LETTURE DEL BLOG N. 144.504 A SABATO 16 AGOSTO 2025

DALL'EREMO ALLA CATTEDRALE

XXV TRASLAZIONE
DI SAN CORRADO A NOTO
SABATO 9 AGOSTO 2025
IL RITORNO DELL'ARCA
 
La Processione è partita dall'Eremo Santuario
alle ore 19 della sera
 
Alcune belle immagini dovute alla cortesia
di un Devoto di San Corrado per tutti coloro
che Amano il Santo Patrono 

 

IMMAGINI AGOSTO 2025

L'ARCA NELLA GROTTA
VEGLIATA DAI FEDELI PORTATORI DEI CILII 
E PORTATORI DI SAN CORRADO
 
Nei giorni in cui l'Arca resta nella grotta del Santuario a Noto,
a turni gestiti da volontari, soci fedeli dei Portatori di San Corrado e dei
Portatori dei Cilii, la piantonano.
Un gesto molto devozionale, d'accoglienza ai tanti pellegrini.
Ed anche una suggestiva fotografia dell'Arca di S. Corrado accanto
alla statua della Madonna della Scala, a Noto Antica.
Inoltre una bella immagine dell'Arca dentro al furgone allestito
dalla Diocesi netina, per il Pellegrinaggio devozionale ai vari luoghi diocesani. 
 
Le immagini sono prese da Internet e sono solo indicative,
infatti tantissimi sono i Soci Portatori di S. Corrado e dei Cilii
che si alternano.
 

 
 

SAN CORRADO NELLA GROTTA

L'ARCA NELLA GROTTA
DEL SANTUARIO DI NOTO
La Casa dell'Eremita
 
Con la XXV Traslazione dell'Arca dalla Basilica Cattedrale alla grotta
che è contenuta nel Santuario, San Corrado è tornato nella sua casa di eremita.
Secondo gli ottimi studi storici compiuti da mons. Nunzio Zappulla, il Patrono arrivò in città a Noto Antica verso l'anno 1343.
Dopo un certo periodo S. Corrado si trasferì nella Valle dei Tre Pizzoni,
oggi detta anche Valle dei Miracoli, nella grotta.

le fotografie sono dei Portatori dei Cilii di Noto, cui va un grazie per averle messe
a disposizione di tutti i Fedeli e Devoti di San Corrado in Italia e nel Mondo 

NOTO ANTICA 2025

SAN CORRADO A NOTO ANTICA
RITORNA A SOLCARE IL TERRENO
DI QUANDO ERA IN VITA
Una Traslazione storica questa del 2025
l'Arca in processione a Noto Antica 
 
Nelle stupende prime immagini scattate dai devoti del Patrono, l'Arca splendente sotto al sole di Noto Antica, portata in processione circondata dai maestosi Cilii.
Una grande folla di fedeli ha partecipato a questa storica processione, che è parte dei festeggiamenti agostani a San Corrado, per la sua grandiosa Traslazione numero XXV (25).
Un momento importante, che scalda il cuore, e ravviva la devozione e la fede, infatti tutti con gli occhi del cuore, intravedono San Corrado camminare tra queste mura antiche e preziose, sebbene siano i resti del terremoto del 1693.
L'Arca splende e il Santo è Glorificato in modo sublime.
La santa messa celebrata dal Vescovo di Noto con i tanti sacerdoti è stato il momento cruciale, infatti fede, venerazione ai Santi e Sacra Liturgia eucaristica sono un fulcro del credere cristiano.
 
aggiornamento fotografico della processione nei prossimi giorni 
 

 
 

ARCA DI SAN CORRADO ALL'EREMO

TRASLATA L'ARCA DEL PATRONO
DALLA CATTEDRALE ALL'EREMO
Con la grandiosa processione tenuta nella notte di luglio
della domenica 27 di questo 2025, si è portata l'Arca che
contiene il corpo di S. Corrado, fino al Santuario,
dentro alla grotta dove visse.
Si tratta della XXV Traslazione Storica.
Nella foto presa da facebook scattata da
Massimo Franzo Cavarra l'Arca posta sul grande
piazzale davanti al Santuario, prima della Santa Messa.
Infine verrà esposta dentro alla grotta
per la venerazione di tutti i fedeli. 

 

IL SANTUARIO DI SAN CORRADO

TESTO DESCRITTIVO EDITO NEL 1998
di mons. Salvatore Guastella
Insigne Sacerdote e Storico della Città e Diocesi di Noto (Siracusa) 

Dalla guida «IL SANTUARIO DI S. CORRADO»

Edizione Santuario Parrocchia S. Corrado F. M.

Noto (Siracusa), 1998 – pagg. 15-23

(Le note al testo sono state omesse)

di mons. Salvatore Guastella

Santuario di S. Corrado nella Valle dei Miracoli o dei Tre Pizzoni 1907 - Noto

Una dolce certezza nel patrocinio di S. Corrado Confalonieri ci porta in pellegrinaggio ideale alla Grotta dei Pizzoni, che ha conosciuto la preghiera e le penitenze del santo Anacoreta. Da allora la contrada netina di San Corrado di fuori, luogo di villeggiatura e di sereno svago e ripo­so, ove l'anima s'inebria di sole e di cielo, è anche "giardino di preghiera" poiché la giornata può iniziare con la prece nella chiesa dell'Assunta all'eremo superiore e concludersi con un mini-pellegrinaggio al silente Santuario in valle.

Verso il Santuario

Subito dopo la ridente borgata di S. Corrado di fuori, a 6 km da Noto, un ampio delta stradale segnala la discesa che porta all'esedra della Valle dei Miracoli, slargo triplicato nel 1932: attorno, un'ampia pineta che fa da scenario verde dove giunge la scalinata rocciosa che raccorda lo slargo stesso con la piazzetta della borgata; al margine sud la sottostante Fontana di San Corrado, che dal 1902 offre, con fresco chiocchiolìo, acqua salutare, che poi scorre silente tra mirti e oleandri lungo la cava dei Pizzoni alla sinistra del Santuario.

Conduce al Santuario un ingresso d'intaglio lavorato con artistico cancello (sec. XVIII) sovrastato da un cartiglio che avverte: "Non avvicinarti: togliti prima i calzari perché il luogo dove stai è terra santa e porta del cielo" (cf. Esodo 3,5). E il pellegrino o visitatore, quasi assorto in un'atmosfera mistica, si avvia nel viale fiancheggiato da due aiuole di rose e piante aromatiche; poi alcuni gradini e un altro cancello introducono nel verde vialetto-atrio balaustrato dall'acciottolato policromo.

L'artistico Prospetto

Nell'artistico prospetto settecentesco del Santuario troneggia, in alto, la statua del S. Eremita che, con il largo panneggio del saio, sembra voler accogliere e proteggere i fedeli che qui vengono a pregarlo. A sini­stra e a livello dell'eremo-ritiro, l'agile campanile: la campana è del 1757.

Ai due lati del portale d'ingresso, due grandi lapidi-ricordo del pel­legrinaggio: 1) dei partecipanti al IV Congresso regionale cattolico, te­nuto a Noto il 14-17 dicembre 1903, presenti Luigi Sturzo e Romolo Murri; 2) dei vescovi di Sicilia in occasione della Conferenza episcopale, tenuta a Noto dal 27.2 al 1.3.1924.

Sul portale si poteva leggere la seguente iscrizione-ricordo, sormontata dallo stemma di Noto: "Per munificenza di Ferdinando IV questo Santuario oltremodo celebre, stanza di santità per quasi 500 anni rimon­tando al beatissimo Corrado, fu restituito con voto universale assieme agli eremi circonvicini in tutti i suoi diritti, giurisdizione ed accrescen­done autorità, il 10.2.1792". Ma la rivoluzione del 1860 la fece rimuovere; attualmente si conserva nel museo-pinacoteca del Santuario.

Poco prima del Santuario, lungo la parete rocciosa e in ripida salita un sentiero scalinato porta ad una grotta con cancello, dove S. Corrado soleva ritirarsi a riposare; a metà della stessa salita, il sentiero volge a sinistra per raggiungere in alto un'altra grotta più piccola, a circa 15 metri dal suolo, tradizionalmente detta di San Guglielmo.

Descrizione del Santuario

Distaccati, o pellegrino, per un momento dalle preoccupazioni terre­ne, varca in raccolto silenzio la soglia del luogo sacro: disponiti alla preghiera e ali' ascolto nella dolce penombra della Grotta di San Corrado.

Il Santuario, ad unica navata, venne eretto nel 1751 (come si legge nell'arco interno d'ingresso) per la custodia della s. Grotta e fu consa­crato il 5 novembre 1759 da Mons. Giuseppe Antonio Requesens O.S .B., vescovo di Siracusa. Il Senato Netino aveva contribuito alle spese di erezione del Santuario e s'impegnò a tenere accesa la lampada liturgica a proprio carico. La Via Crucis è del 15.10.1775.

Gli stucchi indorati della volta e delle pareti sono opera del pittore netino Baldassare Basile (1890), opportunamente ritoccati da Matteo Santocono (coadiuvato dal giovane Giuseppe Pirrone) nel 1922 e poi nel 1954. Tutta la decorazione interna della chiesa stessa è stata restaurata a regola d'arte nel 1980-81, grazie alla generosità dei fedeli e alla collaborazione tecnica volontaria di Gioacchino Santocono, Corrado Civello e Leonardo Giliberto; il tetto è stato totalmente rinnovato nelle travi portanti e impermeabilizzato sotto le tegole nello stesso periodo.

A Destra la Grotta di S. Corrado

Questa famosa e venerata Grotta, "cuore" della nostra devozione a San Corrado, ci ricorda dal vivo la sua presenza e ci fa sentire in buona compagnia nel cammino verso Cristo lungo le strade della nostra vita. Al visitatore attento questo sacro speco ricorda il primato della preghie­ra e del Vangelo, che offre la sintesi tra la lode di Dio e il servizio del prossimo incominciando dagli ultimi.

La Grotta mostra sul duro sasso il segno delle ginocchia del santo Eremita orante, così come plasticamente vedi in quel bel San Corrado in candido marmo, di grandezza naturale, inginocchiato (modellato da Giuseppe Pirrone nel 1936): il Santo ha il capo eretto e gli occhi estatici in Colui nel quale è assorto. "Il popolo gli si affolla intorno, riconoscendo nella scultura il Santo che ama, e si sente invitato a pregare. Fanno baciare ai bambini il bel volto e le splendide mani; gli adulti, specialmente le donne, ne baciano reverentemente la spalla. Nel vuoto che è tra le mani giunte ed il petto gli sposi novelli depongono fiori e il velo, quasi a promessa di fedeltà" (Americo Bianchi orionino, 1974).

Nella s. Grotta l'altare in marmo bianco (m. 1,80 x 0,65) con la pre­della (m. 1,80 x 1,50), opera del marmista netino Rosario Celeste, è stato consacrato dal vescovo di Noto, Mons. Giuseppe Vizzini, il 28 luglio 1934, inserendovi le reliquie dei santi Corrado e Guglielmo, e dei santi martiri Alessio e Temperanza.

Nella grande nicchia rocciosa di fondo, dietro l'altare, si possono scorgere tracce di un antico affresco; tradizione e storia dicono che rap­presenta la Madonna con Gesù Bambino tra due Santi. Il dipinto ha certo subito ritocchi e restauri lungo i secoli; esso comunque è databile almeno alla prima metà del sec. XVI, cioè al tempo del beato Antonio Etiope eremita, il quale "per soi devoti orationi andava a la ecclesia di sancto Corrado che è una grocta, a la quali si ci achana per circa dechi scaluni". L'attuale Santuario del 1751 per il pavimento realizzato a livello della Grotta ha nascosto e coperto quei dieci gradin i.

A custodia della venerata Grotta l'eremita fra Carmelo Murana fece modellare a Napoli nel 1846 l'artistico cancello, con l'obolo del principe Nicolaci di Villadorata.

Il 18 settembre 1984 un incendio, forse per un corto circuito, danneggiò nella Grotta il San Corrado marmoreo del Pirrone e quello ligneo settecentesco posto nella nicchia dinanzi la Grotta stessa: sono stati ben restaurati nel 1986.

Pellegrinare alla Grotta di San Corrado è il voto di ogni suo devoto, e la si lascia con un senso misterioso di pace che invade l'anima e con San Corrado nel cuore!

L'altare Maggiore

L’altare centrale troneggia una grande tela del 1759 in ricca cornice barocca, raffigurante la Beata Vergine Maria Mediatrice che al Bam­bino Gesù indica San Corrado orante, perché lo benedica; a loro fanno corona dieci Angeli in vari atteggiamenti estatici; il Santo Eremita sem­bra invitare ad unirci alla sua preghiera filiale alla Madonna. Questo suggestivo quadro (m. 2,90 x 1,60) - donato al Santuario nel 1764 dalla principessa di Butera - è opera lodata della maturità artistica di Sebastiano Conca (Gaeta, 1680-1764), allievo del grande Solimena: esempio significativo di ricercata dolcezza del rococò settecentesco. Da notare nella composizione pittorica: 1) lo studio dettagliato e scrupoloso dell'aspetto della Vergine col Bambino, di S. Corrado e dell'Angelo in alto a destra; 2) l'armonia delle parti, sempre suggestiva, nella visione d'insieme. Questa preziosa tela del Conca è stata opportunamente restaurata e rimessa in onore nell'agosto 1981 in occasione della venuta dell'Arca d'argento con il corpo del Santo nella sua Grotta al Santuario.

Sono dello stesso anno il Tabernacolo nuovo più decoroso, le tre artistiche poltrone e la predella. Mentre l'altare portatile "coram populo" in legno scolpito è del 1979. Nel presbiterio, in alto a sinistra, la finestra ha dal 1981 una elegante vetrata a colori raffigurante S. Corrado.

In alto a destra, un matronéo balaustrato all'altezza del Museo, al quale si accede dalla sacrestia e da gradini scavati nella roccia; il cancello d'ingresso è del 1925.

Sempre dalla sacrestia, uscendo, si scende al sottostante artistico Presepe elettromeccanico, che dal 1975 sostituisce quello antico francescanamente semplice, che era posto sull'altare maggiore. Que­st'altro, moderno, copre ben 60 metri quadrati di impiantino per le varie scene. Il gruppo principale delle statuette di cartapesta, alte 50/60 cm., sono di scuola napoletana. Al centro del paesaggio la "santa grotta" col Bambinello Gesù, la Madonna e S. Giuseppe; accanto il bue e l'asinello, in alto uno stuolo di Angeli.

Il Santuario custodisce in teca d'argento una reliquia di S. Corrado, dono del Senato Netino (23.2.1753).

L'altare del Crocifisso con  S. Leonzio  Martire

L'altare al lato sinistro del Santuario - di fronte alla Grotta di San Corrado - è dedicato al Ss. Crocifisso, per l'artistico Cristo in Croce settecentesco, in legno e a grandezza naturale: opera del napoletano Gaetano Franzese, con sottoquadro dell'Addolorata (sec. XVII). Subito sotto: la statua reclinata di San Leonzio Martire che, in atto di dormire, posa il capo su un origliere contenente le sue reliquie, dono del papa Gregorio XVI.

Infatti il trentaseienne eremita fra Carmelo Murana, che nel 1844 era andato a Napoli "per trattare affari dell'eremo netino", là seppe dell'elezio­ne di Mons. Giuseppe Menditto da Capua a 1° vescovo di Noto e andò ad ossequiarlo. Mons. Menditto, che doveva recarsi a Roma per ricevere il 28 luglio la consacrazione episcopale, volle che lo accompagnasse. Il buon eremita ne profittò per chiedere al Papa un'insigne reliquia di santo martire: per l'interessamento del vescovo Menditto ottenne il 20 luglio il corpo di San Leonzio. Con sommo gaudio e devozione ne curò la traslazione al San­tuario di San Corrado di fuori, dove è esposto su quest'altare in artistica urna di vetro. Ritornando poi a Napoli il 18 agosto 1845, fra Carmelo ne profittò per ordinare l'incisione dell'immagine del Santo. La festa del San­to Martire si celebrava in Santuario l'ultima domenica di maggio.

Santuario-Parrocchia

Il 22 agosto 1923 il vescovo Mons. Giuseppe Vizzini, "volendo dare un migliore e definitivo assetto pastorale alle pratiche religiose in questo luogo che si era man mano popolato e trasformato in borgata", assùnse l'iniziativa di erigere la Parrocchia nel Santuario, promulgando­ne la bolla proprio mentre l'Arca argentea di S. Corrado dimorava nella sua Grotta.

Il culto a S. Corrado Confalonieri in questa "terra santa" netina può aiutare la Chiesa locale evangelizzatrice delle tradizioni popolari ad in­carnare il Vangelo; può inoltre corroborare la fede e la religiosità di ogni devoto che lo ha a celeste Patrono.

Ritornare periodicamente alla Grotta dei Pizzoni è voler attingere forza e coraggio per seguire le orme di San Corrado, a gloria di Dio e a salvezza del nostro mondo così disorientato, ma capace di conversione per la divina misericordia.

Testo di mons. Salvatore Guastella - insigne Sacerdote Storico della Città e Diocesi di Noto (Siracusa)

 

DOMENICA 20 LUGLIO 2025 NOTO

L'ARCA TRASLATA
ALL'ALTARE MAGGIORE 
In Cattedrale a Noto 

 

PERCORSO PROCESSIONE DEL 27 LUGLIO

IL PERCORSO DELL'ARCA
DALLA CATTEDRALE ALL'EREMO 
DOMENICA 27 LUGLIO 2025 

 

NOTO 27 LUGLIO 2025

XXV TRASLAZIONE
DELL'ARCA DI SAN CORRADO
Inizio processione dalla Cattedrale di Noto
alle ore 2 del mattino di domenica 27 luglio 2025

 

TRASLAZIONE 2025

IL PROGRAMMA
DELLA FESTA A NOTO
PER SAN CORRADO CONFALONIERI
XXV TRASLAZIONE DELL'ARCA
DALLA CATTEDRALE ALLA GROTTA

RELIQUIARIO DI SAN CORRADO

IN ARGENTO MASSICCIO
REALIZZATO CON LE OFFERTE DEI DEVOTI NETINI
 
Il Reliquiario del Braccio di S. Corrado
 
A Noto oltre al Corpo del Patrono, custodito come ben risaputo, in una stupenda Arca d'argento, in Cattedrale si conserva anche la Reliquia del Braccio, che viene solennemente esposta durante le sante celebrazioni Patronali giornaliere agostane e di febbraio.
Realizzato da un argentiere di Milano nell'anno 1950.
In questo anno 2025 ricorrono i 75 anni della sua realizzazione e di quando venne donato dal Popolo Netino Devoto a S. Corrado.
Nelle immagini potete notare dove sono posizionate le scritte dedicatorie ricerca-studio già presentata nel 2020.
Foto e ricerca a cura di Umberto Battini, studioso di San Corrado.
 

 

PORTATORE DEVOTO 2025

INIZIATIVA LODEVOLE
"PER DEVOZIONE A SAN CORRADO"
In occasione della XXV Traslazione dell'Arca
a cura della Società Fedeli e Portatori di San Corrado
di Noto 




 

SAN CORRADO DAL CASTELLO ALLA GROTTA

UN TESTO CHE RIASSUME PARTI STORICHE CRUCIALI
DELLA VITA DEL SANTO E DA NON SOTTOVALUTARE
PER UNA CORRETTA CRONACA STORICA 

citato come un “santo da neve” nella tradizione popolare piacentina, per il fatto che la festa ricade in pieno febbraio, il giorno 19. È stato un uomo segnato fin dalla prima gioventù di una sventura cruciale che darà una svolta inaspettata a tutta la sua vita.

È interessante e curiosissima la vicenda di San Corrado Confalonieri: sposato ventenne con Giovannina Vistarini di Lodi (nelle agiografie antiche è detta Eufrosina), ma già dalle ricerche d’archivio fatte nel 1611 qui a Piacenza si rintracciò appunto nel monastero di Santa Chiara di Piacenza una “Joanna Confanonerii” ancora vivente nel 1351 e che si riteneva “potesse esser senza nulla in contrario la sposa” di Corrado.

Le ricerche contemporanee sulle pergamene notarili nell’Archivio di Stato a Piacenza confermano in pieno questo dato: c’è eccome, segnalata tra le monache, anche questa “Joannina” e che ipotizziamo poi trascritto come Eufrosina, ma questo rimane un dato secondario che non inficia la storia umana del Santo piacentino.

I Confalonieri erano una famiglia di militi vescovili, importanti e considerati: negli anni del medioevo avevano un privilegio, conservato per secoli: dalle “Informattioni” inviate a Noto dai Giurati di Piacenza nel 1611 apprendiamo che “il più anziano della stirpe” accompagnava l’ingresso del nuovo vescovo cittadino accogliendolo su di una “chinea bianca”.

Il feudo più importante che avevano era quello di Calendasco, poco lontano dalla città, vicino al Grande Fiume, con terre floride, boschi e vigneti, tanto che abbiamo potuto leggere in carte d’archivio del XVI secolo far cambio di terre con il parroco di Calendasco: cedono terre coltive vicino al paese e si prendono le terre parrocchiali gerbide, sortumose e soggette a inondazione nella zona “Raganella”.

Corrado nasce in quel castello nel 1290 ma nel 1315 - felicemente sposato ma ancora senza prole - durante una battuta di caccia causa un incendio, per motivo futile, stanare la selvaggina tra i rovi per il gusto dall’alto del suo cavallo, di poter scagliare la freccia fatale.

L’incendio devasta, brucia stalle, piccoli casamenti, probabilmente c’è qualche vittima: a Piacenza comanda il ghibellino Galeazzo Visconti di Milano, che sospetta un attentato al suo potere: gli sgherri per quietare il Visconti catturano un povero contadino. La faccenda sembra risolta, non è un attentato ma solo un incendio dovuto a incompetenza, e la forca attende l’innocente. Intanto il giovane Corrado si tormenta, al sicuro nel maniero del padre lì a Calendasco, dove nessuno andrebbe a rendergli conto, ma la coscienza e il buon consiglio della consorte lo portano a presentarsi nella cittadella viscontea di Piacenza, residenza di Galeazzo, e confessa.

La legge di quel medioevo, prevedeva per gli “incendiariorum” la certa pena di morte, ma per un nobile lo “Statuto civitate Placentiae” prevedeva “solo” il pagamento del danno. E così avviene.

Corrado subisce la dannazione della memoria dalla famiglia: gli viene data la sua parte d’eredità, paga e si ritrova abbandonato, solo con la moglie, anch’essa caduta in disgrazia con quel gesto insano. I Confalonieri però, resteranno i feudatari di Calendasco per ben tutto il XVI secolo, fino a che “migreranno” a Milano dopo il 1586 forzatamente dopo l’infausto fatto della congiura ed uccisione del 10 settembre 1547, di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III. Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco è tra i quattro fautori, e quel gesto costerà caro ancora una volta anche a San Corrado, infatti il culto per circa 50 anni sarà proibito nel feudo calendaschese e in tutto il piacentino.



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La vita di San Corrado, dal castello alla grotta
https://www.ilpiacenza.it/attualita/la-vita-di-san-corrado-dal-castello-alla-grotta.html
© IlPiacenza

citato come un “santo da neve” nella tradizione popolare piacentina, per il fatto che la festa ricade in pieno febbraio, il giorno 19. È stato un uomo segnato fin dalla prima gioventù di una sventura cruciale che darà una svolta inaspettata a tutta la sua vita.

È interessante e curiosissima la vicenda di San Corrado Confalonieri: sposato ventenne con Giovannina Vistarini di Lodi (nelle agiografie antiche è detta Eufrosina), ma già dalle ricerche d’archivio fatte nel 1611 qui a Piacenza si rintracciò appunto nel monastero di Santa Chiara di Piacenza una “Joanna Confanonerii” ancora vivente nel 1351 e che si riteneva “potesse esser senza nulla in contrario la sposa” di Corrado.

Le ricerche contemporanee sulle pergamene notarili nell’Archivio di Stato a Piacenza confermano in pieno questo dato: c’è eccome, segnalata tra le monache, anche questa “Joannina” e che ipotizziamo poi trascritto come Eufrosina, ma questo rimane un dato secondario che non inficia la storia umana del Santo piacentino.

I Confalonieri erano una famiglia di militi vescovili, importanti e considerati: negli anni del medioevo avevano un privilegio, conservato per secoli: dalle “Informattioni” inviate a Noto dai Giurati di Piacenza nel 1611 apprendiamo che “il più anziano della stirpe” accompagnava l’ingresso del nuovo vescovo cittadino accogliendolo su di una “chinea bianca”.

Il feudo più importante che avevano era quello di Calendasco, poco lontano dalla città, vicino al Grande Fiume, con terre floride, boschi e vigneti, tanto che abbiamo potuto leggere in carte d’archivio del XVI secolo far cambio di terre con il parroco di Calendasco: cedono terre coltive vicino al paese e si prendono le terre parrocchiali gerbide, sortumose e soggette a inondazione nella zona “Raganella”.

Corrado nasce in quel castello nel 1290 ma nel 1315 - felicemente sposato ma ancora senza prole - durante una battuta di caccia causa un incendio, per motivo futile, stanare la selvaggina tra i rovi per il gusto dall’alto del suo cavallo, di poter scagliare la freccia fatale.

L’incendio devasta, brucia stalle, piccoli casamenti, probabilmente c’è qualche vittima: a Piacenza comanda il ghibellino Galeazzo Visconti di Milano, che sospetta un attentato al suo potere: gli sgherri per quietare il Visconti catturano un povero contadino. La faccenda sembra risolta, non è un attentato ma solo un incendio dovuto a incompetenza, e la forca attende l’innocente. Intanto il giovane Corrado si tormenta, al sicuro nel maniero del padre lì a Calendasco, dove nessuno andrebbe a rendergli conto, ma la coscienza e il buon consiglio della consorte lo portano a presentarsi nella cittadella viscontea di Piacenza, residenza di Galeazzo, e confessa.

La legge di quel medioevo, prevedeva per gli “incendiariorum” la certa pena di morte, ma per un nobile lo “Statuto civitate Placentiae” prevedeva “solo” il pagamento del danno. E così avviene.

Corrado subisce la dannazione della memoria dalla famiglia: gli viene data la sua parte d’eredità, paga e si ritrova abbandonato, solo con la moglie, anch’essa caduta in disgrazia con quel gesto insano. I Confalonieri però, resteranno i feudatari di Calendasco per ben tutto il XVI secolo, fino a che “migreranno” a Milano dopo il 1586 forzatamente dopo l’infausto fatto della congiura ed uccisione del 10 settembre 1547, di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III. Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco è tra i quattro fautori, e quel gesto costerà caro ancora una volta anche a San Corrado, infatti il culto per circa 50 anni sarà proibito nel feudo calendaschese e in tutto il piacentino.



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La vita di San Corrado, dal castello alla grotta
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DAL CASTELLO ALLA GROTTA

LA VITA DI SAN CORRADO

 

Un evento cruciale della conversione sarà l'incendio durante la caccia, ma anche episodi cruenti dei suoi discendenti che fermeranno la diffusione del culto nel XVI secolo nel Piacentino  



E’ citato come un “santo da neve” nella tradizione popolare piacentina, per il fatto che la festa ricade in pieno febbraio esattamente il giorno 19. E’ stato un uomo segnato fin dalla prima gioventù di una sventura cruciale che darà una svolta inaspettata a tutta la sua vita. 

 

E’ interessante e curiosissima la vicenda di S. Corrado Confalonieri: sposato vent’enne con Giovannina Vistarini di Lodi (nelle agiografie antiche è detta Eufrosina) ma già dalle ricerche d’archivio fatte nel 1611 qui a Piacenza si rintracciò appunto nel monastero di Santa Chiara di Piacenza una “Joanna Confanonerii” ancora vivente nel 1351 e che si riteneva “potesse esser senza nulla in contrario la sposa” di Corrado.

 

Le ricerche contemporanee sulle pergamene notarili in Archivio di Stato a Piacenza confermano in pieno questo dato: c’è eccome, segnalata tra le monache, anche questa “Joannina” e che ipotizziamo poi trascritto come Eufrosina, ma questo rimane un dato secondario che non inficia la storia umana del Santo piacentino.

 

I Confalonieri erano una famiglia di militi vescovili, importanti e considerati: negli anni del medioevo avevano un privilegio, conservato per secoli: dalle “Informattioni” inviate a Noto dai Giurati di Piacenza nel 1611 apprendiamo che “il più anziano della stirpe” accompagnava l’ingresso del nuovo vescovo cittadino accogliendolo su di una “chinea bianca”. 

 

Il feudo più importante che avevano era quello di Calendasco, poco lontano dalla città, vicino al Grande Fiume, con terre floride, boschi e vigneti, tanto che abbiamo potuto leggere in carte d’archivio del XVI secolo far cambio di terre con il parroco di Calendasco: cedono terre coltive vicino al paese e si prendono le terre parrocchiali gerbide, sortumose e soggette a inondazione nella zona “Raganella”.

 

Corrado nasce in quel castello nel 1290 ma nel 1315 - felicemente sposato ma ancora senza prole - durante una battuta di caccia causa un incendio, per motivo futile, stanare la selvaggina tra i rovi per il gusto dall’alto del suo cavallo, di poter scagliare la freccia fatale. 

 

L’incendio devasta, brucia stalle, piccoli casamenti, probabilmente c’è qualche vittima: a Piacenza comanda il ghibellino Galeazzo Visconti di Milano, che sospetta un attentato al suo potere: gli sgherri per quietare il Visconti catturano un povero contadino. 

La faccenda sembra risolta, non è un attentato ma solo un incendio dovuto a incompetenza, e la forca attende l’innocente. Intanto il giovane Corrado si tormenta, al sicuro nel maniero del padre lì a Calendasco, dove nessuno andrebbe a rendergli conto, ma la coscienza e il buon consiglio della consorte lo portano a presentarsi nella cittadella viscontea di Piacenza, residenza di Galeazzo e confessa.

 

La legge di quel medioevo, prevedeva per gli “incendiariorum” la certa pena di morte, ma per un nobile lo “Statuto civitate Placentiae” prevedeva “solo” il pagamento del danno e così avviene. 

 

Corrado subisce la dannazione della memoria dalla famiglia: gli viene data la sua parte d’eredità, paga e si ritrova abbandonato, solo con la moglie, anch’essa caduta in disgrazia con quel gesto insano. I Confalonieri però, resteranno i feudatari di Calendasco per ben tutto il XVI secolo, fino a che “migreranno” a Milano dopo il 1586 forzatamente dopo l’infausto fatto della congiura ed uccisione del 10 settembre 1547, di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III. 

 

Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco è tra i quattro fautori, e quel gesto costerà caro ancora una volta anche a San Corrado, infatti il culto per circa 50 anni sarà proibito nel feudo calendaschese e in tutto il piacentino.

Fatto è che quindi, ormai ridotto in miseria, Corrado si dà alla religione: la moglie tra le suore clarisse in Piacenza e lui tra i laici penitenti francescani nel piccolo ospedale romitorio francigeno poco discosto da Calendasco, detto dagli antichi “del gorgolare” per il fatto del canale del mulino lì davanti dove rumoreggiavano le acque.

 

Lo accoglie frate Aristide, che reggeva questa piccola comunità francescana laica, dire che la terra piacentina sia stata luogo d’elezione di questo “terz’ordine” lo abbiamo dedotto anche dalla documentazione storica: a Piacenza nel 1280 si tenne un grande Capitolo generale di tutti questi uomini del nord Italia e questo è indicativo di come qui quest’ideale avesse attecchito seriamente.

Dopo circa otto anni se ne parte, pellegrino, frate laico teriziario, diretto a Roma e poi da Brindisi si imbarca per la Terra Santa, dopo un lungo periodo ritorna passando per Malta e da lì poi sbarca a Messina. Finalmente si incammina verso la Sicilia orientale e giunto nella città di Noto si ferma accolto nell’ospitale di San Martino e vive per certo tempo alle Celle presso il castello: ma questa volta gli tocca vivere nei sottofondi delle mura, non è più il figlio del nobile Confalonieri padrone del castello di Calendasco.

 

Ma dopo certo tempo decide di vivere in una spartanissima grotta nella rocciosa valle dei tre Pizzoni, discosta da Noto antica, e fino alla sua morte, avvenuta il 19 febbraio del 1351 vive da eremita penitente ed in santità conclamata. Compie già in vita tanti miracoli: principalmente guarisce bambini e, fatto strabiliante, fa comparire dal “nulla” piccoli pani caldi e fragranti che dona ai visitatori. 

Non ultimo ne è testimone certo, anche storicamente, il vescovo di Siracusa, che allibito, può gustare di quel pane angelico e “misterioso”.

Alla morte è accalmato santo a furor di popolo, Corrado il Santo del pane caldo, l’eremita mite e coraggioso, venuto da lontano, da una terra alle porte di Piacenza, da un piccolo borgo adagiato sulle sponde del fiume Po chiamato Calendasco, ma lo dedurrà con ricerche il vescovo di Piacenza solo nel 1617.

 

Dalla vita agiata di castellano, riverito e acclamato, a quella rude e semplice di eremita, bisognoso di tutto, lontano dalla patria natia, dagli affetti, maturato nella fede e nell’affidamento alla religione cristiana: dal castello alla grotta, dalla vita penitente e dimenticata alla memoria che spetta alla Gloria dei Cieli.

E dopo secoli il suo ricordo è ancora vivo a Noto, città d’adozione dove il Santo corpo riposa, mentre a Calendasco il suo Patronato secolare lo si intuisce anche da quelle mura di mattone rosso del grande castello, che accarezzano sul fianco la chiesa parrocchiale, molto antica e ricca delle sue effigi, di venerate reliquie insigni.

Umberto Battini

questo testo è apparso sul quotidiano di Piacenza online ILPIACENZA.it il 19 febbraio 2023


 

 

citato come un “santo da neve” nella tradizione popolare piacentina, per il fatto che la festa ricade in pieno febbraio, il giorno 19. È stato un uomo segnato fin dalla prima gioventù di una sventura cruciale che darà una svolta inaspettata a tutta la sua vita.

È interessante e curiosissima la vicenda di San Corrado Confalonieri: sposato ventenne con Giovannina Vistarini di Lodi (nelle agiografie antiche è detta Eufrosina), ma già dalle ricerche d’archivio fatte nel 1611 qui a Piacenza si rintracciò appunto nel monastero di Santa Chiara di Piacenza una “Joanna Confanonerii” ancora vivente nel 1351 e che si riteneva “potesse esser senza nulla in contrario la sposa” di Corrado.

Le ricerche contemporanee sulle pergamene notarili nell’Archivio di Stato a Piacenza confermano in pieno questo dato: c’è eccome, segnalata tra le monache, anche questa “Joannina” e che ipotizziamo poi trascritto come Eufrosina, ma questo rimane un dato secondario che non inficia la storia umana del Santo piacentino.

I Confalonieri erano una famiglia di militi vescovili, importanti e considerati: negli anni del medioevo avevano un privilegio, conservato per secoli: dalle “Informattioni” inviate a Noto dai Giurati di Piacenza nel 1611 apprendiamo che “il più anziano della stirpe” accompagnava l’ingresso del nuovo vescovo cittadino accogliendolo su di una “chinea bianca”.

Il feudo più importante che avevano era quello di Calendasco, poco lontano dalla città, vicino al Grande Fiume, con terre floride, boschi e vigneti, tanto che abbiamo potuto leggere in carte d’archivio del XVI secolo far cambio di terre con il parroco di Calendasco: cedono terre coltive vicino al paese e si prendono le terre parrocchiali gerbide, sortumose e soggette a inondazione nella zona “Raganella”.

Corrado nasce in quel castello nel 1290 ma nel 1315 - felicemente sposato ma ancora senza prole - durante una battuta di caccia causa un incendio, per motivo futile, stanare la selvaggina tra i rovi per il gusto dall’alto del suo cavallo, di poter scagliare la freccia fatale.

L’incendio devasta, brucia stalle, piccoli casamenti, probabilmente c’è qualche vittima: a Piacenza comanda il ghibellino Galeazzo Visconti di Milano, che sospetta un attentato al suo potere: gli sgherri per quietare il Visconti catturano un povero contadino. La faccenda sembra risolta, non è un attentato ma solo un incendio dovuto a incompetenza, e la forca attende l’innocente. Intanto il giovane Corrado si tormenta, al sicuro nel maniero del padre lì a Calendasco, dove nessuno andrebbe a rendergli conto, ma la coscienza e il buon consiglio della consorte lo portano a presentarsi nella cittadella viscontea di Piacenza, residenza di Galeazzo, e confessa.

La legge di quel medioevo, prevedeva per gli “incendiariorum” la certa pena di morte, ma per un nobile lo “Statuto civitate Placentiae” prevedeva “solo” il pagamento del danno. E così avviene.

Corrado subisce la dannazione della memoria dalla famiglia: gli viene data la sua parte d’eredità, paga e si ritrova abbandonato, solo con la moglie, anch’essa caduta in disgrazia con quel gesto insano. I Confalonieri però, resteranno i feudatari di Calendasco per ben tutto il XVI secolo, fino a che “migreranno” a Milano dopo il 1586 forzatamente dopo l’infausto fatto della congiura ed uccisione del 10 settembre 1547, di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III. Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco è tra i quattro fautori, e quel gesto costerà caro ancora una volta anche a San Corrado, infatti il culto per circa 50 anni sarà proibito nel feudo calendaschese e in tutto il piacentino.



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La vita di San Corrado, dal castello alla grotta
https://www.ilpiacenza.it/attualita/la-vita-di-san-corrado-dal-castello-alla-grotta.html
© IlPiacenza

citato come un “santo da neve” nella tradizione popolare piacentina, per il fatto che la festa ricade in pieno febbraio, il giorno 19. È stato un uomo segnato fin dalla prima gioventù di una sventura cruciale che darà una svolta inaspettata a tutta la sua vita.

È interessante e curiosissima la vicenda di San Corrado Confalonieri: sposato ventenne con Giovannina Vistarini di Lodi (nelle agiografie antiche è detta Eufrosina), ma già dalle ricerche d’archivio fatte nel 1611 qui a Piacenza si rintracciò appunto nel monastero di Santa Chiara di Piacenza una “Joanna Confanonerii” ancora vivente nel 1351 e che si riteneva “potesse esser senza nulla in contrario la sposa” di Corrado.

Le ricerche contemporanee sulle pergamene notarili nell’Archivio di Stato a Piacenza confermano in pieno questo dato: c’è eccome, segnalata tra le monache, anche questa “Joannina” e che ipotizziamo poi trascritto come Eufrosina, ma questo rimane un dato secondario che non inficia la storia umana del Santo piacentino.

I Confalonieri erano una famiglia di militi vescovili, importanti e considerati: negli anni del medioevo avevano un privilegio, conservato per secoli: dalle “Informattioni” inviate a Noto dai Giurati di Piacenza nel 1611 apprendiamo che “il più anziano della stirpe” accompagnava l’ingresso del nuovo vescovo cittadino accogliendolo su di una “chinea bianca”.

Il feudo più importante che avevano era quello di Calendasco, poco lontano dalla città, vicino al Grande Fiume, con terre floride, boschi e vigneti, tanto che abbiamo potuto leggere in carte d’archivio del XVI secolo far cambio di terre con il parroco di Calendasco: cedono terre coltive vicino al paese e si prendono le terre parrocchiali gerbide, sortumose e soggette a inondazione nella zona “Raganella”.

Corrado nasce in quel castello nel 1290 ma nel 1315 - felicemente sposato ma ancora senza prole - durante una battuta di caccia causa un incendio, per motivo futile, stanare la selvaggina tra i rovi per il gusto dall’alto del suo cavallo, di poter scagliare la freccia fatale.

L’incendio devasta, brucia stalle, piccoli casamenti, probabilmente c’è qualche vittima: a Piacenza comanda il ghibellino Galeazzo Visconti di Milano, che sospetta un attentato al suo potere: gli sgherri per quietare il Visconti catturano un povero contadino. La faccenda sembra risolta, non è un attentato ma solo un incendio dovuto a incompetenza, e la forca attende l’innocente. Intanto il giovane Corrado si tormenta, al sicuro nel maniero del padre lì a Calendasco, dove nessuno andrebbe a rendergli conto, ma la coscienza e il buon consiglio della consorte lo portano a presentarsi nella cittadella viscontea di Piacenza, residenza di Galeazzo, e confessa.

La legge di quel medioevo, prevedeva per gli “incendiariorum” la certa pena di morte, ma per un nobile lo “Statuto civitate Placentiae” prevedeva “solo” il pagamento del danno. E così avviene.

Corrado subisce la dannazione della memoria dalla famiglia: gli viene data la sua parte d’eredità, paga e si ritrova abbandonato, solo con la moglie, anch’essa caduta in disgrazia con quel gesto insano. I Confalonieri però, resteranno i feudatari di Calendasco per ben tutto il XVI secolo, fino a che “migreranno” a Milano dopo il 1586 forzatamente dopo l’infausto fatto della congiura ed uccisione del 10 settembre 1547, di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III. Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco è tra i quattro fautori, e quel gesto costerà caro ancora una volta anche a San Corrado, infatti il culto per circa 50 anni sarà proibito nel feudo calendaschese e in tutto il piacentino.



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La vita di San Corrado, dal castello alla grotta
https://www.ilpiacenza.it/attualita/la-vita-di-san-corrado-dal-castello-alla-grotta.html
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citato come un “santo da neve” nella tradizione popolare piacentina, per il fatto che la festa ricade in pieno febbraio, il giorno 19. È stato un uomo segnato fin dalla prima gioventù di una sventura cruciale che darà una svolta inaspettata a tutta la sua vita.

È interessante e curiosissima la vicenda di San Corrado Confalonieri: sposato ventenne con Giovannina Vistarini di Lodi (nelle agiografie antiche è detta Eufrosina), ma già dalle ricerche d’archivio fatte nel 1611 qui a Piacenza si rintracciò appunto nel monastero di Santa Chiara di Piacenza una “Joanna Confanonerii” ancora vivente nel 1351 e che si riteneva “potesse esser senza nulla in contrario la sposa” di Corrado.

Le ricerche contemporanee sulle pergamene notarili nell’Archivio di Stato a Piacenza confermano in pieno questo dato: c’è eccome, segnalata tra le monache, anche questa “Joannina” e che ipotizziamo poi trascritto come Eufrosina, ma questo rimane un dato secondario che non inficia la storia umana del Santo piacentino.

I Confalonieri erano una famiglia di militi vescovili, importanti e considerati: negli anni del medioevo avevano un privilegio, conservato per secoli: dalle “Informattioni” inviate a Noto dai Giurati di Piacenza nel 1611 apprendiamo che “il più anziano della stirpe” accompagnava l’ingresso del nuovo vescovo cittadino accogliendolo su di una “chinea bianca”.

Il feudo più importante che avevano era quello di Calendasco, poco lontano dalla città, vicino al Grande Fiume, con terre floride, boschi e vigneti, tanto che abbiamo potuto leggere in carte d’archivio del XVI secolo far cambio di terre con il parroco di Calendasco: cedono terre coltive vicino al paese e si prendono le terre parrocchiali gerbide, sortumose e soggette a inondazione nella zona “Raganella”.

Corrado nasce in quel castello nel 1290 ma nel 1315 - felicemente sposato ma ancora senza prole - durante una battuta di caccia causa un incendio, per motivo futile, stanare la selvaggina tra i rovi per il gusto dall’alto del suo cavallo, di poter scagliare la freccia fatale.

L’incendio devasta, brucia stalle, piccoli casamenti, probabilmente c’è qualche vittima: a Piacenza comanda il ghibellino Galeazzo Visconti di Milano, che sospetta un attentato al suo potere: gli sgherri per quietare il Visconti catturano un povero contadino. La faccenda sembra risolta, non è un attentato ma solo un incendio dovuto a incompetenza, e la forca attende l’innocente. Intanto il giovane Corrado si tormenta, al sicuro nel maniero del padre lì a Calendasco, dove nessuno andrebbe a rendergli conto, ma la coscienza e il buon consiglio della consorte lo portano a presentarsi nella cittadella viscontea di Piacenza, residenza di Galeazzo, e confessa.

La legge di quel medioevo, prevedeva per gli “incendiariorum” la certa pena di morte, ma per un nobile lo “Statuto civitate Placentiae” prevedeva “solo” il pagamento del danno. E così avviene.

Corrado subisce la dannazione della memoria dalla famiglia: gli viene data la sua parte d’eredità, paga e si ritrova abbandonato, solo con la moglie, anch’essa caduta in disgrazia con quel gesto insano. I Confalonieri però, resteranno i feudatari di Calendasco per ben tutto il XVI secolo, fino a che “migreranno” a Milano dopo il 1586 forzatamente dopo l’infausto fatto della congiura ed uccisione del 10 settembre 1547, di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III. Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco è tra i quattro fautori, e quel gesto costerà caro ancora una volta anche a San Corrado, infatti il culto per circa 50 anni sarà proibito nel feudo calendaschese e in tutto il piacentino.



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La vita di San Corrado, dal castello alla grotta
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Per approfondire

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  • San Corrado Confalonieri è stato un penitente, terziario francescano, vissuto da eremita in Noto, nella Valle dei Tre Pizzoni dentro ad una grotta