LETTURE DEL BLOG N. 131.898 AL SABATO 28 DICEMBRE 2024


VIII CENTENARIO DELLA NASCITA


17 NOVEMBRE
SANTA ELISABETTA D'UNGHERIA
Patrona del Terz'Ordine Francescano

(1207 -1231)
Festa per i francescani

Figlia del re Andrea II d’Ungheria, fu data sposa assai giovane al duca Ludovico IV di Turingia. Vivacissima di carattere, molto dedita alla preghiera, era piena di carità attiva verso i poveri, i malati, gli appestati, operando contro ogni ingiustizia fatta al popolo, assecondata in ciò dal marito. Morto lui in una crociata, dovette coi suoi tre bambini, ventenne, lasciare la corte. Allora abbandonò ogni cosa per darsi tutta al Cristo «vivo», i poveri.
Iscrittasi al terz’ordine di san Francesco (morto un anno prima), si dedicò con umiltà e amore alle cure dei malati nell’ospedale che aveva eretto in suo onore a Marburgo. Visse come una «religiosa» fino alla morte, avvenuta il 17 novembre 1231. Fu canonizzata nel 1235. La «pista» evangelica da lei tracciata alle spose dei crociati fu percorsa come più luminosa che non quella di una conquista terrena.


Elisabetta conobbe ed amò Cristo nei poveri


Dalla «Lettera» scritta da Corrado di Marburgo, direttore spirituale di santa Elisabetta (Al pontefice, anno 1232; A. Wyss, Hessisches Urkundenbuch I, Lipsia 1879, 31-35)


Elisabetta incominciò presto a distinguersi in virtù e santità di vita. Ella aveva sempre consolato i poveri, ma da quando fece costruire un ospedale presso un suo castello, e vi raccolse malati di ogni genere, da allora si dedicò interamente alla cura dei bisognosi.
Distribuiva con larghezza i doni della sua beneficenza non solo a coloro che ne facevano domanda presso il suo ospedale, ma in tutti i territori dipendenti da suo marito. Arrivò al punto da erogare in beneficenza i proventi dei quattro principati di suo marito e da vendere oggetti di valore e vesti preziose per distribuirne il prezzo ai poveri.
Aveva preso l'abitudine di visitare tutti i suoi malati personalmente, due volte al giorno, al mattino e alla sera. Si prese cura diretta dei più ripugnanti. Nutrì alcuni, ad altri procurò un letto, altri portò sulle proprie spalle, prodigandosi sempre in ogni attività di bene, senza mettersi tuttavia per questo in contrasto con suo marito.
Dopo la morte di lui, tendendo alla più alta perfezione, mi domandò con molte lacrime che le permettessi di chiedere l'elemosina di porta in porta. Un Venerdì santo, quando gli altari sono spogli, poste la mani sull'altare in una cappella del suo castello, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni intimi, rinunziò alla propria volontà, a tutte le vanità del mondo e a tutto quello che nel vangelo il Salvatore ha consigliato di lasciare. Fatto questo, temendo di poter essere riassorbita dal rumore del mondo e dalla gloria umana, se rimaneva nei luoghi in cui era vissuta insieme al marito e in cui era tanto ben voluta e stimata, volle seguirmi a Marburgo, sebbene io non volessi. Quivi costruì un ospedale ove raccolse i malati e gli invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili ed i più derelitti.
Affermo davanti a Dio che raramente ho visto una donna così contemplativa come Elisabetta, che pure era dedita a molte attività. Alcuni religiosi e religiose constatarono assai spesso che, quando ella usciva dalla sua preghiera privata, emanava dal volto un mirabile splendore e che dai suoi occhi uscivano come dei raggi di sole.
Prima della morte ne ascoltai la confessione e le domandai cosa di dovesse fare dei suoi averi e delle suppellettili. Mi rispose che quanto sembrava sua proprietà era tutto dei poveri e mi pregò di distribuire loro ogni cosa, eccetto una tunica di nessun valore di cui era rivestita, e nella quale volle esser seppellita. Fatto questo, ricevette il Corpo del Signore. Poi, fino a sera, spesso ritornava su tutte le cose belle che aveva sentito nella predicazione. Infine raccomandò a Dio, con grandissima devozione, tutti coloro che le stavano dintorno, e spirò come addormentandosi dolcemente.


“Abbiamo creduto all'Amore”

Lettera in occasione dell'ottavo centenario
della nascita di Santa Elisabetta,
Principessa d'Ungheria, langravia di Turingia,
penitente Francescana
(1207 – 2007)

A tutte le sorelle e fratelli Francescani del Terzo Ordine Regolare
dell’Ordine Francescano Secolare della Conferenza Internazionale
Francescana Tor che onorano S. Elisabetta come Patrona,
e a tutti i devoti e ammiratori:
la misericordia di Dio ricolmi i vostri cuori.

1. VIII centenario: 1207-2007

1.1. Nell’anno 2007 celebriamo l’VIII centenario della nascita di S. Elisabetta principessa d’Ungheria, langravia di Turingia e penitente
francescana. L’anno giubilare si inizia il 17 novembre 2006 e si
concluderà il 17 novembre 2007. Il Terzo Ordine Francescano la onora come Patrona e tutta la famiglia francescana la annovera tra le sue glorie. Vogliamo approfittare di questa occasione per presentare la sua
eccezionale testimonianza di donazione a Dio Padre, nella sequela di
Cristo e nella sublimazione di tutto il suo essere nel Dio-Amore.
Vogliamo rievocare la consegna di tutte le sue energie nell’esercizio
della carità, fino all’eroismo.
Abbiamo creduto all’amore di Dio. Papa Benedetto XVI, nell’enciclica
programmatica del suo pontificato, Deus caritas est (DC 1), ci ha
ricordato che queste parole esprimono l’opzione fondamentale del
cristiano. L’amore fu l’asse intorno al quale si svolse tutta la vita di
Santa Elisabetta. Se l’inizio e lo sviluppo della nostra vita cristiana non
sono segnati da una decisione etica ma dall’incontro con una persona,
come dice il papa, il nostro desiderio è che quest’anno 2007 diventi un
incontro con Santa Elisabetta, che ci porti a una comprensione più
personale dell’amore di Dio, perché la nostra fede nel suo amore
diventi più forte, ci spinga e ci incoraggi ad essere strumenti della sua
misericordia. Forse possiamo realizzare con tutto il nostro cuore quella
che fu la scelta fondamentale di tutta la vita di Elisabetta: Abbiamo
creduto all’amore
.
L’astro di Santa Elisabetta nel firmamento della santità, della
solidarietà e degli apostoli della misericordia brilla della luce di Cristo.
Il suo merito trascende le frontiere della Chiesa cattolica e la sua figura
è ammirata e venerata anche dalle confessioni luterane. Scopriamo in
lei modelli universali di carità, di fraternità e di condivisione che
possono orientare nel settore dell’impegno sociale coloro che si
dedicano a spargere il seme della consolazione in mezzo all’umanità
sofferente.
Nella sua vita si incrociano atteggiamenti che rispecchiano
letteralmente il Vangelo di Gesù Cristo. Elisabetta accettò con
decisione intrepida e provocatoria i postulati proposti da Gesù sulla
signoria di Dio Padre, sulle esigenze di spogliarsi di tutto per farsi
piccoli, bambini per entrare nel regno del Padre. Lei dimenticò se
stessa per dedicarsi ai bisognosi: scoprì la presenza di Gesù nei poveri,
nei derelitti della società, negli affamati e nei malati (Mt, 25). Profuse
tutto l’impegno della sua vita nel vivere la misericordia del Dio-Amore
e nel testimoniarla in mezzo a quelli che non conoscevano quella degli
uomini.

Elisabetta, penitente francescana

4.1. Elisabetta d’Ungheria è la figura femminile che più genuinamente incarna lo spirito penitenziale di Francesco d’Assisi. Si è discusso se fu
o no terziaria francescana. Dobbiamo puntualizzare che negli anni di
Elisabetta non esisteva nella Chiesa una categoria ufficiale di religiose
penitenti francescane di vita comunitaria. Forse per questo o perché
non si tiene conto di ciò che era veramente l’ordine medievale della
penitenza promosso da Francesco, ci sono degli storici che, senza
fondamento, negano globalmente la sua appartenenza alla famiglia
francescana. Ignorano anche che Elisabetta fu una pioniera nella
creazione di uno stile di vita comunitaria e penitente dedicata alle opere
di misericordia, che dopo i secoli ha costituito uno de pilastri del
carisma terziario francescano. Sappiamo però con certezza che nei
tempi della morte e canonizzazione di Elisabetta c’erano in molti paesi
d’Europa penitenti guidati dai frati minori e da altri sacerdoti.

4.2. Un primo tentativo dei frati minori di penetrare in Germania nel
1219 fallì per mancanza di preparazione. Pochi anni dopo, nel
settembre di 1221, venticinque di loro intrapresero di nuovo la
missione in forma più pianificata sotto la guida di un fratello tedesco,
Cesario da Spira. Nel 1225, le fondazioni francescane in territorio
tedesco erano già 18. Non si trattava di grandi chiese con conventi, ma
umili centri familiari di predicazione. In quell’anno arrivarono anche a
Eisenach, la capitale della Turingia, nel cui castello di Wartburg
risiedeva la corte del gran ducato, presieduta da Lodovico ed
Elisabetta.
Giordano da Giano, che guidò questa spedizione, nella sua
cronaca delle fondazioni (1262) dice che entrò nell’Ordine «un laico
chiamato Ruggero il quale dopo diventò maestro di vita spirituale di
Santa Elisabetta, insegnandole a custodire la castità, l’umiltà e la
pazienza, a vegliare in orazione e a dedicarsi assiduamente alle opere di
misericordia» (FF 2352). Se Giordano ci dice che Ruggero era un laico
quando fu ammesso, non significa che dopo non fosse ordinato
sacerdote e diventasse anche confessore di Elisabetta. Lo stesso
Giordano entrò da laico e fu ordinato sacerdote nel 1223.
La predicazione dei frati minori tra il popolo consisteva
nell’esortare i fedeli a fare vita di penitenza, cioè, l’abbandono della vita
mondana, la pratica della preghiera, della mortificazione e l’esercizio
delle opere di misericordia. Tale fu l’insegnamento di Ruggero a
Elisabetta, quello che aveva imparato da Francesco, che penetrò nella
sua anima predisposta già per i valori dello spirito; questo viene
confermato da Giordano. Nel 1225 lei aveva 18 anni ed era sposata.

4.3. Le fonti francescane ci raccontano come Francesco optò per lo
stato di vita penitenziale, che consisteva in una esperienza intensa e
radicale di fede. Lo stato penitenziale si assumeva con un proposito o
rinuncia formale al mondo, come fece lo stesso Francesco che rifiutò
di diventare monaco. L’altro gesto significativo era l’adozione di un
abito penitenziale. Francesco scelse di seguire decisamente nella
povertà Gesù, il quale, essendo Dio, non ha voluto fare ostentazione
della sua condizione divina, ma si fece povero e si abbassò facendosi
uno di tanti (Fil 2, 6-7). Francesco dimostrò che la santità poteva fiorire
in mezzo al popolo se si fossero abbandonati gli interessi mondani.
Fece capire chiaramente che la santità non era patrimonio dei monaci,
né di eremiti. La prima regola dei penitenti, il Memoriale propositi, fu
approvata nel 1221, l’anno delle nozze di Elisabetta.
Essa visse profondamente l’incarnazione di Dio nell’umanità di
Gesù Cristo. Scese dal trono, si identificò con i diseredati della società
diventando una di loro. Già prima aveva dimostrato che anche nei
palazzi e nei castelli si poteva vivere la fede in Cristo, sottomessa alla
signoria di Dio Padre; ma dopo lo fece nell’abbandono e nella povertà,
nella gioia e nella sofferenza.

4.4. Tutta una serie di testimonianze convergenti ci parla del suo
essere francescana. Voler negare ciò equivarrebbe a violentare i testi, i
riferimenti alla sua vita, e ignorare l’istituzione penitenziale promossa
da San Francesco. I frati minori la educarono alla vita penitenziale e da
essi Elisabetta conobbe la personalità di Francesco. Se i Francescani
non la guidarono verso la penitenza, verso dove l’avrebbero orientata?
Quelli che hanno voluto vedere in lei una “semi-religiosa” vicina
all’ordine cistercense non hanno nessuna prova.
Le testimonianze sul suo vivere francescano sono molto evidenti
e innegabili nelle prime fonti. Non potremmo capire Elisabetta senza
questo aspetto fondamentale. Accenniamo ad alcuni riferimenti tra i
più espliciti:
— Fra Ruggero diventò la sua guida spirituale quando i
Francescani si stabilirono a Eisenach.
— Corrado, il sacerdote che, dopo l’incontro con frate Ruggero,
fu il suo direttore spirituale e confessore, in una sua lettera al papa,
chiamata anche Summa vitae, testimoniò che Elisabetta diede ai frati
francescani una cappella in Eisenach.
— Elisabetta filava la lana per gli abiti dei frati minori e per i
poveri. Ci possiamo domandare se questo atteggiamento era
conseguenza degli insegnamenti di Francesco che, nel suo testamento,
esortava i suoi fratelli a vivere del lavoro manuale, oppure, in caso di
necessità, ricorrere alla mendicità.
— Quando fu scacciata dal suo castello, sola e abbandonata, se
ne andò dai Francescani per far cantare un Te Deum di ringraziamento a
Dio.
— Il maestro Corrado dichiarò che un Venerdì Santo, il 24 di
marzo 1228, fece la professione pubblica nella cappella francescana. A
questo atto solenne erano presenti i frati, i parenti (le ancelle) e i suoi
figli. Davanti a tutti e per propria volontà, mise le mani sopra l’altare
spogliato, rinunciò alle vanità del mondo. Assunse anche l’abito grigio
dei penitenti come segno esterno. Tale era il colore che vestivano i frati
e i penitenti in quel tempo.
— Le quattro ancelle, che furono interrogate nel processo di
canonizzazione, presero anche lo stesso abito grigio. Corrado allude a
questa “tunica vile” con la quale Elisabetta volle essere sepolta. Per lei
questa tonaca costituiva un segno di capitale importanza: esprimeva la
professione religiosa che le aveva conferito una nuova identità.
— L’ospedale che fondò a Marburgo (1229), lo dedicò a San
Francesco, canonizzato nove mesi prima.
— Un autore anonimo cistercense (1236) afferma che, Elisabetta
«vestì l’abito grigio dei frati minori». Il colore grigio dei Francescani
deve essere inteso in senso molto generico, con un’ampia gamma di
toni che si possono ottenere con la mescolanza di lana naturale bianca
e nera. In questo senso parlano le referenze storiche di quel tempo.
Quelli che sostengono che Elisabetta fu di spiritualità cistercense non
hanno tenuto conto di questa testimonianza.
— L’impegno dimostrato da Elisabetta per vivere la povertà, fare
donazione di tutto e dedicarsi alla mendicità, non sono prerogative che
Francesco chiedeva ai suoi seguaci?

Fr. Ilija Živkovic, TOR
Ministro Generale
Encarnación Del Pozo, OSF
Ministro Generale
Sr. Anisia Schneider, OSF
Presidente CFI – TOR

Dal web www.ifc-tor.org dove si può leggere in integrale tutta la Lettera


Per approfondire

  • visita www.araldosancorrado.org
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