DALL'EREMO ALLA CATTEDRALE
IMMAGINI AGOSTO 2025
SAN CORRADO NELLA GROTTA
NOTO ANTICA 2025
ARCA DI SAN CORRADO ALL'EREMO
IL SANTUARIO DI SAN CORRADO
Dalla guida «IL SANTUARIO DI S. CORRADO»
Edizione Santuario Parrocchia S. Corrado F. M.
Noto (Siracusa), 1998 – pagg. 15-23
(Le note al testo sono state omesse)
di mons. Salvatore Guastella
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Santuario di S. Corrado nella Valle dei Miracoli o dei Tre Pizzoni 1907 - Noto |
Una dolce certezza nel patrocinio di S. Corrado Confalonieri ci porta in pellegrinaggio ideale alla Grotta dei Pizzoni, che ha conosciuto la preghiera e le penitenze del santo Anacoreta. Da allora la contrada netina di San Corrado di fuori, luogo di villeggiatura e di sereno svago e riposo, ove l'anima s'inebria di sole e di cielo, è anche "giardino di preghiera" poiché la giornata può iniziare con la prece nella chiesa dell'Assunta all'eremo superiore e concludersi con un mini-pellegrinaggio al silente Santuario in valle.
Verso il Santuario
Subito dopo la ridente borgata di S. Corrado di fuori, a 6 km da Noto, un ampio delta stradale segnala la discesa che porta all'esedra della Valle dei Miracoli, slargo triplicato nel 1932: attorno, un'ampia pineta che fa da scenario verde dove giunge la scalinata rocciosa che raccorda lo slargo stesso con la piazzetta della borgata; al margine sud la sottostante Fontana di San Corrado, che dal 1902 offre, con fresco chiocchiolìo, acqua salutare, che poi scorre silente tra mirti e oleandri lungo la cava dei Pizzoni alla sinistra del Santuario.
Conduce al Santuario un ingresso d'intaglio lavorato con artistico cancello (sec. XVIII) sovrastato da un cartiglio che avverte: "Non avvicinarti: togliti prima i calzari perché il luogo dove stai è terra santa e porta del cielo" (cf. Esodo 3,5). E il pellegrino o visitatore, quasi assorto in un'atmosfera mistica, si avvia nel viale fiancheggiato da due aiuole di rose e piante aromatiche; poi alcuni gradini e un altro cancello introducono nel verde vialetto-atrio balaustrato dall'acciottolato policromo.
L'artistico Prospetto
Nell'artistico prospetto settecentesco del Santuario troneggia, in alto, la statua del S. Eremita che, con il largo panneggio del saio, sembra voler accogliere e proteggere i fedeli che qui vengono a pregarlo. A sinistra e a livello dell'eremo-ritiro, l'agile campanile: la campana è del 1757.
Ai due lati del portale d'ingresso, due grandi lapidi-ricordo del pellegrinaggio: 1) dei partecipanti al IV Congresso regionale cattolico, tenuto a Noto il 14-17 dicembre 1903, presenti Luigi Sturzo e Romolo Murri; 2) dei vescovi di Sicilia in occasione della Conferenza episcopale, tenuta a Noto dal 27.2 al 1.3.1924.
Sul portale si poteva leggere la seguente iscrizione-ricordo, sormontata dallo stemma di Noto: "Per munificenza di Ferdinando IV questo Santuario oltremodo celebre, stanza di santità per quasi 500 anni rimontando al beatissimo Corrado, fu restituito con voto universale assieme agli eremi circonvicini in tutti i suoi diritti, giurisdizione ed accrescendone autorità, il 10.2.1792". Ma la rivoluzione del 1860 la fece rimuovere; attualmente si conserva nel museo-pinacoteca del Santuario.
Poco prima del Santuario, lungo la parete rocciosa e in ripida salita un sentiero scalinato porta ad una grotta con cancello, dove S. Corrado soleva ritirarsi a riposare; a metà della stessa salita, il sentiero volge a sinistra per raggiungere in alto un'altra grotta più piccola, a circa 15 metri dal suolo, tradizionalmente detta di San Guglielmo.
Descrizione del Santuario
Distaccati, o pellegrino, per un momento dalle preoccupazioni terrene, varca in raccolto silenzio la soglia del luogo sacro: disponiti alla preghiera e ali' ascolto nella dolce penombra della Grotta di San Corrado.
Il Santuario, ad unica navata, venne eretto nel 1751 (come si legge nell'arco interno d'ingresso) per la custodia della s. Grotta e fu consacrato il 5 novembre 1759 da Mons. Giuseppe Antonio Requesens O.S .B., vescovo di Siracusa. Il Senato Netino aveva contribuito alle spese di erezione del Santuario e s'impegnò a tenere accesa la lampada liturgica a proprio carico. La Via Crucis è del 15.10.1775.
Gli stucchi indorati della volta e delle pareti sono opera del pittore netino Baldassare Basile (1890), opportunamente ritoccati da Matteo Santocono (coadiuvato dal giovane Giuseppe Pirrone) nel 1922 e poi nel 1954. Tutta la decorazione interna della chiesa stessa è stata restaurata a regola d'arte nel 1980-81, grazie alla generosità dei fedeli e alla collaborazione tecnica volontaria di Gioacchino Santocono, Corrado Civello e Leonardo Giliberto; il tetto è stato totalmente rinnovato nelle travi portanti e impermeabilizzato sotto le tegole nello stesso periodo.
A Destra la Grotta di S. Corrado
Questa famosa e venerata Grotta, "cuore" della nostra devozione a San Corrado, ci ricorda dal vivo la sua presenza e ci fa sentire in buona compagnia nel cammino verso Cristo lungo le strade della nostra vita. Al visitatore attento questo sacro speco ricorda il primato della preghiera e del Vangelo, che offre la sintesi tra la lode di Dio e il servizio del prossimo incominciando dagli ultimi.
La Grotta mostra sul duro sasso il segno delle ginocchia del santo Eremita orante, così come plasticamente vedi in quel bel San Corrado in candido marmo, di grandezza naturale, inginocchiato (modellato da Giuseppe Pirrone nel 1936): il Santo ha il capo eretto e gli occhi estatici in Colui nel quale è assorto. "Il popolo gli si affolla intorno, riconoscendo nella scultura il Santo che ama, e si sente invitato a pregare. Fanno baciare ai bambini il bel volto e le splendide mani; gli adulti, specialmente le donne, ne baciano reverentemente la spalla. Nel vuoto che è tra le mani giunte ed il petto gli sposi novelli depongono fiori e il velo, quasi a promessa di fedeltà" (Americo Bianchi orionino, 1974).
Nella s. Grotta l'altare in marmo bianco (m. 1,80 x 0,65) con la predella (m. 1,80 x 1,50), opera del marmista netino Rosario Celeste, è stato consacrato dal vescovo di Noto, Mons. Giuseppe Vizzini, il 28 luglio 1934, inserendovi le reliquie dei santi Corrado e Guglielmo, e dei santi martiri Alessio e Temperanza.
Nella grande nicchia rocciosa di fondo, dietro l'altare, si possono scorgere tracce di un antico affresco; tradizione e storia dicono che rappresenta la Madonna con Gesù Bambino tra due Santi. Il dipinto ha certo subito ritocchi e restauri lungo i secoli; esso comunque è databile almeno alla prima metà del sec. XVI, cioè al tempo del beato Antonio Etiope eremita, il quale "per soi devoti orationi andava a la ecclesia di sancto Corrado che è una grocta, a la quali si ci achana per circa dechi scaluni". L'attuale Santuario del 1751 per il pavimento realizzato a livello della Grotta ha nascosto e coperto quei dieci gradin i.
A custodia della venerata Grotta l'eremita fra Carmelo Murana fece modellare a Napoli nel 1846 l'artistico cancello, con l'obolo del principe Nicolaci di Villadorata.
Il 18 settembre 1984 un incendio, forse per un corto circuito, danneggiò nella Grotta il San Corrado marmoreo del Pirrone e quello ligneo settecentesco posto nella nicchia dinanzi la Grotta stessa: sono stati ben restaurati nel 1986.
Pellegrinare alla Grotta di San Corrado è il voto di ogni suo devoto, e la si lascia con un senso misterioso di pace che invade l'anima e con San Corrado nel cuore!
L'altare Maggiore
L’altare centrale troneggia una grande tela del 1759 in ricca cornice barocca, raffigurante la Beata Vergine Maria Mediatrice che al Bambino Gesù indica San Corrado orante, perché lo benedica; a loro fanno corona dieci Angeli in vari atteggiamenti estatici; il Santo Eremita sembra invitare ad unirci alla sua preghiera filiale alla Madonna. Questo suggestivo quadro (m. 2,90 x 1,60) - donato al Santuario nel 1764 dalla principessa di Butera - è opera lodata della maturità artistica di Sebastiano Conca (Gaeta, 1680-1764), allievo del grande Solimena: esempio significativo di ricercata dolcezza del rococò settecentesco. Da notare nella composizione pittorica: 1) lo studio dettagliato e scrupoloso dell'aspetto della Vergine col Bambino, di S. Corrado e dell'Angelo in alto a destra; 2) l'armonia delle parti, sempre suggestiva, nella visione d'insieme. Questa preziosa tela del Conca è stata opportunamente restaurata e rimessa in onore nell'agosto 1981 in occasione della venuta dell'Arca d'argento con il corpo del Santo nella sua Grotta al Santuario.
Sono dello stesso anno il Tabernacolo nuovo più decoroso, le tre artistiche poltrone e la predella. Mentre l'altare portatile "coram populo" in legno scolpito è del 1979. Nel presbiterio, in alto a sinistra, la finestra ha dal 1981 una elegante vetrata a colori raffigurante S. Corrado.
In alto a destra, un matronéo balaustrato all'altezza del Museo, al quale si accede dalla sacrestia e da gradini scavati nella roccia; il cancello d'ingresso è del 1925.
Sempre dalla sacrestia, uscendo, si scende al sottostante artistico Presepe elettromeccanico, che dal 1975 sostituisce quello antico francescanamente semplice, che era posto sull'altare maggiore. Quest'altro, moderno, copre ben 60 metri quadrati di impiantino per le varie scene. Il gruppo principale delle statuette di cartapesta, alte 50/60 cm., sono di scuola napoletana. Al centro del paesaggio la "santa grotta" col Bambinello Gesù, la Madonna e S. Giuseppe; accanto il bue e l'asinello, in alto uno stuolo di Angeli.
Il Santuario custodisce in teca d'argento una reliquia di S. Corrado, dono del Senato Netino (23.2.1753).
L'altare del Crocifisso con S. Leonzio Martire
L'altare al lato sinistro del Santuario - di fronte alla Grotta di San Corrado - è dedicato al Ss. Crocifisso, per l'artistico Cristo in Croce settecentesco, in legno e a grandezza naturale: opera del napoletano Gaetano Franzese, con sottoquadro dell'Addolorata (sec. XVII). Subito sotto: la statua reclinata di San Leonzio Martire che, in atto di dormire, posa il capo su un origliere contenente le sue reliquie, dono del papa Gregorio XVI.
Infatti il trentaseienne eremita fra Carmelo Murana, che nel 1844 era andato a Napoli "per trattare affari dell'eremo netino", là seppe dell'elezione di Mons. Giuseppe Menditto da Capua a 1° vescovo di Noto e andò ad ossequiarlo. Mons. Menditto, che doveva recarsi a Roma per ricevere il 28 luglio la consacrazione episcopale, volle che lo accompagnasse. Il buon eremita ne profittò per chiedere al Papa un'insigne reliquia di santo martire: per l'interessamento del vescovo Menditto ottenne il 20 luglio il corpo di San Leonzio. Con sommo gaudio e devozione ne curò la traslazione al Santuario di San Corrado di fuori, dove è esposto su quest'altare in artistica urna di vetro. Ritornando poi a Napoli il 18 agosto 1845, fra Carmelo ne profittò per ordinare l'incisione dell'immagine del Santo. La festa del Santo Martire si celebrava in Santuario l'ultima domenica di maggio.
Santuario-Parrocchia
Il 22 agosto 1923 il vescovo Mons. Giuseppe Vizzini, "volendo dare un migliore e definitivo assetto pastorale alle pratiche religiose in questo luogo che si era man mano popolato e trasformato in borgata", assùnse l'iniziativa di erigere la Parrocchia nel Santuario, promulgandone la bolla proprio mentre l'Arca argentea di S. Corrado dimorava nella sua Grotta.
Il culto a S. Corrado Confalonieri in questa "terra santa" netina può aiutare la Chiesa locale evangelizzatrice delle tradizioni popolari ad incarnare il Vangelo; può inoltre corroborare la fede e la religiosità di ogni devoto che lo ha a celeste Patrono.
Ritornare periodicamente alla Grotta dei Pizzoni è voler attingere forza e coraggio per seguire le orme di San Corrado, a gloria di Dio e a salvezza del nostro mondo così disorientato, ma capace di conversione per la divina misericordia.
Testo di mons. Salvatore Guastella - insigne Sacerdote Storico della Città e Diocesi di Noto (Siracusa)
NOTO 27 LUGLIO 2025
TRASLAZIONE 2025
RELIQUIARIO DI SAN CORRADO
PORTATORE DEVOTO 2025
SAN CORRADO DAL CASTELLO ALLA GROTTA
citato come un “santo da neve” nella tradizione popolare piacentina, per il fatto che la festa ricade in pieno febbraio, il giorno 19. È stato un uomo segnato fin dalla prima gioventù di una sventura cruciale che darà una svolta inaspettata a tutta la sua vita.
È interessante e curiosissima la vicenda di San Corrado Confalonieri: sposato ventenne con Giovannina Vistarini di Lodi (nelle agiografie antiche è detta Eufrosina), ma già dalle ricerche d’archivio fatte nel 1611 qui a Piacenza si rintracciò appunto nel monastero di Santa Chiara di Piacenza una “Joanna Confanonerii” ancora vivente nel 1351 e che si riteneva “potesse esser senza nulla in contrario la sposa” di Corrado.
Le ricerche contemporanee sulle pergamene notarili nell’Archivio di Stato a Piacenza confermano in pieno questo dato: c’è eccome, segnalata tra le monache, anche questa “Joannina” e che ipotizziamo poi trascritto come Eufrosina, ma questo rimane un dato secondario che non inficia la storia umana del Santo piacentino.
I Confalonieri erano una famiglia di militi vescovili, importanti e considerati: negli anni del medioevo avevano un privilegio, conservato per secoli: dalle “Informattioni” inviate a Noto dai Giurati di Piacenza nel 1611 apprendiamo che “il più anziano della stirpe” accompagnava l’ingresso del nuovo vescovo cittadino accogliendolo su di una “chinea bianca”.
Il feudo più importante che avevano era quello di Calendasco, poco lontano dalla città, vicino al Grande Fiume, con terre floride, boschi e vigneti, tanto che abbiamo potuto leggere in carte d’archivio del XVI secolo far cambio di terre con il parroco di Calendasco: cedono terre coltive vicino al paese e si prendono le terre parrocchiali gerbide, sortumose e soggette a inondazione nella zona “Raganella”.
Corrado nasce in quel castello nel 1290 ma nel 1315 - felicemente sposato ma ancora senza prole - durante una battuta di caccia causa un incendio, per motivo futile, stanare la selvaggina tra i rovi per il gusto dall’alto del suo cavallo, di poter scagliare la freccia fatale.
L’incendio devasta, brucia stalle, piccoli casamenti, probabilmente c’è qualche vittima: a Piacenza comanda il ghibellino Galeazzo Visconti di Milano, che sospetta un attentato al suo potere: gli sgherri per quietare il Visconti catturano un povero contadino. La faccenda sembra risolta, non è un attentato ma solo un incendio dovuto a incompetenza, e la forca attende l’innocente. Intanto il giovane Corrado si tormenta, al sicuro nel maniero del padre lì a Calendasco, dove nessuno andrebbe a rendergli conto, ma la coscienza e il buon consiglio della consorte lo portano a presentarsi nella cittadella viscontea di Piacenza, residenza di Galeazzo, e confessa.
La legge di quel medioevo, prevedeva per gli “incendiariorum” la certa pena di morte, ma per un nobile lo “Statuto civitate Placentiae” prevedeva “solo” il pagamento del danno. E così avviene.
Corrado subisce la dannazione della memoria dalla famiglia: gli viene data la sua parte d’eredità, paga e si ritrova abbandonato, solo con la moglie, anch’essa caduta in disgrazia con quel gesto insano. I Confalonieri però, resteranno i feudatari di Calendasco per ben tutto il XVI secolo, fino a che “migreranno” a Milano dopo il 1586 forzatamente dopo l’infausto fatto della congiura ed uccisione del 10 settembre 1547, di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III. Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco è tra i quattro fautori, e quel gesto costerà caro ancora una volta anche a San Corrado, infatti il culto per circa 50 anni sarà proibito nel feudo calendaschese e in tutto il piacentino.
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La vita di San Corrado, dal castello alla grotta
https://www.ilpiacenza.it/attualita/la-vita-di-san-corrado-dal-castello-alla-grotta.html
© IlPiacenza
citato come un “santo da neve” nella tradizione popolare piacentina, per il fatto che la festa ricade in pieno febbraio, il giorno 19. È stato un uomo segnato fin dalla prima gioventù di una sventura cruciale che darà una svolta inaspettata a tutta la sua vita.
È interessante e curiosissima la vicenda di San Corrado Confalonieri: sposato ventenne con Giovannina Vistarini di Lodi (nelle agiografie antiche è detta Eufrosina), ma già dalle ricerche d’archivio fatte nel 1611 qui a Piacenza si rintracciò appunto nel monastero di Santa Chiara di Piacenza una “Joanna Confanonerii” ancora vivente nel 1351 e che si riteneva “potesse esser senza nulla in contrario la sposa” di Corrado.
Le ricerche contemporanee sulle pergamene notarili nell’Archivio di Stato a Piacenza confermano in pieno questo dato: c’è eccome, segnalata tra le monache, anche questa “Joannina” e che ipotizziamo poi trascritto come Eufrosina, ma questo rimane un dato secondario che non inficia la storia umana del Santo piacentino.
I Confalonieri erano una famiglia di militi vescovili, importanti e considerati: negli anni del medioevo avevano un privilegio, conservato per secoli: dalle “Informattioni” inviate a Noto dai Giurati di Piacenza nel 1611 apprendiamo che “il più anziano della stirpe” accompagnava l’ingresso del nuovo vescovo cittadino accogliendolo su di una “chinea bianca”.
Il feudo più importante che avevano era quello di Calendasco, poco lontano dalla città, vicino al Grande Fiume, con terre floride, boschi e vigneti, tanto che abbiamo potuto leggere in carte d’archivio del XVI secolo far cambio di terre con il parroco di Calendasco: cedono terre coltive vicino al paese e si prendono le terre parrocchiali gerbide, sortumose e soggette a inondazione nella zona “Raganella”.
Corrado nasce in quel castello nel 1290 ma nel 1315 - felicemente sposato ma ancora senza prole - durante una battuta di caccia causa un incendio, per motivo futile, stanare la selvaggina tra i rovi per il gusto dall’alto del suo cavallo, di poter scagliare la freccia fatale.
L’incendio devasta, brucia stalle, piccoli casamenti, probabilmente c’è qualche vittima: a Piacenza comanda il ghibellino Galeazzo Visconti di Milano, che sospetta un attentato al suo potere: gli sgherri per quietare il Visconti catturano un povero contadino. La faccenda sembra risolta, non è un attentato ma solo un incendio dovuto a incompetenza, e la forca attende l’innocente. Intanto il giovane Corrado si tormenta, al sicuro nel maniero del padre lì a Calendasco, dove nessuno andrebbe a rendergli conto, ma la coscienza e il buon consiglio della consorte lo portano a presentarsi nella cittadella viscontea di Piacenza, residenza di Galeazzo, e confessa.
La legge di quel medioevo, prevedeva per gli “incendiariorum” la certa pena di morte, ma per un nobile lo “Statuto civitate Placentiae” prevedeva “solo” il pagamento del danno. E così avviene.
Corrado subisce la dannazione della memoria dalla famiglia: gli viene data la sua parte d’eredità, paga e si ritrova abbandonato, solo con la moglie, anch’essa caduta in disgrazia con quel gesto insano. I Confalonieri però, resteranno i feudatari di Calendasco per ben tutto il XVI secolo, fino a che “migreranno” a Milano dopo il 1586 forzatamente dopo l’infausto fatto della congiura ed uccisione del 10 settembre 1547, di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III. Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco è tra i quattro fautori, e quel gesto costerà caro ancora una volta anche a San Corrado, infatti il culto per circa 50 anni sarà proibito nel feudo calendaschese e in tutto il piacentino.
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La vita di San Corrado, dal castello alla grotta
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DAL CASTELLO ALLA GROTTA
LA VITA DI SAN CORRADO
Un evento cruciale della conversione sarà l'incendio durante la caccia, ma anche episodi cruenti dei suoi discendenti che fermeranno la diffusione del culto nel XVI secolo nel Piacentino
E’ citato come un “santo da neve” nella tradizione popolare piacentina, per il fatto che la festa ricade in pieno febbraio esattamente il giorno 19. E’ stato un uomo segnato fin dalla prima gioventù di una sventura cruciale che darà una svolta inaspettata a tutta la sua vita.
E’ interessante e curiosissima la vicenda di S. Corrado Confalonieri: sposato vent’enne con Giovannina Vistarini di Lodi (nelle agiografie antiche è detta Eufrosina) ma già dalle ricerche d’archivio fatte nel 1611 qui a Piacenza si rintracciò appunto nel monastero di Santa Chiara di Piacenza una “Joanna Confanonerii” ancora vivente nel 1351 e che si riteneva “potesse esser senza nulla in contrario la sposa” di Corrado.
Le ricerche contemporanee sulle pergamene notarili in Archivio di Stato a Piacenza confermano in pieno questo dato: c’è eccome, segnalata tra le monache, anche questa “Joannina” e che ipotizziamo poi trascritto come Eufrosina, ma questo rimane un dato secondario che non inficia la storia umana del Santo piacentino.
I Confalonieri erano una famiglia di militi vescovili, importanti e considerati: negli anni del medioevo avevano un privilegio, conservato per secoli: dalle “Informattioni” inviate a Noto dai Giurati di Piacenza nel 1611 apprendiamo che “il più anziano della stirpe” accompagnava l’ingresso del nuovo vescovo cittadino accogliendolo su di una “chinea bianca”.
Il feudo più importante che avevano era quello di Calendasco, poco lontano dalla città, vicino al Grande Fiume, con terre floride, boschi e vigneti, tanto che abbiamo potuto leggere in carte d’archivio del XVI secolo far cambio di terre con il parroco di Calendasco: cedono terre coltive vicino al paese e si prendono le terre parrocchiali gerbide, sortumose e soggette a inondazione nella zona “Raganella”.
Corrado nasce in quel castello nel 1290 ma nel 1315 - felicemente sposato ma ancora senza prole - durante una battuta di caccia causa un incendio, per motivo futile, stanare la selvaggina tra i rovi per il gusto dall’alto del suo cavallo, di poter scagliare la freccia fatale.
L’incendio devasta, brucia stalle, piccoli casamenti, probabilmente c’è qualche vittima: a Piacenza comanda il ghibellino Galeazzo Visconti di Milano, che sospetta un attentato al suo potere: gli sgherri per quietare il Visconti catturano un povero contadino.
La faccenda sembra risolta, non è un attentato ma solo un incendio dovuto a incompetenza, e la forca attende l’innocente. Intanto il giovane Corrado si tormenta, al sicuro nel maniero del padre lì a Calendasco, dove nessuno andrebbe a rendergli conto, ma la coscienza e il buon consiglio della consorte lo portano a presentarsi nella cittadella viscontea di Piacenza, residenza di Galeazzo e confessa.
La legge di quel medioevo, prevedeva per gli “incendiariorum” la certa pena di morte, ma per un nobile lo “Statuto civitate Placentiae” prevedeva “solo” il pagamento del danno e così avviene.
Corrado subisce la dannazione della memoria dalla famiglia: gli viene data la sua parte d’eredità, paga e si ritrova abbandonato, solo con la moglie, anch’essa caduta in disgrazia con quel gesto insano. I Confalonieri però, resteranno i feudatari di Calendasco per ben tutto il XVI secolo, fino a che “migreranno” a Milano dopo il 1586 forzatamente dopo l’infausto fatto della congiura ed uccisione del 10 settembre 1547, di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III.
Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco è tra i quattro fautori, e quel gesto costerà caro ancora una volta anche a San Corrado, infatti il culto per circa 50 anni sarà proibito nel feudo calendaschese e in tutto il piacentino.
Fatto è che quindi, ormai ridotto in miseria, Corrado si dà alla religione: la moglie tra le suore clarisse in Piacenza e lui tra i laici penitenti francescani nel piccolo ospedale romitorio francigeno poco discosto da Calendasco, detto dagli antichi “del gorgolare” per il fatto del canale del mulino lì davanti dove rumoreggiavano le acque.
Lo accoglie frate Aristide, che reggeva questa piccola comunità francescana laica, dire che la terra piacentina sia stata luogo d’elezione di questo “terz’ordine” lo abbiamo dedotto anche dalla documentazione storica: a Piacenza nel 1280 si tenne un grande Capitolo generale di tutti questi uomini del nord Italia e questo è indicativo di come qui quest’ideale avesse attecchito seriamente.
Dopo circa otto anni se ne parte, pellegrino, frate laico teriziario, diretto a Roma e poi da Brindisi si imbarca per la Terra Santa, dopo un lungo periodo ritorna passando per Malta e da lì poi sbarca a Messina. Finalmente si incammina verso la Sicilia orientale e giunto nella città di Noto si ferma accolto nell’ospitale di San Martino e vive per certo tempo alle Celle presso il castello: ma questa volta gli tocca vivere nei sottofondi delle mura, non è più il figlio del nobile Confalonieri padrone del castello di Calendasco.
Ma dopo certo tempo decide di vivere in una spartanissima grotta nella rocciosa valle dei tre Pizzoni, discosta da Noto antica, e fino alla sua morte, avvenuta il 19 febbraio del 1351 vive da eremita penitente ed in santità conclamata. Compie già in vita tanti miracoli: principalmente guarisce bambini e, fatto strabiliante, fa comparire dal “nulla” piccoli pani caldi e fragranti che dona ai visitatori.
Non ultimo ne è testimone certo, anche storicamente, il vescovo di Siracusa, che allibito, può gustare di quel pane angelico e “misterioso”.
Alla morte è accalmato santo a furor di popolo, Corrado il Santo del pane caldo, l’eremita mite e coraggioso, venuto da lontano, da una terra alle porte di Piacenza, da un piccolo borgo adagiato sulle sponde del fiume Po chiamato Calendasco, ma lo dedurrà con ricerche il vescovo di Piacenza solo nel 1617.
Dalla vita agiata di castellano, riverito e acclamato, a quella rude e semplice di eremita, bisognoso di tutto, lontano dalla patria natia, dagli affetti, maturato nella fede e nell’affidamento alla religione cristiana: dal castello alla grotta, dalla vita penitente e dimenticata alla memoria che spetta alla Gloria dei Cieli.
E dopo secoli il suo ricordo è ancora vivo a Noto, città d’adozione dove il Santo corpo riposa, mentre a Calendasco il suo Patronato secolare lo si intuisce anche da quelle mura di mattone rosso del grande castello, che accarezzano sul fianco la chiesa parrocchiale, molto antica e ricca delle sue effigi, di venerate reliquie insigni.
Umberto Battini
questo testo è apparso sul quotidiano di Piacenza online ILPIACENZA.it il 19 febbraio 2023
citato come un “santo da neve” nella tradizione popolare piacentina, per il fatto che la festa ricade in pieno febbraio, il giorno 19. È stato un uomo segnato fin dalla prima gioventù di una sventura cruciale che darà una svolta inaspettata a tutta la sua vita.
È interessante e curiosissima la vicenda di San Corrado Confalonieri: sposato ventenne con Giovannina Vistarini di Lodi (nelle agiografie antiche è detta Eufrosina), ma già dalle ricerche d’archivio fatte nel 1611 qui a Piacenza si rintracciò appunto nel monastero di Santa Chiara di Piacenza una “Joanna Confanonerii” ancora vivente nel 1351 e che si riteneva “potesse esser senza nulla in contrario la sposa” di Corrado.
Le ricerche contemporanee sulle pergamene notarili nell’Archivio di Stato a Piacenza confermano in pieno questo dato: c’è eccome, segnalata tra le monache, anche questa “Joannina” e che ipotizziamo poi trascritto come Eufrosina, ma questo rimane un dato secondario che non inficia la storia umana del Santo piacentino.
I Confalonieri erano una famiglia di militi vescovili, importanti e considerati: negli anni del medioevo avevano un privilegio, conservato per secoli: dalle “Informattioni” inviate a Noto dai Giurati di Piacenza nel 1611 apprendiamo che “il più anziano della stirpe” accompagnava l’ingresso del nuovo vescovo cittadino accogliendolo su di una “chinea bianca”.
Il feudo più importante che avevano era quello di Calendasco, poco lontano dalla città, vicino al Grande Fiume, con terre floride, boschi e vigneti, tanto che abbiamo potuto leggere in carte d’archivio del XVI secolo far cambio di terre con il parroco di Calendasco: cedono terre coltive vicino al paese e si prendono le terre parrocchiali gerbide, sortumose e soggette a inondazione nella zona “Raganella”.
Corrado nasce in quel castello nel 1290 ma nel 1315 - felicemente sposato ma ancora senza prole - durante una battuta di caccia causa un incendio, per motivo futile, stanare la selvaggina tra i rovi per il gusto dall’alto del suo cavallo, di poter scagliare la freccia fatale.
L’incendio devasta, brucia stalle, piccoli casamenti, probabilmente c’è qualche vittima: a Piacenza comanda il ghibellino Galeazzo Visconti di Milano, che sospetta un attentato al suo potere: gli sgherri per quietare il Visconti catturano un povero contadino. La faccenda sembra risolta, non è un attentato ma solo un incendio dovuto a incompetenza, e la forca attende l’innocente. Intanto il giovane Corrado si tormenta, al sicuro nel maniero del padre lì a Calendasco, dove nessuno andrebbe a rendergli conto, ma la coscienza e il buon consiglio della consorte lo portano a presentarsi nella cittadella viscontea di Piacenza, residenza di Galeazzo, e confessa.
La legge di quel medioevo, prevedeva per gli “incendiariorum” la certa pena di morte, ma per un nobile lo “Statuto civitate Placentiae” prevedeva “solo” il pagamento del danno. E così avviene.
Corrado subisce la dannazione della memoria dalla famiglia: gli viene data la sua parte d’eredità, paga e si ritrova abbandonato, solo con la moglie, anch’essa caduta in disgrazia con quel gesto insano. I Confalonieri però, resteranno i feudatari di Calendasco per ben tutto il XVI secolo, fino a che “migreranno” a Milano dopo il 1586 forzatamente dopo l’infausto fatto della congiura ed uccisione del 10 settembre 1547, di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III. Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco è tra i quattro fautori, e quel gesto costerà caro ancora una volta anche a San Corrado, infatti il culto per circa 50 anni sarà proibito nel feudo calendaschese e in tutto il piacentino.
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La vita di San Corrado, dal castello alla grotta
https://www.ilpiacenza.it/attualita/la-vita-di-san-corrado-dal-castello-alla-grotta.html
© IlPiacenza
citato come un “santo da neve” nella tradizione popolare piacentina, per il fatto che la festa ricade in pieno febbraio, il giorno 19. È stato un uomo segnato fin dalla prima gioventù di una sventura cruciale che darà una svolta inaspettata a tutta la sua vita.
È interessante e curiosissima la vicenda di San Corrado Confalonieri: sposato ventenne con Giovannina Vistarini di Lodi (nelle agiografie antiche è detta Eufrosina), ma già dalle ricerche d’archivio fatte nel 1611 qui a Piacenza si rintracciò appunto nel monastero di Santa Chiara di Piacenza una “Joanna Confanonerii” ancora vivente nel 1351 e che si riteneva “potesse esser senza nulla in contrario la sposa” di Corrado.
Le ricerche contemporanee sulle pergamene notarili nell’Archivio di Stato a Piacenza confermano in pieno questo dato: c’è eccome, segnalata tra le monache, anche questa “Joannina” e che ipotizziamo poi trascritto come Eufrosina, ma questo rimane un dato secondario che non inficia la storia umana del Santo piacentino.
I Confalonieri erano una famiglia di militi vescovili, importanti e considerati: negli anni del medioevo avevano un privilegio, conservato per secoli: dalle “Informattioni” inviate a Noto dai Giurati di Piacenza nel 1611 apprendiamo che “il più anziano della stirpe” accompagnava l’ingresso del nuovo vescovo cittadino accogliendolo su di una “chinea bianca”.
Il feudo più importante che avevano era quello di Calendasco, poco lontano dalla città, vicino al Grande Fiume, con terre floride, boschi e vigneti, tanto che abbiamo potuto leggere in carte d’archivio del XVI secolo far cambio di terre con il parroco di Calendasco: cedono terre coltive vicino al paese e si prendono le terre parrocchiali gerbide, sortumose e soggette a inondazione nella zona “Raganella”.
Corrado nasce in quel castello nel 1290 ma nel 1315 - felicemente sposato ma ancora senza prole - durante una battuta di caccia causa un incendio, per motivo futile, stanare la selvaggina tra i rovi per il gusto dall’alto del suo cavallo, di poter scagliare la freccia fatale.
L’incendio devasta, brucia stalle, piccoli casamenti, probabilmente c’è qualche vittima: a Piacenza comanda il ghibellino Galeazzo Visconti di Milano, che sospetta un attentato al suo potere: gli sgherri per quietare il Visconti catturano un povero contadino. La faccenda sembra risolta, non è un attentato ma solo un incendio dovuto a incompetenza, e la forca attende l’innocente. Intanto il giovane Corrado si tormenta, al sicuro nel maniero del padre lì a Calendasco, dove nessuno andrebbe a rendergli conto, ma la coscienza e il buon consiglio della consorte lo portano a presentarsi nella cittadella viscontea di Piacenza, residenza di Galeazzo, e confessa.
La legge di quel medioevo, prevedeva per gli “incendiariorum” la certa pena di morte, ma per un nobile lo “Statuto civitate Placentiae” prevedeva “solo” il pagamento del danno. E così avviene.
Corrado subisce la dannazione della memoria dalla famiglia: gli viene data la sua parte d’eredità, paga e si ritrova abbandonato, solo con la moglie, anch’essa caduta in disgrazia con quel gesto insano. I Confalonieri però, resteranno i feudatari di Calendasco per ben tutto il XVI secolo, fino a che “migreranno” a Milano dopo il 1586 forzatamente dopo l’infausto fatto della congiura ed uccisione del 10 settembre 1547, di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III. Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco è tra i quattro fautori, e quel gesto costerà caro ancora una volta anche a San Corrado, infatti il culto per circa 50 anni sarà proibito nel feudo calendaschese e in tutto il piacentino.
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La vita di San Corrado, dal castello alla grotta
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citato come un “santo da neve” nella tradizione popolare piacentina, per il fatto che la festa ricade in pieno febbraio, il giorno 19. È stato un uomo segnato fin dalla prima gioventù di una sventura cruciale che darà una svolta inaspettata a tutta la sua vita.
È interessante e curiosissima la vicenda di San Corrado Confalonieri: sposato ventenne con Giovannina Vistarini di Lodi (nelle agiografie antiche è detta Eufrosina), ma già dalle ricerche d’archivio fatte nel 1611 qui a Piacenza si rintracciò appunto nel monastero di Santa Chiara di Piacenza una “Joanna Confanonerii” ancora vivente nel 1351 e che si riteneva “potesse esser senza nulla in contrario la sposa” di Corrado.
Le ricerche contemporanee sulle pergamene notarili nell’Archivio di Stato a Piacenza confermano in pieno questo dato: c’è eccome, segnalata tra le monache, anche questa “Joannina” e che ipotizziamo poi trascritto come Eufrosina, ma questo rimane un dato secondario che non inficia la storia umana del Santo piacentino.
I Confalonieri erano una famiglia di militi vescovili, importanti e considerati: negli anni del medioevo avevano un privilegio, conservato per secoli: dalle “Informattioni” inviate a Noto dai Giurati di Piacenza nel 1611 apprendiamo che “il più anziano della stirpe” accompagnava l’ingresso del nuovo vescovo cittadino accogliendolo su di una “chinea bianca”.
Il feudo più importante che avevano era quello di Calendasco, poco lontano dalla città, vicino al Grande Fiume, con terre floride, boschi e vigneti, tanto che abbiamo potuto leggere in carte d’archivio del XVI secolo far cambio di terre con il parroco di Calendasco: cedono terre coltive vicino al paese e si prendono le terre parrocchiali gerbide, sortumose e soggette a inondazione nella zona “Raganella”.
Corrado nasce in quel castello nel 1290 ma nel 1315 - felicemente sposato ma ancora senza prole - durante una battuta di caccia causa un incendio, per motivo futile, stanare la selvaggina tra i rovi per il gusto dall’alto del suo cavallo, di poter scagliare la freccia fatale.
L’incendio devasta, brucia stalle, piccoli casamenti, probabilmente c’è qualche vittima: a Piacenza comanda il ghibellino Galeazzo Visconti di Milano, che sospetta un attentato al suo potere: gli sgherri per quietare il Visconti catturano un povero contadino. La faccenda sembra risolta, non è un attentato ma solo un incendio dovuto a incompetenza, e la forca attende l’innocente. Intanto il giovane Corrado si tormenta, al sicuro nel maniero del padre lì a Calendasco, dove nessuno andrebbe a rendergli conto, ma la coscienza e il buon consiglio della consorte lo portano a presentarsi nella cittadella viscontea di Piacenza, residenza di Galeazzo, e confessa.
La legge di quel medioevo, prevedeva per gli “incendiariorum” la certa pena di morte, ma per un nobile lo “Statuto civitate Placentiae” prevedeva “solo” il pagamento del danno. E così avviene.
Corrado subisce la dannazione della memoria dalla famiglia: gli viene data la sua parte d’eredità, paga e si ritrova abbandonato, solo con la moglie, anch’essa caduta in disgrazia con quel gesto insano. I Confalonieri però, resteranno i feudatari di Calendasco per ben tutto il XVI secolo, fino a che “migreranno” a Milano dopo il 1586 forzatamente dopo l’infausto fatto della congiura ed uccisione del 10 settembre 1547, di Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III. Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco è tra i quattro fautori, e quel gesto costerà caro ancora una volta anche a San Corrado, infatti il culto per circa 50 anni sarà proibito nel feudo calendaschese e in tutto il piacentino.
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Per approfondire
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- L'Araldo di San Corrado è il Collegamento Devozionale Italiano dei Devoti e Fedeli del Santo piacentino morto a Noto il 19 febbraio 1351 e nato in Calendasco (Piacenza) nel 1290
- San Corrado Confalonieri è stato un penitente, terziario francescano, vissuto da eremita in Noto, nella Valle dei Tre Pizzoni dentro ad una grotta