I Netini di Roma celebrano il Santo Patrono
nella basilica dei Santi Cosma e Damiano
(23 febbraio 2008)
/ omelia i n e d i t a /
San Corrado Confalonieri pellegrino di pace
Nato in quel di Piacenza nel 1290 circa dall’illustre famiglia Confalonieri, il giovane cavaliere Corrado conquista la stima di tutti per il suo comportamento leale. L’equilibrio psico-spirituale da lui raggiunto con quotidiano sforzo di giovane onesto è culminato nel superamento eroico dell’imprevisto capitatogli durante una battuta di caccia. Essendo stato condannato a morte un malcapitato innocente, Corrado si interroga: “E morrà quest’uomo per il male fatto da me? L’autore involontario dell’incendio sono io”! Perciò si costituisce, lo scagiona, confessa la sua imprudenza e si obbliga a risarcire i danni. Davvero l’uomo è se stesso nella misura in cui è capace di compromettersi per chi soffre la fame, l’ingiustizia, lo sfruttamento o l’insicurezza. Corrado Confalonieri col suo gesto spontaneo in favore di quell’innocente malcapitato ha proclamato che Cristo è in coloro che ci stanno attorno e che hanno bisogno – nella famiglia o sul lavoro - del nostro amore e testimonianza che ci fa riconoscere discepoli di Cristo. Carattere adamantino, il giovane piacentino non si deprime ma accetta con coraggio la nuova realtà, anzi l’assume per un nuovo progetto di vita. Così il rinnovamento ecclesiale nell’Europa del secolo XIV lo coinvolse e lo ha visto protagonista nel carisma francescano.
La “Vita Beati Corradi” (codice cartaceo del sec. XIV) lo indica pellegrino di pace. Infatti, dopo l’esperienza traumatica dell’incendio involontario, a Corrado “venni in cori di andare a serviri Deu” e“pervinni undi havia poveri et servituri di Deu” (nn. 51 e 56). Lascia, infatti, Piacenza e va in un luogo che la tradizione indica nel ‘romitorio del Gorgolare’ per la sua vicinanza del rivo Calendasco o Macinatore, che alimentava tre mulini. Là compie il noviziato e trascorre un certo tempo, maturando il desiderio di solitudine e di preghiera.
Nel 1322 il giovane Corrado lascia definitivamente la terra piacentina per andare – come il biblico Abramo (cfr. Gen XII 1) – nella terra che il Signore gli mostrerà. Prima di partire, fra Aristide, superiore del romitorio di Calendasco prega per lui e così lo benedice: “Fratel Corrado, in nome del Signore ricevi questo bordone dal manico curvo, a sostegno durante il cammino di pellegrinaggio; ricevi questo tascapane e questa conchiglia, segni del tuo pellegrinare, affinché, trasformato e purificato, tu possa meritare di arrivare alla meta dove desideri andare” (dal ‘Liber Sancti Jacobi’). Inizia così il suo itinerario di ‘solitario’ con un pellegrinaggio a Roma, nello spirito della ricerca di Dio.
Eccolo nella via romea solo, sconosciuto, senz’altra previsione che una fiducia illimitata in Colui che veste i gigli del campo e nutre gli uccelli dell’aria (cfr. Mt VI 28), chiuso in un ruvido saio e appoggiato al suo bordone di pellegrino. Il sacco pesa, i sandali e i ciottoli della strada, la sete e la fame lo attanagliano, l’anima però a poco a poco spicca il volo, dato che non c’è vero pellegrinaggio senza un minimo di ascesi. Corrado fa onore semplicemente e gioiosamente al pasto frugale che un’anima caritatevole gli offre ad una tappa, riservandosi di far penitenza, per virtù o per necessità, alle tappe successive. Accolto dagli uni come rappresentante di Cristo, da altri sarà scacciato come intruso scroccone; ma egli riceverà con la stessa francescana letizia e umiltà le buone e le cattive venture del cammino. L’esperienza del pellegrinaggio anche per il nostro Santo è una meravigliosa scuola di semplicità e di abnegazione, di povertà e di altre virtù basilari di cui il mondo ha sempre bisogno.
Il fenomeno della mobilità umana gli esperti lo definiscono partendo dalle diverse manifestazioni e caratteristiche che esso assume nella vita. Chi lascia la propria patria per andare in cerca di un mezzo di sussistenza è detto ‘emigrante’; chi si mette in viaggio per riposare e rilassarsi è chiamato ‘turista’; chi non ha fissa dimora e vaga in cerca d’indipendenza e libertà è un ‘nomade’. ‘Pellegrino’ è detto colui che cammina verso l’Assoluto, perché affamato e assetato di Dio. E’ chiamato ‘turismo religioso’ il movimento del pellegrino che si mette in cammino con Dio lungo le strade del mondo (come i discepoli di Emmaus in ascolto della Parola di Dio lungo la via). Invece è detto ‘pellegrinaggio in senso stretto’ il movimento del pellegrino, il quale con il mondo va verso Dio, perché è come l’ascesi ‘verso il tempio santo di Dio’.
“Mentre il vero pellegrinaggio nasce da una decisione essenzialmente di ordine interiore-spirituale, orientato cioè al conseguimento di traguardi inerenti alla fede e alla pratica di fede, alla conversione personale e alla vita di grazia con gesti concreti di solidarietà e condivisione; invece il turismo religioso fa leva su prevalenti aspetti culturali, amicali e ludici con forti tonalità soggettive o di gruppo di appartenenza e con obiettivi che si incrociano e si annullano, per accontentare bisogni differenti” (Nicolò Costa, in Luoghi dell’infinito, VII-VIII 1989, p.6). Comunque, ambedue i movimenti – il pellegrinaggio in senso stretto e il turismo religioso – entrano di diritto nell’ambito dell’azione della Chiesa, perché ogni pellegrino si reca in un santuario, chiesa o luogo di culto “per un peculiare motivo di pietà” (Codice di Diritto Canonico, can.1230).
E il pellegrino Corrado rimane a Roma? No, ma nella Città eterna egli matura la sua vocazione eremitica. Infatti – come sottolinea il citato codice del sec. XIV – “per meglio servìri a Deu sindi vinni in Sichilia” e sceglie Noto (Siracusa), dove vive di carità, povero tra i poveri. A chiunque va a trovarlo alle celle della chiesa del Ss. Crocifisso e, poi, nella grotta dei Pizzoni per chiedergli intercessione di grazie, per esprimergli ammirata gratitudine o per mettere alla prova la sua santità, tutti accoglie con volto sorridente, evangelizza, è largo di aiuti e di consigli spirituali, di intercessioni e di miracoli.
Il nostro Santo Patrono si fa missionario itinerante tra il popolo netino, ogni qualvolta che dalla sua grotta dei Pizzoni scende in città.
Ø Lo ammiriamo paziente e paterno col figlio di Vassallo: “Questa metà di formaggio è di tua madre [la quale non avrebbe voluto farmelo avere intero] e questa metà è di Gesù Cristo”;
Ø affabile con l’amico operaio e padre di famiglia: “Siano benedette queste mani che alimentano tante creature”,
Ø umile e premuroso con il suo vescovo di Siracusa, che accoglie nella sua grotta col pane caldo del miracolo: “Signor vescovo, non sono quello che voi pensate, perché io sono peccatore”;
Ø resta grato con chi lo invita a mensa: “Dio rimeriti la vostra anima per la carità” ;
Ø catechista con un altro operaio che lo incontra, gli bacia la mano e gli chiede: “Compare, insegnatemi qualche preghiera”, e fra Corrado gli insegna la recita del Padre Nostro e dell’Ave Maria. Il saluto abituale verso quanti egli incontra per le vie di Noto è: “Fratello/Sorella, abbi tu pace”! Prossimo alla fine, quel 19 febbraio 1351 così prega: “Onnipotente Dio, ti raccomando l’anima mia e di ogni creatura… Signore, stendi la tua mano e dammi aiuto”. Fioriscono subito le grazie ottenute per la sua intercessione e la devozione popolare cresce, soprattutto dopo la ricognizione canonica del suo corpo trovato incorrotto nel 1485. Papa Leone X il 12 luglio 1515 delega il vescovo di Siracusa ad istruire il processo informativo e proclamarne ‘per delegatum’ il culto come Beato; mandato apostolico eseguito nella chiesa madre dell’antica Noto il 28 agosto 1515 dal suo vicario generale Mons. Giacomo Umana, netino e vescovo titolare di Scutari. Urbano VIII nella bolla del 12 settembre 1625 lo chiama “Santo” e ne stende il culto all’Ordine Francescano nel mondo. L’arca d’argento con il corpo di S. Corrado è in venerazione a Noto in Cattedrale.
Piacenza, Roma, Noto, …e l’Ordine Francescano hanno in San Corrado Confalonieri un faro luminoso di santità operosa. Egli - da vero uomo di pace e testimone di Cristo Risorto - tutti ci guida e sostiene.
Inseriti ormai nell’unità europea, il nostro Santo Eremita Piacentino ci sprona ad essere, anche come cristiani, operatori di pace nel nostro ambiente.
Mons. Salvatore Guastella
nella basilica dei Santi Cosma e Damiano
(23 febbraio 2008)
/ omelia i n e d i t a /
San Corrado Confalonieri pellegrino di pace
Nato in quel di Piacenza nel 1290 circa dall’illustre famiglia Confalonieri, il giovane cavaliere Corrado conquista la stima di tutti per il suo comportamento leale. L’equilibrio psico-spirituale da lui raggiunto con quotidiano sforzo di giovane onesto è culminato nel superamento eroico dell’imprevisto capitatogli durante una battuta di caccia. Essendo stato condannato a morte un malcapitato innocente, Corrado si interroga: “E morrà quest’uomo per il male fatto da me? L’autore involontario dell’incendio sono io”! Perciò si costituisce, lo scagiona, confessa la sua imprudenza e si obbliga a risarcire i danni. Davvero l’uomo è se stesso nella misura in cui è capace di compromettersi per chi soffre la fame, l’ingiustizia, lo sfruttamento o l’insicurezza. Corrado Confalonieri col suo gesto spontaneo in favore di quell’innocente malcapitato ha proclamato che Cristo è in coloro che ci stanno attorno e che hanno bisogno – nella famiglia o sul lavoro - del nostro amore e testimonianza che ci fa riconoscere discepoli di Cristo. Carattere adamantino, il giovane piacentino non si deprime ma accetta con coraggio la nuova realtà, anzi l’assume per un nuovo progetto di vita. Così il rinnovamento ecclesiale nell’Europa del secolo XIV lo coinvolse e lo ha visto protagonista nel carisma francescano.
La “Vita Beati Corradi” (codice cartaceo del sec. XIV) lo indica pellegrino di pace. Infatti, dopo l’esperienza traumatica dell’incendio involontario, a Corrado “venni in cori di andare a serviri Deu” e“pervinni undi havia poveri et servituri di Deu” (nn. 51 e 56). Lascia, infatti, Piacenza e va in un luogo che la tradizione indica nel ‘romitorio del Gorgolare’ per la sua vicinanza del rivo Calendasco o Macinatore, che alimentava tre mulini. Là compie il noviziato e trascorre un certo tempo, maturando il desiderio di solitudine e di preghiera.
Nel 1322 il giovane Corrado lascia definitivamente la terra piacentina per andare – come il biblico Abramo (cfr. Gen XII 1) – nella terra che il Signore gli mostrerà. Prima di partire, fra Aristide, superiore del romitorio di Calendasco prega per lui e così lo benedice: “Fratel Corrado, in nome del Signore ricevi questo bordone dal manico curvo, a sostegno durante il cammino di pellegrinaggio; ricevi questo tascapane e questa conchiglia, segni del tuo pellegrinare, affinché, trasformato e purificato, tu possa meritare di arrivare alla meta dove desideri andare” (dal ‘Liber Sancti Jacobi’). Inizia così il suo itinerario di ‘solitario’ con un pellegrinaggio a Roma, nello spirito della ricerca di Dio.
Eccolo nella via romea solo, sconosciuto, senz’altra previsione che una fiducia illimitata in Colui che veste i gigli del campo e nutre gli uccelli dell’aria (cfr. Mt VI 28), chiuso in un ruvido saio e appoggiato al suo bordone di pellegrino. Il sacco pesa, i sandali e i ciottoli della strada, la sete e la fame lo attanagliano, l’anima però a poco a poco spicca il volo, dato che non c’è vero pellegrinaggio senza un minimo di ascesi. Corrado fa onore semplicemente e gioiosamente al pasto frugale che un’anima caritatevole gli offre ad una tappa, riservandosi di far penitenza, per virtù o per necessità, alle tappe successive. Accolto dagli uni come rappresentante di Cristo, da altri sarà scacciato come intruso scroccone; ma egli riceverà con la stessa francescana letizia e umiltà le buone e le cattive venture del cammino. L’esperienza del pellegrinaggio anche per il nostro Santo è una meravigliosa scuola di semplicità e di abnegazione, di povertà e di altre virtù basilari di cui il mondo ha sempre bisogno.
Il fenomeno della mobilità umana gli esperti lo definiscono partendo dalle diverse manifestazioni e caratteristiche che esso assume nella vita. Chi lascia la propria patria per andare in cerca di un mezzo di sussistenza è detto ‘emigrante’; chi si mette in viaggio per riposare e rilassarsi è chiamato ‘turista’; chi non ha fissa dimora e vaga in cerca d’indipendenza e libertà è un ‘nomade’. ‘Pellegrino’ è detto colui che cammina verso l’Assoluto, perché affamato e assetato di Dio. E’ chiamato ‘turismo religioso’ il movimento del pellegrino che si mette in cammino con Dio lungo le strade del mondo (come i discepoli di Emmaus in ascolto della Parola di Dio lungo la via). Invece è detto ‘pellegrinaggio in senso stretto’ il movimento del pellegrino, il quale con il mondo va verso Dio, perché è come l’ascesi ‘verso il tempio santo di Dio’.
“Mentre il vero pellegrinaggio nasce da una decisione essenzialmente di ordine interiore-spirituale, orientato cioè al conseguimento di traguardi inerenti alla fede e alla pratica di fede, alla conversione personale e alla vita di grazia con gesti concreti di solidarietà e condivisione; invece il turismo religioso fa leva su prevalenti aspetti culturali, amicali e ludici con forti tonalità soggettive o di gruppo di appartenenza e con obiettivi che si incrociano e si annullano, per accontentare bisogni differenti” (Nicolò Costa, in Luoghi dell’infinito, VII-VIII 1989, p.6). Comunque, ambedue i movimenti – il pellegrinaggio in senso stretto e il turismo religioso – entrano di diritto nell’ambito dell’azione della Chiesa, perché ogni pellegrino si reca in un santuario, chiesa o luogo di culto “per un peculiare motivo di pietà” (Codice di Diritto Canonico, can.1230).
E il pellegrino Corrado rimane a Roma? No, ma nella Città eterna egli matura la sua vocazione eremitica. Infatti – come sottolinea il citato codice del sec. XIV – “per meglio servìri a Deu sindi vinni in Sichilia” e sceglie Noto (Siracusa), dove vive di carità, povero tra i poveri. A chiunque va a trovarlo alle celle della chiesa del Ss. Crocifisso e, poi, nella grotta dei Pizzoni per chiedergli intercessione di grazie, per esprimergli ammirata gratitudine o per mettere alla prova la sua santità, tutti accoglie con volto sorridente, evangelizza, è largo di aiuti e di consigli spirituali, di intercessioni e di miracoli.
Il nostro Santo Patrono si fa missionario itinerante tra il popolo netino, ogni qualvolta che dalla sua grotta dei Pizzoni scende in città.
Ø Lo ammiriamo paziente e paterno col figlio di Vassallo: “Questa metà di formaggio è di tua madre [la quale non avrebbe voluto farmelo avere intero] e questa metà è di Gesù Cristo”;
Ø affabile con l’amico operaio e padre di famiglia: “Siano benedette queste mani che alimentano tante creature”,
Ø umile e premuroso con il suo vescovo di Siracusa, che accoglie nella sua grotta col pane caldo del miracolo: “Signor vescovo, non sono quello che voi pensate, perché io sono peccatore”;
Ø resta grato con chi lo invita a mensa: “Dio rimeriti la vostra anima per la carità” ;
Ø catechista con un altro operaio che lo incontra, gli bacia la mano e gli chiede: “Compare, insegnatemi qualche preghiera”, e fra Corrado gli insegna la recita del Padre Nostro e dell’Ave Maria. Il saluto abituale verso quanti egli incontra per le vie di Noto è: “Fratello/Sorella, abbi tu pace”! Prossimo alla fine, quel 19 febbraio 1351 così prega: “Onnipotente Dio, ti raccomando l’anima mia e di ogni creatura… Signore, stendi la tua mano e dammi aiuto”. Fioriscono subito le grazie ottenute per la sua intercessione e la devozione popolare cresce, soprattutto dopo la ricognizione canonica del suo corpo trovato incorrotto nel 1485. Papa Leone X il 12 luglio 1515 delega il vescovo di Siracusa ad istruire il processo informativo e proclamarne ‘per delegatum’ il culto come Beato; mandato apostolico eseguito nella chiesa madre dell’antica Noto il 28 agosto 1515 dal suo vicario generale Mons. Giacomo Umana, netino e vescovo titolare di Scutari. Urbano VIII nella bolla del 12 settembre 1625 lo chiama “Santo” e ne stende il culto all’Ordine Francescano nel mondo. L’arca d’argento con il corpo di S. Corrado è in venerazione a Noto in Cattedrale.
Piacenza, Roma, Noto, …e l’Ordine Francescano hanno in San Corrado Confalonieri un faro luminoso di santità operosa. Egli - da vero uomo di pace e testimone di Cristo Risorto - tutti ci guida e sostiene.
Inseriti ormai nell’unità europea, il nostro Santo Eremita Piacentino ci sprona ad essere, anche come cristiani, operatori di pace nel nostro ambiente.
Mons. Salvatore Guastella