
L’Altare di San Corrado Confalonieri
esistente nel Duomo di Piacenza
prima dei restauri del ‘900

Nel libro, edito a Piacenza nel 1975, «IL DUOMO DI PIACENZA (1122-1972). Atti del Convegno di studi storici in occasione dell’850° anniversario della fondazione della Cattedrale di Piacenza», Luigi Tagliaferri nel servizio «Il Duomo prima dei restauri del ‘900» (pagg. 95-107) presenta e descrive minuziosamente affreschi e altari.
In merito all’Altare di S. Corrado Confalonieri annota: «Il nobile Gian Luigi Confalonieri, che divenne sacerdote dopo la morte della moglie, il 28 novembre 1612 con atto notarile ottenne dal Capitolo di erigere un altare a S. Corrado, precisamente alla quarta arcata della navata minore di sinistra. I lavori terminarono nel 1614. Il pittore di Lodi Giov. Battista Gallani, dipinse la volta in quattro spicchi con scene della vita del santo. “Jo. Bapt. Gallani faciebat 1613 laudensis”. L’altare era preziosamente decorato. La pala consisteva in una tela di Giovanni Lanfranco, dipinta a Roma forse l’anno 1618, rappresentante S. Corrado. Quest’opera, portata in Francia nel 1803, non è più tornata e figura ora nel Museo delle Belle Arti di Lione. Esiste una copia nella sagrestia superiore dei canonici. Dell’altare nessuna traccia. Il paliotto era in scagliola con San Corrado al centro. Il dorsale dell’altare in marmo aveva colonne con capitelli ionici e frontone con montante spezzato con una tabella centrale: “S.cto Conrado Placentino Tertii Franciscalis Ordinis anacoretae dicatum”» (pagg. 99-101).
Luigi Tagliaferri così conclude a pag. 107: «Molti altari, tante devozioni e molte opere d’arte avevano trasformato il Duomo in un museo. I restauri Scalabrini, necessari per il consolidamento dell’edificio, sono stati condotti nell’interno con criteri drastici. Ma non si può farne colpa agli uomini, eredi del gusto che ebbe inizio in Francia a metà dell’Ottocento, impietoso verso tutto ciò che in antichi edifici era barocco e ottocento. Le critiche furono vive anche allora. (…) Il 16 luglio del 1901 il popolo entrò nella cattedrale restaurata, ma i lavori all’esterno si protrassero sino all’agosto del 1902. Il popolino trovò che il suo Duomo era ridotto ad un vuoto fienile, altri osservavano che v’era entrata l’arte ma ne era uscita la pietà. In realtà era uscita e dispersa molta arte! Il Corriere della Sera del 27-28 luglio 1900 commentava favorevolmente: “Purificato dalle superfettazioni, pare che esso parli ancora un linguaggio calmo, sereno, e che ritrova la via per raccogliere la nostra mente in una disusata meditazione”.
Mons. Salvatore Guastella