INTERESSANTI NOTIZIE
CHE NON VANNO SOTTOVALUTATE
articolo a tutta pagina pubblicato sul quotidiano Libertà di Piacenza
il 15 febbraio 2012
SAN CORRADO CONFALONIERI
L'EREMITA PENITENTE
di Umberto Battini
La figura storica di questo Santo
piacentino passa attraverso la contestualizzazione con il
territorio, non ultima quella che oggi è la Via Francigena.
Difatti il nostro Santo Eremita inizia la sua
avventura spirituale da quel piccolo borgo che è Calendasco:
il castello e l’hospitio-romitorio. Ai nostri giorni abbiamo
proprio qui sul Po, il passo francigeno detto “di Sigerico”.
Il romitorio già verso il 1280 era retto da frà Aristide,
maestro spirituale di s. Corrado e superiore del piccolo
ospedale, proprio frà Aristide nel 1290 andò a Montefalco
per presiedere alla costruzione del convento di s. Chiara e
poi tornò a reggere la sua Comunità piacentina di fraticelli
della penitenza o del terz’ordine francescano. Nel 1315
circa vi è l’incendio devastante causato dal Confalonieri
durante la caccia, e se fino a qualche anno fa la
storiografia lo indicava essere nei pressi di Celleri,
basandosi solo su una tradizione, ora abbiamo il sostegno di
una pergamena che ribalta e corrobora la storia. L’abbiamo
rintracciata in Archivio di Stato a Parma nel fondo del
monastero di Quartazzola, è una pergamena in scrittura
corsiva latina datata 11 gennaio 1589.
Questa investitura di
un fondo terriero di 200 pertiche piacentine (circa 45 campi
da calcio) ci dice che le terre in direzione di S. Nicolò a
Trebbia e che coinvolgono anche il territorio di Calendasco
sono chiamate “alla Brugiata”.
Questo grande spazio rurale
fatto di campi coltivabili, boschi
e viti con ragione possiamo intenderlo come la prova
che lì un tempo vi fu un grande incendio, indicato appunto
dalla toponomastica che chiama tutto quell’appezzamento
“Bruciata” nonostante fosse stato terreno fertile e coltivo.
D’altra parte anche le “case bruciate” di Celleri sono una
indicazione toponomastica così come il “molino bruciato” di
Calendasco. Gli Statuti piacentini più antichi, quelli del
feroce Galeazzo Visconti (1322 – 1336) prevedevano per
l’incendio doloso varie pene a seconda della gravità ed
entità dello stesso, ma il reo poteva pagare il danno al
Comune con una grande somma pari a 200 lire oppure era
libero – tra virgolette - di fare una volontaria cessione di
tutti i beni.
Senza addentrarci nella questione, possiamo
credere fosse appunto questa la pena dovuta per l’incendio
del nostro santo come già la storia secolare tramanda e
ancor più quella del XV e XVI secolo scritta nella lontana
Noto. Lo sviluppo del culto al Santo Penitente ha una svolta
in Piacenza nel 1611, quando giunge la lettera del 1610
scritta dai Giurati da Noto, bellissima città sicula nella
quale da ormai sette secoli si conserva con somma
venerazione il corpo del Confalonieri. Nella lettera si
chiede di far ricerche negli archivi piacentini per scoprire
quello che il santo frate “habbia molto più occultato per
humiltà di quello che s’é investigato”. La risposta è in
parte nella lettera spedita da Piacenza nel 1611 che vede
gli Anziani e Priori comunicare quanto avevan potuto sapere.
Allegano alla missiva una “Informatione circa l’Illustre
Famiglia Confaloniera” dalla quale leggiamo testualmente che
nel Monastero francescano di S. Chiara, ancor oggi visibile
sullo Stradone Farnese, tra le tante cose avevan “trovato
notitia di una suor Gioannina Confalloniera che specialmente
viveva nel 1340
et anco nel 1356” e che poteva essere la moglie del Santo
Corrado al tempo della sua vita piacentina. Come detto, in
questi primi decenni del 1600 assistiamo a Piacenza un
rincorrersi di espressione di devozione e di propaganda del
culto molto significativa a s. Corrado Confalonieri.
In
Cattedrale gli si erige una cappella dipinta ed ornata con
altare e tutto per volontà di Gian Luigi Confalonieri,
affrescata nel 1613 dal Galeani pittore di Lodi, queste
belle quattro vele sono ancor oggi visibili e recentemente
restaurate. Rappresentano scene basilari della Vita del
Santo Eremita. Qualche anno dopo vi venne collocata una
bella tela del Lanfranco, che nel periodo napoleonico fu
trafugata ed ora è esposta nel museo di Lione in Francia.
Anche il canonico del duomo Pier Maria Campi scrisse una
Vita del Santo Corrado per assolvere alle richieste dei
netini che desideravano maggiori notizie e fu pubblicata nel
1614 a Piacenza. Cosa ancor più notabile, il vescovo mons.
Claudio Rangoni che era stato investito anch’egli dagli
Anziani di Noto di far ricerche sul santo piacentino,
suggella le ricerche storiche andando a validare di proprio
pugno il Legato Sancti Conradi. Redatto nel Palazzo
Episcopale dal Cancelliere e Notaio della curia il 9 agosto
1617, vede la volontà del Conte Zanardi Landi di erigere una
cappella ed altare al Santo piacentino nella chiesa di
Calendasco.
A fondamento dell’atto giuridico che ha valore
pubblico con proprie forme solenni, secondo le regole ferree
della diplomatica, vi si afferma che i Confalonieri erano
abitatori e feudatari di Calendasco; che il culto era già
esistente e che andava rinvigorito proprio nel borgo citato
e, si badi bene, cosa importantissima per la storiografia è
che si afferma che il santo Corrado è nato fisicamente in
Calendasco “in eodem loco”. Dal punto di vista storico
questa è una notizia eccezionale perché và a chiudere
tessere mancanti e apre ancor più a nuovi stimoli di
ricerca. Il famoso Legato in scrittura latina, dopo aver
illustrato clausole e somme circa il culto e la santa messa
in onore al Santo, si conclude con la firma dei testimoni e
del vescovo che “per tutti e per ognuno, e dopo aver
osservate le debite formalità della legge, dalla pienezza
della sua autorità Episcopale, interpose e interpone e
parimenti decreta.”. E proprio Calendasco – unico caso in
tutta la diocesi piacentina – lo avrà quale Patrono da quei
giorni andando anche ad abbellire la cappella del Santo con
la stupenda pala che lo raffigura ormai vecchio
penitente con sullo sfondo il ricordo dell’incendio frutto
della sua conversione e cambiamento di vita. Purtroppo gli
affreschi esistenti su alcune pareti laterali della chiesa,
con scene della Vita Conradi vennero coperti da una pittura
omogenea nel 1971 durante i grandi lavori di adeguamento
dello spazio liturgico secondo i canoni prospettati dal
Concilio Vaticano II voluti dallo storico arciprete del
borgo nonché Canonico di S. Antonino don Federico Peratici.
Oggi si ammirano di quegli anni gli affreschi del piacentino
Ricchetti e in particolare il suo possente san Corrado sotto
la croce posto nell’abside tra santi piacentini. La
Tradizione ce lo fa conoscere come San Corrado da Piacenza,
e questo giustamente perché la Casata Confalonieri possedeva
anche in città in zona S. Eufemia un palazzo ed in
Cattedrale si eresse la bella cappella con altare oggi
demoliti, e per di più la città è indicativa di un’area
facilmente individuabile da qualsiasi devoto in Italia.
Resta però il dato storico: la nascita fisica del Santo nel
piccolo feudo e borgo di Calendasco, un dato che perlomeno
non va ignorato ma anzi dovrebbe essere con serietà
riconosciuto. Ma c’è pure un altro aspetto da porre sotto
attenzione e che poco si è valorizzato, riguarda gli
accadimenti propri del 1300 e che ebbero anche una
ripercussione su coloro i quali vivevano da laici convertiti
e penitenti come il nostro Corrado. Il papa Giovanni XXII
nel 1318 con una bolla aveva scomunicato i frati dissidenti
detti volgarmente “spirituali” facilmente confondibili per
tipologia d’abito con i fratres de la penitentia
francescani. Già nel 1312 un folto gruppo di questi era
fuggito, con altri del nord Italia, in Sicilia terra poi
d’elezione del nostro eremita. Se Corrado nel 1315 vive la
famigerata causa dell’incendio, da una parte lo vediamo
essere sotto il martello e l’incudine, perché egli è guelfo
e quindi schierato con la Chiesa diversamente dal Galeazzo
Visconti ghibellino, però allo stesso tempo veste l’abito
bigio penitenziale terziario confuso con quello degli
“eretici” che, lo sappiamo dal frate Aristide, seguiva la
Regola del 1289 per i laici religiosi, la famosissima Supra
Montem di papa Niccolò IV. Nel contempo la confusione era
estrema: anche i Poveri Eremiti del frate Clareno furono
sciolti ed il pasticcio tra Beghini e Spirituali era
talmente esteso che con una altra bolla del 1319 lo stesso
papa Giovanni XXII dovette difendere e proteggere
ufficialmente i Penitenti e Terziari francescani dicendo che
non andavano confusi con i ribelli. Ed anche la cosiddetta
faccenda Templare coinvolge gli anni corradiani;
l’istruttoria contro i frati Templari si aprì nel 1307 e si
concluse nel 1312.
Come sappiamo i templari di Piacenza
furono tutti assolti dall’accusa di eresia nel 1310 ed anzi
già nel 1304, al primo sentore di cattive notizie a loro
riguardo, avevano donato i loro beni ai domenicani
piacentini. Era questo il clima politico-sociale e religioso
che vigeva quando san Corrado ebbe il suo incontro con
quelli che la Vita Conradi più antica, il manoscritto netino
del XIV secolo, diceva esser stati poviri et servituri di
Deu.
Altra questione sul fuoco – termine adatto per una
santo “incendiario” - è quella dell’iter della sua
beatificazione e poi santificazione. A Noto, e per fortuna
proprio là, diremmo oggi rileggendo i fatti e la storia, in
quella lontana città ove visse da eremita nella grotta dei
Pizzoni, alla sua morte avvenuta nella tarda mattinata del
19 febbraio 1351, immediatamente ne furono riconosciute le
virtù di santità; già da vivo infatti Corrado compì tanti e
copiosi miracoli: primo resta quello del pane che caldo
portava fuori dalla grotta ai tanti miseri e visitatori. Non
avevan certo bisogno di tante altre prove i cittadini di
Noto per riconoscere in lui un sant’uomo, l’avevano
sperimentato da vivo e ne portavano memoria e rispetto
estremi. Tralasciamo qui di approfondire ulteriori fatti
venuti da Noto e atteniamoci alla sua patria piacentina. Nei
secoli successivi, durante l’iter diciamo “romano” della
causa, un aspetto che la storiografia corradiana non prende
in considerazione e che mettiamo sul piatto, è strettamente
connesso ai suoi discendenti di Piacenza e Calendasco nel
particolare. Infatti nel 1547 il duca Pierluigi Farnese fu
assassinato a Piacenza e tra i Nobili cospiratori è anche
Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco. Il Duca
sappiamo che era figlio di papa Paolo III e la famiglia
Farnese una delle più in vista a Roma. Dopo varie vicende si
arrivò alla confisca dei beni dei congiurati e tra questi
quelli appartenuti appunto anche al Confalonieri assassino,
tutto questo circa quaranta anni dopo il fatto. In Archivio
di Stato di Parma abbiamo consultato gli atti della confisca
e tra i beni che possedeva a Calendasco il feudatario Giovan
Luigi Confalonieri e suoi fratelli, vi è anche una parte di
quello che è l’hospitio posto in “Co’ di Borgo” cioè
all’inizio del paese come è ancora attualmente oggi
visibile.
I beni sono acquistati dallo Zanardi Landi e con
quella fortissima somma il congiurato in questione è
costretto al bando da Piacenza e portarsi a Milano. Casi
della storia: Giovan Luigi Confalonieri, colui che circa
cinquant’anni prima uccise il Duca piacentino, nei primi
anni del 1600 fu fatto Capitano di Giustizia a Milano.
Questa sintesi per far comprendere con logica come mai
l’iter di santità del nostro Eremita non potè che
concludersi in pieno seicento; la macchia della Casata dei
Confalonieri d’aver ucciso il figlio di Paolo III si
trascinò certamente per anni, anche come memoria nella
stessa Curia Vaticana. La causa per la santità cominciata a
Noto nel 1485, poi sospesa, vede la conferma del culto nel
1515 per mano di papa Leone X; la conclusione per brevità
possiamo porla con la bolla di papa Urbano VIII che nel 1625
concede al Ministro Generale dei Frati Minori Cappuccini di
celebrare la festa del Santo Corrado in tutto l’Ordine
francescano dell’orbe. Intanto restiamo in attesa del
gemellaggio tra le diocesi di Piacenza e Noto auspicando che
la cosa non si risolva in sola retorica e a beneficio dei
soliti noti ma che possa coinvolgere appieno tutti quei
devoti che in vario modo amano e studiano questa bella
figura di Santo.
Umberto Battini