LETTURE DEL BLOG N. 120.882 AL 24 GENNAIO 2024

Quali devoti di San Corrado di Calendasco presso Piacenza, di Noto, di Roma e di ogni luogo, possiamo giovarci dello Studio inviatomi per mano del Prof. Concetto Delpopolo, Filologo Università di Torino, circa un suo importantissimo lavoro sul testo della antica Vita di San Corrado che si conserva a Noto.

Potrete leggere nell'Araldo lo Studio del Prof. Delpopolo seguito dal testo contenete le note.
Mons. Salvatore Guastella, studioso e storico della città e diocesi di Noto, ci ha fatto dono di un testo di commento allo Studio.
Grazie di cuore al Prof. Delpopolo ed a mons. Guastella che hanno contribuito ad arricchire la conoscenza culturale e cultuale del nostro Comune Patrono.

Umberto Battini

a nome di tutti i Devoti di S. Corrado Confalonieri TOR



Il Testo di mons. Guastella è relativo a:

Note e testi. Intrecci agiografici: eremiti ed altri

del Prof. Concetto Delpopolo

In “Rivista di Storia e Letteratura Religiosa” pp. 119-149. Torino, 2007.



Impressioni empatiche di un netino e devoto di San Corrado




Trovo culturalmente molto interessante questo originale e scientificamente elaborato studio [‘articolo’ dice l’Autore], che si sofferma e sviluppa in particolare su l’eremita piacentino San Corrado Confalonieri patrono della città e diocesi di Noto,

«Sono trenta pagine, delle quali la maggioranza destinata appunto a San Corrado e al testo originale della sua ‘Vita’», mi informa compiaciuto l’amico Umberto Battini di Calendasco piacentino, anch’egli devotissimo del santo eremita, trasmettendomi per e-mail il testo, da lui ricevuto dallo stessoProf. Delpopolo filologo e docente all’Università di Torino.

Il Delpopolo confessa che lo spunto di questo suo articolo risale al 1997, quando Enrico V. Maltese gli fece dono de «La ‘Vita’ del beato Corrado Confalonieri tratta dal codice dell’archivio capitolare della Cattedrale di Noto. Edizione critica con introduzione, traduzione, note e indici a cura di Carmelo Curti. Fidapa sezione di Noto, 1990» (v. pag.119). Altro testo-guida dell’illustre filologo è stato soprattutto il libro di Filippo Rotolo «Vita beati Corradi. Testo siciliano del XIV-XV secolo. Introduzione e note. Precisazioni sulla vita di S. Corrado e suo itinerario spirituale. Presentazione di Salvatore Guastella. Noto-Palermo, 1995» (v. pag. 130 nota 46). Questo studio di Rotolo è infatti corredato da un’ampia introduzione sui codici A e B della ‘Vita beati Corradi’, di ampie note storiche e filologiche e affronta scientificamente il problema della datazione, della genesi, dell’autore e del valore della ‘Vita’, mettendola in confronto con le biografie del Venuto, del Rapi e del Littara, e chiarendo alcuni problemi di forma e di contenuto. Avere voluto io pubblicato presso la tipografia Graf-Roma questo prezioso studio dell’amico francescano conventuale, è stato l’omaggio al Santo in occasione del mio 50° sacerdotale.

Come dicevo, è soprattutto sulla traccia del libro di Rotolo che il Prof. Delpopolo ha magistralmente sviluppato i riferimenti filologici su San Corrado - (in 18 pagine su 31 di testo) - nel corposo articolo «Note e testi. Intrecci agiografici: eremiti ed altri».

Pertanto l’Autore così inizia: «Nelle vite dei santi spesso si trovano episodi che sembrano vicendevolmente calchi…per emulazione e devozione; del resto il modello ultimo è Cristo, al quale ogni santo si ispira, e l’agiografo cerca e, cercando, trova un numero sempre maggiore di exempla per il proprio eroe: imitatio Christi per sanctos». E subito, alla nota 2, egli confessa: «lo spunto di questo articolo risale al 1997 quando Enrico V. Maltese mi ha donato la “Vita” del beato Corrado Confalonieri», pubblicata da Carmelo Curti nel 1990. Poi prosegue facendo notare i tanti intrecci agiografici che si riscontrano in tanti episodi di interscambio fra i due ordini religiosi (Francescani e Domenicani): «chi ha dimestichezza con l’agiografia ne è pienamente consapevole» commenta, e aggiunge: «Ricorderò soltanto, trattando prima del Poverello, il sogno di Innocenzo III, dipinto nel ciclo di Assisi, in cui si vede Francesco che sorregge la cadente basilica del Laterano. Ora è noto che i domenicani narrano lo stesso episodio, ma il protagonista è Domenico»

L’Autore passa quindi alla «lettura sempre più precisa del codice Vita beati Corradi» ed esprime originali intuizioni di comparazione ben condivisibili, come le seguenti:

- In merito all’autore anonimo del codice ‘Vita beati Corradi’ così chiosa: «Nel Prologo si legge: “Incipit vita beati Corradi […] quistu homu beatu Corradu”: il nome del beato congiunge i due estremi. Il titolo sacro sparisce subito dopo nel cap. I: declarata la patria (fu di Lumbardia), ci si sposta nel passato dell’uomo, che diventa misseri Corradu, o misseri Corrau. Il titolo ‘umano’, che ne indica la condizione di nobiltà, è ripetuto sempre fin quando Corrado resta nel secolo; poi, dopo che è ricevuto fra i servituri di Deu, si muta in frati Corradu, che nel corso dell’opera si alterna con beatu Corradu. Quando invece a lui si rivolgono i devoti, lo chiamano sempre: patri. La costanza [dell’anonimo] pare frutto di chi sapeva come utilizzare i titoli secolari e religiosi». Invece, mentre il Curti «esclude ogni conoscenza biblica dell’anonimo» non ha una cultura specifica né teologica nè biblica», il Rotolo «con più accurata analisi costruisce una pagina di citazioni dirette e indirette che ne riscattano la presunta ignoranza biblica». Il Prof. Delpopolo aggiunge: «l’autore [anonimo] non era un semplice orecchiante di argomenti sacri ed era conoscitore anche della retorica e, direi, buon narratore e vivace» (pp. 133-134).

- «Per l’aspetto narrativo riporto un esempio. Quando il vescovo di Siracusa va a trovare il frate, avendone sentito la fama, egli con il seguito entra nella cella di Corrado, dove un conciso elenco ci indirizza alla conclusione: “non chi trovaru lectu né pani, ecceptu unu cucuzzuni”. Non è gratuita l’ispezione perché, quando siederanno a tavola con il cibo portato dal vescovo, Corrado dice “Aspectati, quantu vayu perfina a la chella”: da lì reca quattro pani caldi, che offre agli ospiti. La sorpresa, essendoci stato prima un controllo, diventa miracolo, tanto che il vescovo se ne torna consolato e più convinto della santità del frate» (p.135).

- «Dicevo di fonti. Un episodio in particolare, quello della tentazione sulla carne, espressione oggi ambigua, che nel nostro testo vale ‘volere mangiare carne’; la lussuria non è la tentazione per eccellenza per questo santo, che, pur seguendo Benedetto (ed aggiungo Francesco del roseto di S. Maria degli Angeli), si getta fra le ortiche e i rovi non per domare il corpo, ma per superare la tentazione del cibo, nel caso specifico una ghiottoneria, trattandosi di fichi primaticci. L’archetipo sembra quello della nuova nascita: nato fra le spine come una rosa, secondo un topos comune all’agiografia, partendo da Ilarione. (…) Il cibo è, dunque, la fortissima tentazione del servo di Dio, poiché il “formagi russu”, la “bona gallina grassa”, la cassata di fave e farina d’orzo che farà andare a male, i fichi primaticci che desidera; proprio questa tentazione viene superata fra le spine, ne segnano l’itinerario spirituale; e ci saranno i miracoli in cui il cibo è protagonista. Anzi, la prima cosa che il santo eremita, giunto al luogo che gli è donato, fa, è: “plantau dimulti arbori et viti”; poi se ne allontana per l’accorrere dei fedeli e va “fora di la terra di Nothu et andau a lu desertu”, dove c’era una cava e lì costruisce il suo locus amoenus, perché “incominzau […] ad hedificari unu jardinu multu bellu et illocu plantau arangi et multi pedi di nuchi et di pira et multi lignagi di specii di viti”». E in nota Delpopolo commenta: «Queste coltivazioni sembrano fare da contrappasso alla devastazione dell’incendio, causa della conversione: “lu focu […] arsi multi arbori et campi et vigni et jardini”» (pp. 136-137)..

- Interessante la seguente riflessione dell’Autore sul “pane caldo” dell’eremita dei Pizzoni: «Per Corrado il cibo era poco pane, quasi niente, e beveva acqua e raramente vino, ma durante le quaresime solo “favi et chichiri et lintichi et altri ligumi” e non beveva vino. Scorrendo i vari episodi che compongono la Vita, sembra di avere un denominatore comune: pane per i poveri durante la carestia, pane miracoloso per il vescovo che va a trovarlo, i pesci, a mangiare i quali era stato invitato, sono divorati dal gatto, la miracolosa sostituzione della carne di maiale con pesce, per l’inganno che gli volevano fare; ancora pane che scende dal cielo, che Corrado offre ai giovani che lo volevano bastonare, non solo perdonandoli con la frase evangelica di Lc XXIII 24, ma addirittura difendendoli davanti al giudice con una vera restrictio mentalis; e pane caldo, sempre miracoloso, è dato dal santo ai giovani che lo avevano aiutato a rimuovere un masso enorme dalla sua grotta; infine il pane, sempre celestiali, ‘moltiplicato’ per dare aiuto a uomini e donne e bambini durante la carestia a Noto. Persino il paragone dell’ernia del bambino, che lui guarisce nel primo miracolo, è fatto col pane (“li testiculi multi grossi, cussì comu pani”)» (139).

- L’illustre filologo conclude con uno sguardo panoramico sul santo eremita dei Pizzoni: «La vita di Corrado ha uno svolgimento regolare e direi cronologico, con l’avvertenza di non prestare rigido valore alla parola nel susseguirsi di tutti i fatti. Dopo il prologo che attesta la veridicità della narrazione, segue lo schema canonico delle vite dei santi: luogo di nascita senza indicazione temporale; condizione sociale elevata e vita spensierata nel secolo, quasi condicio sine qua non per la santificazione; bontà di animo di messeri Corradu e nobiltà della sua azione nel proclamarsi colpevole; spoliazione coatta delle cose del mondo e conversione, perché va a serviri Deu in una comunità, dove apprende dottrina e riceve abito religioso; pellegrinaggio a Roma e viaggio in Sicilia, allontanandosi così dalla propria terra; scelta di Noto e di un primo romitorio in un luogo datogli da un amico, dove, fra le fatiche, cresce in virtù, tanto che troppa gente va a visitarlo; si parte perciò e va “illà undi Deu ordinerà”: la volontà di Dio è quella che prevale. La sua vita diventa ancora più aspra e dura, la fama si espande, poiché i fedeli ne raccontano i miracoli; lui riceve tutti benevolmente, consolandoli e talora operando altri prodigi. La vita però non si svolge sempre nell’eremo, nella grotta scelta, poiché ogni tanto, come gli antichi padri del deserto, si reca in città. Proprio a Noto avviene il primo miracolo, operato col segno di croce e con l’imposizione delle mani e poi sfugge al ringraziamento degli uomini, nascondendo il volto, e torna nella spelonca a lodare Dio e a “ffari soy humilimenti”; anche qui la virtù è affidata ad un avverbio. Poi si succedono tre miracoli: quello dei fiaschi di vino (san Benedetto dei Dialoghi ne è il padre); quello del devoto salvato dal thronu (‘tuono’), quello del ragazzo liberato dal dirupo dove Satana lo aveva condotto con inganno; gli episodi si chiudono con preghiere, benedizioni, buone raccomandazioni». E poi conclude: «Dall’insieme risulta rivalutato l’anonimo agiografo che acquista qualche merito come narratore.» (pp. 148-149).

Al Prof. Concetto Delpopolo dobbiamo ed esprimiamo immensa gratitudine.

Per comprendere meglio questo suo interessante studio filologico in riferimento alla ‘Vita’ di San Corrado Confalonieri - il quale visse e morì il 19 febbraio 1351 in una grotta della cava dei Pizzoni dei Monti Iblei nel Val di Noto – è utile sapere che, già dal secolo IV, quella terra della Sicilia sud-orientale era ritenuta una ‘mini Tebaide’ e, geograficamente, locus d’ingresso in Europa e nel mondo occidentale della cultura greca e soprattutto del dono della fede cristiana, testimoniata dagli stessi apostoli Pietro e Paolo. Il primo vescovo di Siracusa, san Marciano, vi era stato inviato da San Pietro. San Paolo, nel suo viaggio apostolico attraverso Malta sino a Roma, costeggiando Capo Passero ed Eloro, approdò a Siracusa. Provvidenziale loro presenza che impresse l’iniziale slancio di fede nel nostro popolo. Nel 363, come scrive S. Girolamo, nel Golfo di Noto, sbarcò e per due anni dimorò nell’entroterra a 20 miglia dal mare l’eremita palestinese Sant’Ilarione. Con lui ha inizio l’esperienza eremitica e cenobitica, che San Corrado ha reso stabile nel carisma dell’accoglienza e del servizio per i fratelli. La grotta di S. Corrado catalizza tutt’oggi la religiosità popolare nel Val di Noto.

Salvatore Guastella




Per approfondire

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