LETTURE DEL BLOG N. 120.882 AL 24 GENNAIO 2024


Dal sito della Diocesi di Noto

COMUNICATO STAMPA - La riapertura della Cattedrale di Noto. Un anno dopo.

Il 18 giugno 2007 rimarrà una data storica per l’Italia e per il mondo

Noto, 14 giugno 2008. Il 18 giugno 2007 rimarrà una data storica per l’Italia e per il mondo: la Cattedrale di Noto, uno dei gioielli del barocco siciliano, patrimonio artistico dell’umanità, è stata riaperta al culto dei fedeli e ridonata alla città di Noto. A un anno dalle celebrazioni di riapertura, la Diocesi di Noto con il patrocinio del Comune d Noto e la collaborazione della Pro-Noto promuovono una serie di appuntamenti per celebrare il memorabile evento.
Momento centrale e culminante sarà la conferenza di giorno 18 giugno che si terrà in Cattedrale e vedrà come relatore principale S.E. Mons. Carlo Chenis, Vescovo di Civitavecchia e membro della Commissione nazionale per la ricostruzione della Cattedrale, il quale interverrà sul tema “La Cattedrale immagine della Chiesa: dalla ricostruzione delle pietre alla rievangelizzazione dei fedeli”. La conferenza si aprirà con l’intervento di S.E. Mons. Mariano Crociata, Vescovo di Noto, al quale seguiranno gli interventi dell’Avv. Corrado Valvo, Sindaco di Noto; della Dott.ssa Fiorella Scandura, Prefetto di Siracusa e Commissario per la ricostruzione; e dell’Arch. Mariella Muti, Soprintendente ai Beni culturali e artistici di Siracusa.
“La riapertura della Cattedrale di Noto, dopo il crollo e la ricostruzione, è stato un avvenimento importante e profondamente evocativo per la diocesi e per il territorio, ben oltre i confini assegnati alla sua figura geografica – dice il Vescovo di Noto Mariano Crociata -. Ad un anno di distanza è doveroso ma, ancor più, profondamente sentito raccogliere la risonanza dell'evento, che permane attivo con la sollecitazione che suscita a ricostruire nuovi vissuti e nuove relazioni in un tessuto sociale ed ecclesiale bisognoso di recuperare ripresa e slancio”.
Alla conferenza si affiancheranno altre due manifestazioni che fanno da corollario al momento celebrativo: la Mostra delle Confraternite netine che sarà inaugurata domenica 15 giugno alle ore 21.00 presso la Chiesa dello Spirito Santo e l’Estemporanea d’arte organizzata dalla Diocesi di Noto, dalla Parrocchia “San Corrado nella Cattedrale” e dall’Associazione “Amici della Cattedrale”, con il patrocinio del Comune di Noto e la collaborazione dell’Associazione Turistica “Pro Noto” sul tema “La Cattedrale simbolo del barocco e dell’iconografia sacra del Val di Noto”.
L’estemporanea coinvolgerà artisti delle Diocesi di Noto e di Mazara del Vallo e si svolgerà nell’area del centro storico di Noto il 17 giugno (pomeriggio) e il 18 giugno (fino alle 17). Le opere realizzate verranno esposte e presentate in Cattedrale in occasione del Convegno “Riapertura della Cattedrale un anno dopo” di giorno 18 giugno.
“Dopo un anno raddoppia la felicità per la restituzione al culto e al mondo intero della Cattedrale di Noto – commenta il sindaco della città Corrado Valvo -. Ciò, infatti, ha comportato un ulteriore motivo di richiamo di turisti da tutto il mondo, che sicuramente avranno modo di apprezzare le ulteriori opere di altissimo pregio che verranno realizzate. Gli affreschi e l’altare creeranno eventi negli eventi arricchendo ancor di più la preziosità e l’importanza dell’opera. La grande sinergia e condivisione di intenti con la Diocesi di Noto stanno facendo diventare Noto la meta più importante per un composito turismo culturale e religioso”.
14/06/2008Ufficio Stampa









Antica immagine di San Corrado

L’incisione qui riprodotta risale al 1846, reca la firma di un certo Antonio Rodogno («Ant. Rodogno inc.») e venne inserita nell’opuscolo di 16 pagine «SAN CORRADO DA PIACENZA. LODI DA RECITARSI NEL MESE DELLA SUA FESTIVITA’. Noto, Stamperia dell’Intendenza, 1846». Il vescovo dell’epoca, Mons. Giuseppe Menditto, concedeva «40 giorni d’indulgenza a chi devotamente recita queste lodi in onore del glorioso S. Corrado».

Questa singolare immaginetta era popolare in ogni casa tra i devoti del Santo agli inizi dell’800. Essa arricchisce la conoscenza iconografica riguardante il Santo piacentino.

In questa incisione S. Corrado è raffigurato in ginocchio dinanzi ad una rustica croce e in atteggiamento di intercessione per la città di Noto, visibile nello sfondo.

San Corrado in ginocchio: in questo atteggiamento egli aveva reso l’anima a Dio il 19 febbraio 1351. In questo stesso atteggiamento è modellata la statua in marmo bianco, situata nella grotta del santuario a S. Corrado di fuori, opera del Prof. Giuseppe Pirrone (1936).:

Davvero momento mistico del nostro Santo eremita, che in Dio aveva compreso e servito il prossimo. Aveva ragione Giovanni Papini nell’affermare che «l’uomo mai è così grande come quando è in ginocchio»!

Sac. Salvatore Guastella



IL LEGATO SANCTI CONRADI 1617



Già in due importantissimi volumi editi in Piacenza nel 2005 e 2006 si evidenziano nuovi fatti storici mai pubblicati dalla storiografia del Santo, in effetti è plausibile e logico che a Noto non potessero pubblicare documenti degli Archivi piacentini: è toccato a noi ricercatori e storici di Calendasco ritrovare questi favolosi Atti notarili Diplomatici sensazionali.

La storia del Santo, ora unita a quella già certa e ben pubblicata a Noto in Sicilia, ora si avvale di queste recenti ma importantissime scoperte d'Archivio per mano del ricercatore Umberto Battini.


Il Legato fatto in CURIA Vescovile a Piacenza davanti al Vescovo Conte mons. Claudio RANGONI che lo approva, conferma e decreta, è per volontà del Conte GiovanBattista Zanardi-Landi assegnato alla chiesa di Calendasco in data 9 agosto 1617, redatto dal Notaio e CANCELLIERE EPISCOPALE Piacentino GiovanFrancesco De Parma è “ad devotionem et reverentiam versus Sancti Conradum Confessorem” la cui festa è ricordato essere celebrata nella città di Piacenza “et Diocesis Placentina” il 19 febbraio e che Santo Corrado “oriundus de predecta civitate” ed altresì della Illustrissima Famiglia dei Confalonieri abitante nelle loro dimore poste nel luogo di Calendasco.


La erezione della Cappella dedicata al Santo che “subinde ornavi et munivi” cioè che veniva tutta decorata e fornita del necessario affinchè fosse possibile celebrarvi messa è tutta a spese dello stesso Conte specificando che la “Capella et Altare S.ti Conradi” eretto nella chiesa di S.Maria di Calendasco è posto nella parte sinistra “per eius Portam minorem respicentem versum Castrum loci predicti Calendaschi et sic versus nullam horam” e come ancora oggi appare, sebbene modificato nel tempo e in special modo nel 1700 con i lavori di ampliamento della stessa chiesa, è situato vicino alla porta minore posta verso il castello e entro la qual porta essere quella finestra romanica della chiesa medievale.

Le cappelle della chiesa col tempo vennero eliminate lasciando solo le pareti con una piccola rientranza, basti pensare agli anni 1970 quando per i lavori che vennero eseguiti, le cappelle che erano ancora esistenti nella parte destra entrando nel tempio, furono abbattute mantenendo la attuale struttura.

Nel Legato viene lasciata la rendita relativa al possesso posto in Villa Campadone, poco discosti dal Borgo, che è dato in enfeteusi ad un certo Codeghini che ha l’obbligo di mantenere e migliorare il fondo e versare il prezzo del fitto al “rectore” della chiesa assieme “ad unuis caponi”.

Il “moderno Rectore” della chiesa si obbliga “in perpetuum” a celebrare ogni giorno una messa all’altare di S.Corrado con “memento dello Zanardi-Landi” e celebrare la messa solenne, senza memento, il 19 febbraio giorno della festa del Santo.


Quello che emerge è che il Legato nelle sue espressioni iniziali vada ad evidenziare senza mezzi termini della discendenza del Santo e della sua nascita in Calendasco, in eodem loco iste sanctus ut praefertur vitam terrenam duxerit ricordando che i Confalonieri furono “iuribus” nel borgo e in villa Campadone prima di lui stesso Zanardi-Landi.


Anche circa al culto del Santo appare chiaro essere già esistente sebbene solo da ora, epoca tra l’altro in cui il Santo fu conosciuto in tutta la penisola aprendo il culto a tutta la chiesa, inquanto in Calendasco il culto non era da impiantare ma da accrescere prova era che già tante erano le grazie ricevute dalla gente del posto e questo viene chiaramente specificato.


Riproponiamo ai lettori e devoti un articolo del gennaio scorso

LA DIOCESI DI NOTO


Un prezioso intervento storico per capire le radici della Diocesi di Noto che conserva le venerate spoglie del Santo Corrado eremita e pellegrino


di Salvatore Guastella


Il ministero del vescovo è tutto relativo alla sua Chiesa locale, che comprende lui stesso e la comunità diocesana, in comunione con la Chiesa universale. Nell’ordinazione episcopale la liturgia esprime in maniera appropriata il sigillo trinitario: «Veglia con amore su tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo ti pone a reggere la Chiesa di Dio; nel Nome del Padre del quale rendi presente l’immagine, e del Figlio suo Gesù Cristo dal quale sei costituito maestro sacerdote e pastore, e dello Spirito Santo che dà vita alla Chiesa e con la sua potenza sostiene la nostra debolezza».

Anche la Chiesa di Dio che è in Noto – da oltre 160 anni – vive nella successione dei suoi vescovi il mistero-ministero che le garantisce la presenza di Cristo Buon Pastore nella comunità diocesana impegnata, responsabile e – oggi – in stato di globale e permanente missione, sollecitata dalla Parola di Dio, dal Concilio Vaticano II e dal 2° Sinodo diocesano.

A Noto, già capitale dell’omonima Valle (o Vallo), il vescovado viene auspicato quando Isimbardo Morengia, signore della città, fonda con la dote di quattro feudi il monastero cistercense di S. Maria dell’Arco il 20 agosto 1212, col segreto progetto di promozione a sede vescovile; ma le vicende di Casa Sveva e, in seguito, le turbolenze degli Angioini non lo resero realizzabile allora.

Insignita del titolo di Città da Alfonso il Magnanimo (27 dicembre 1432) e in un momento di particolare prestigio anche culturale, Noto richiede l’erezione a capo-diocesi il 14 giugno 1433 a Papa Eugenio IV e il 22 gennaio 1450 a Nicolò V (v. Rocco Pirri, Sicilia Sacra I, 176); il netino Rinaldo Sortino nel 1451 e nel 1453 ottiene lettere regie, ma l’aragonese Paolo Santafé vescovo di Siracusa fa annullare ogni cosa perché la parrocchia di Noto, a tutti gli effetti, dal Sinodo del 1388 era appannaggio del canonico cantore (o ciantro) del Duomo di Siracusa (Serafino Privitera, Storia di Siracusa, II, 115 e 492).

Altre iniziative vengono promosse nel 1594 e nel 1609 «essendo Noto capo del Valle et una delle principali città del regno di Sicilia, adornata di belli conventi et monasteri et ecclesij”. Un’altra allegazione del 17 febbraio 1783 ripropone “la preferenza della città capitale del Valle per una assai comoda e decente sede vescovile. Così dunque del pari di Messina e di Mazara del Vallo converrebbe a buon ordine e ragione richiedere che la terza Valle ancora una terza sede vescovile nella sua città capitale si rinvenga, quale essendo appunto la città di Noto per costituzione dei Principi Normanni» (Allegazione della città di Noto sulla pretesa del Vescovado, ms. presso la biblioteca comunale di Noto).

Agli inizi dell’Ottocento, i Borboni del regno di Sicilia cercano di legare sempre più gli episcopati alla corona, servendosi del privilegio della legazia apostolica e del tribunale di sacra monarchia sicula. Con la loro ‘Rimostranza del 1808’, i vescovi rivendicano un libero rapporto con la Santa Sede. Nel 1816 la nascita del regno delle Due Sicilie porta l’unificazione amministrativa della Sicilia col Napoletano, per cui il concordato del 1818 ha valore anche in Sicilia, consentendo così una pesante ingerenza dello Stato nei rapporti tra vescovi, clero e fedeli. Di conseguenza per le diocesi siciliane venivano scelti dal re e proposti alla Santa Sede vescovi provenienti dalle regioni continentali.

A seguito dei tumulti verificatisi a Siracusa durante l’epidemia del colera, il 13 agosto 1837 l’alto commissario Del Carretto ordina il trasferimento a Noto del capoluogo di provincia e dei tribunali (sino alla revoca del 26 agosto 1865). Dietro domanda di Ferdinando II, Gregorio XVI il 15 maggio 1844 emana la bolla Gravissimum sane munus, con la quale eleva Noto a sede vescovile e la sua chiesa madre a Cattedrale. Nel documento il papa ricorda l’impegno del suo predecessore Pio VII, il quale si era proposto già di accrescere in Sicilia il numero delle diocesi «per rendere più agile il servizio pastorale dei vescovi, secondo le decisioni concordatarie del 1818 art. 7».

Alla nuova Diocesi, oltre Noto furono assegnati – smembrandoli da quella di Siracusa - i Comuni di Avola, Buccheri, Buscemi, Cassaro, Ferla, Giarratana, Modica, Pachino, Palazzolo Acreide, Pozzallo, Portopalo, Rosolini, Scicli e Spaccaforo (ora Ispica). Lo stesso anno 1844 Gregorio XVI erige le diocesi di Caltanissetta il 25 maggio, di Trapani il 31 maggio e di Acireale il 27 giugno; e con bolla In suprema militantia del 20 maggio eleva Siracusa ad arcidiocesi metropolitana.

Va ricordato che il 6 maggio 1950 Pio XII erige la diocesi di Ragusa (già capoluogo di provincia dal 6 dicembre 1926) e con la bolla Quam quam est del 1 ottobre 1955 la rende autonoma dall’arciidiocesi siracusana, per cui Giarratana passa alla novella diocesi di Ragusa, mentre Palazzolo Acreide, Buccheri, Buscemi, Cassaro e Ferla ritornano a quella di Siracusa.

In adempimento della citata bolla, Gregorio XVI il 22 luglio emana le seguenti otto bolle o decreti esecutivi:

  • Apostolatus officium meritis, diretta al sac. Giuseppe Menditto canonico del Duomo di Capua, per comunicargli la nomina a primo vescovo di Noto;
  • Apostolicae Sedis consueta, per comunicare allo stesso Menditto la elezione a primo vescovo di Noto, “preconizzata nell’odierno concistoro dei cardinali”;
  • Gratiae divinae proemium, indirizzata a Ferdinando II delle Due Sicilie per confermargli l’elezione di don Menditto a primo vescovo di Noto;
  • «Ad cumulum tuae», indirizzata all’arcivescovo di Siracusa per comunicargli l’elezione di Menditto a primo vescovo di Noto, elevata a diocesi suffraganea di Siracusa;
  • Hodie Ecclesiae Netinae, diretta ai canonici del Capitolo della Cattedrale di Noto, perché accolgano quel primo vescovo, e “come padre e pastore delle vostre anime gli prestiate docile e umile obbedienza, adempiendone l’indirizzo pastorale”
  • Hodie Ecclesiae Netensi, diretta al clero della città e diocesi di Noto, esortando anche loro all’umile e docile obbedienza filiale;
  • Hodie Ecclesiae Netensi, diretta al popolo della città e diocesi di Noto, rinnovando la stessa esortazione;
  • Hodie Ecclesiae Netensi, diretta a tutti i vassalli della Chiesa di Noto (v. Archivio della curia vescovile di Noto, Res Apostolicae, ff. 14-17).

Nel 1856 la Santa Sede col decreto Peculiaribus ottiene dal governo di Napoli un ridimensionamento delle attribuzioni del giudice di monarchia a favore dei vescovi. Sono di questo periodo del regno delle Due Sicilie i primi tre vescovi di Noto: Giuseppe Menditto (1844-49), Giovanni Battista Naselli (1851-53) e Mario Mirone (1853-64).

Con il Concilio Vaticano I (1870) declina l’ecclesiologia regalista e si afferma quella romana, mentre si rafforzano i legami istituzionali della Chiesa di Sicilia con la curia vaticana. La frattura tra il governo italiano e il Vaticano, però, impedisce la nomina di nuovi vescovi nelle sedi vacanti siciliane, perché la Santa Sede vuole evitare che il nuovo governo rivendichi il diritto di presentazione dei candidati, ledendo il diritto della Chiesa nella libera collazione dei vescovadi. E Noto per otto anni rimane sede vacante (1864-72); finalmente, grazie alla legge delle Guarentigie del 1871, viene nominato vescovo Mons. Benedetto La Vecchia (1872-75).

Nonostante una certa acredine anticlericale, che ha il suo momento nel 1882 in occasione del 6° centenario dei Vespri Siciliani, la libertà in campo pastorale è garantita, ma pone i vescovi siciliani nella necessità di non poter ricorrere allo Stato per ottenere l’osservanza dei precetti e della morale cattolica. Nella lettera collettiva a conclusione della conferenza episcopale siciliana, i vescovi denunciano i mali che minacciano la compattezza religiosa e morale dell’isola. Il vescovo di Noto, Mons. Giovanni Blandini (1875-1913) - antesignano di democrazia e di rinnovamento cattolico in Italia - è definito “perla dell’episcopato siciliano” da Leone XIII, che lo decora del pallio arcivescovile ad personam il 25 giugno 1900.

Intorno al 1910 si preferiscono forme di organizzazione del laicato cattolico con preminente formazione religiosa come la Gioventù cattolica e gli Oratori. Papa S. Pio X promuove il catechismo e rilancia la buona stampa. In piena guerra, nel 1916, si tiene a Tindari la conferenza episcopale siciliana, essendo segretario il vescovo di Noto, Mons. Giuseppe Vizzini (1913-35). Per lui la riforma religiosa è possibile su un piano spirituale. Sono frutto della sua competenza giuridica i documenti del 1° Concilio plenario siculo (Palermo, 1920) e del 1° Sinodo diocesano (Noto, 5-7 ottobre 1923).

Quello di Mons. Angelo Calabretta (1936-70) è un episcopato che ha profonde radici soprannaturali. Il silenzio della preghiera è il segreto della riuscita dell’attivissimo suo episcopato.

.Il suo successore, Mons. Salvatore Nicolosi (1970-98), ha fatto crescere la realtà ‘Chiesa’ in tutte le dimensioni: dall’evangelizzazione alla comunione, dal culto a Dio al servizio dell’uomo. Egli realizza nel 1988 il gemellaggio con la giovane Diocesi di Butembo-Beni (Congo) e celebra il 2° Sinodo Diocesano (1995-96).

Tra le numerose realizzazioni del servizio episcopale di Mons. Giuseppe Malandrino (1998-2007), ricordiamo la Missione popolare permanente, frutto del grande Giubileo del 2000, la visita pastorale (2003-06) e la felice riapertura, il 18 giugno 2007, della Cattedrale ricostruita.

Il 6 ottobre 2007 la Comunità diocesana ha accolto il suo 10° Vescovo, nominato da Papa Benedetto XVI il 16 luglio: Mons. Mariano Crociata! Egli proviene dalla diocesi di Mazara del Vallo (Trapani), fondata il 10 ottobre 1098 con bolla di Urbano II. Diocesi che ha avuto due Vescovi originari da quella di Noto: il netino Mons. Carlo Impellizzeri (1650-59) e il teatino sciclitano Mons. Girolamo Palermo (1759-65).

Salvatore Guastella



L’INCENDIO


di Umberto Battini
agiografo di San Corrado


La causa che spinge il nobile Corrado a dare una svolta alla sua vita è collegata senza ombra di dubbio al fatto dell’incendio che provocò durante una battuta di caccia. Siccome fu incolpato del danno un innocente contadino, Corrado lo fa liberare ammettendo la colpa: lui è il colpevole e lui è l’uomo da punire. Gli antichi Statuti piacentini sono da datare al 1322-36, Galeazzo I Visconti milanese e Signore di Piacenza morì nel 1328, gli studiosi propendono perché “una compilazione di norme da lui ordinata, potrebbe essere avvenuta soltanto nel periodo fra il 29 dicembre 1322 in cui ritornò al potere, e il 1327 in cui ne fu deposto. In questo arco di tempo cade appunto la compilazione del 1323 cui si aggiunsero altre norme che risultano confermate nel 1336 da Azzone Visconti... ed altre ancora poste sotto gli anni 1341-1342” e proprio queste antiche leggi trattano anche dell’incendio: “Munita di sanzione penale era soltanto la norma relativa all’incendio doloso, e la pena variava a seconda dell’entità del danno arrecato... tuttavia il condannato poteva sottrarsi alla pena corporale pagando al Comune la somma di 200 lire entro quindici giorni dalla condanna, e risarcendo completamente il danno”. Per la cessione dei beni in caso di dover pagare per un danno causato, quale appunto l’incendio, oltre alla forma della espropriazione dei beni da parte del potere civile, poteva essere attuata “la volontaria cessione di tutti i beni da parte del debitore”.
La famiglia del santo era guelfa, intimamente legata alla chiesa piacentina e molto vicina ai francescani. Nello stesso borgo di Calendasco esisteva una piccola comunità di frati laici della Penitenza, cioè del Terzo Ordine francescano che erano conosciuti per il loro modo di vivere in povertà al servizio di tutti, anche dallo stesso giovane Corrado.
La Tradizione dell’incendio, che si è tramandata da secoli nel piacentino, narra di due possibili luoghi: la località Case Bruciate di Travazzano nei pressi di Carpaneto – ove i Confalonieri possedevano una Casa Torre con delle terre presso Celleri – oppure il Villa Campadone – luogo vicino a Calendasco e rientrante nel feudo che gli stessi qui avevano.
Un ‘molino brugiato’ c’è anche nei pressi dello stesso paese e proprio ove nel 1805 le mappe catastali napoleoniche indicano il “molino Raffoni”, quello legato alla tradizione del gorgolare. Il molino bruciato posto a Calendasco confina con la strata levata, cioè la strada che è rialzata proprio per far sì che il rivo macinatore possa far quel salto necessario a smuovere la grande pala del molino.
Ma anche una nuova ipotesi per collocare l’incendio causato dal giovane san Corrado può aggiungersi a queste: infatti non molto lontano da Calendasco, a pochi chilometri – (circa quattro) - in direzione di San Nicolò a Trebbia, esiste una località chiamata ‘la Bruciata’ di antica memoria.
Il fatto eccezionale è dato da una pergamena dell’11 gennaio 1589: è una investitura di un fondo terriero di 200 pertiche fatta dai monaci di Quartazzola (località a pochi chilometri da Piacenza posta non molto lontano dal fiume Trebbia) ad un certo Cesare Viustino che è erede del fu Alfonso.
La pergamena riporta che le terre sono poste nel territorio di Calendasco, in direzione di San Nicolò e nel luogo detto “alla Brugiata”: una vasta area agricola coltivata di ben 200 pertiche (pensate che un campo da calcio è di circa 4 pertiche piacentine).
A diritto questo grande spazio rurale fatto di campi coltivabili, vitigni e zone a bosco può essere ritenuto il luogo dell’incendio di san Corrado Confalonieri? A mio avviso si, con un buon margine di possibilità, data dalla ragionevolezza che una così vasta possessione terriera sia ricordata nel ‘500 con il nome ‘Bruciata’, sintomo che lì vi fu nei tempi andati un possente incendio che ancora segnava la toponomastica e la memoria della gente.
Per restare in argomento una carta sempre dei frati Bernardini di Quartazzola del 23 giugno 1654 testimonia del fitto di terre ad un certo signor Viustino (discendente dell’altro prima citato) poste alla “Bre” in territorio di Calendasco che sono al ridosso confinale con i paesi di San Nicolò e Santimento.A buon diritto ritengo che se la certezza per l’incendio corradiano non è possibile darla per scontata, tutto quello che la vecchia storiografia dava come unico dato, cioè citando solo ed esclusivamente quale posto del danno ‘le Case Bruciate’ dell’area di Travazzano, sia da ritenere sorpassata e ampiamente messa in discussione dai nuovi dati storici inediti che ho rintracciato in Archivio di Stato di Parma e Piacenza: cioè il molino Bruciato di Calendasco e soprattutto l’area agricola nel territorio dello stesso Calendasco chiamata ancora nel 1589 la Bruciata, ha più valore storico per crederla area dell’incendio corradiano, al contrario di quello che può essere un toponimo relativo a delle poche case andate bruciate.



Note al testo

GIACOMO MANFREDI Gli Statuti di Piacenza del 1391 e i Decreti Viscontei, a cura della Banca di Piacenza, Unione Tipografica Editrice Piacentina, Piacenza 1972; pagg.12-13; ringrazio per avermi permesso di consultare l’importante volume il Sig. Romano Gobbi attento cultore della storia piacentina
GIACOMO MANFREDI Gli Statuti di Piacenza del 1391 e i Decreti Viscontei, a cura della Banca di Piacenza, Unione Tipografica Editrice Piacentina, Piacenza 1972, pag.72-73
GIACOMO MANFREDI Gli Statuti di Piacenza del 1391 e i Decreti Viscontei, a cura della Banca di Piacenza, Unione Tipografica Editrice Piacentina, Piacenza 1972, pag.126-127
sull’hospitale di Calendasco che era al passo del Po sulla Via Francigena non ci sono più dubbi, già ne trattai nel II°Convegno Nazionale di Studi in onore di S. Corrado Confalonieri – Calendasco 1999 e con maggior ampiezza nella relazione che ho svolto in: III° Convegno Nazionale di Studi in onore di S. Corrado Confalonieri – Piacenza 18 marzo 2000 Auditorium S. Ilario, Partner organizzativo la Banca di Piacenza
ASPC notaio Lelio Degani pacco n.15393, ove una carta del 1653 cita appunto il molino brugiato in loco calendaschi e la strada levata o rialzata.
ASPR Convento di Quartazzola di S. Maria e S. Salvatore, pergamena in corsiva latina, pacco LXXVII 1, doc. del 11 gennaio 1589; sempre nel Fondo di questo Convento una pergamena del 14 febbraio 1277 tratta di una pecia terra culta que est quatuor jugera che è posta in Capitis Trebie,cioè Cò Trebbia (vecchia) luogo in cui sorge la famosa abbazia dipendente da S. Sisto di Piacenza ove si tennero le Diete del Barbarossa nel 1158
anche questa pergamena è un inedito da me rinvenuto in quanto nessuno aveva mai dato peso al fatto che in essa si trattasse di questa area agricola detta ‘bruciata’
ASPR Convento di Quartazzola di S. Maria e S. Salvatore pacco LXXVII 1 – AI° AII°, pergamena n.19
dal volume AA.VV. "San Corrado Confalonieri - i documenti inediti piacentini"
edizioni Compagnia di Sigerico 2006 - Calendasco (Pc)

Per approfondire

  • visita www.araldosancorrado.org
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