pc)