LETTURE DEL BLOG N. 120.882 AL 24 GENNAIO 2024

IL LEGATO SANCTI CONRADI 1617



Già in due importantissimi volumi editi in Piacenza nel 2005 e 2006 si evidenziano nuovi fatti storici mai pubblicati dalla storiografia del Santo, in effetti è plausibile e logico che a Noto non potessero pubblicare documenti degli Archivi piacentini: è toccato a noi ricercatori e storici di Calendasco ritrovare questi favolosi Atti notarili Diplomatici sensazionali.

La storia del Santo, ora unita a quella già certa e ben pubblicata a Noto in Sicilia, ora si avvale di queste recenti ma importantissime scoperte d'Archivio per mano del ricercatore Umberto Battini.

Il Legato fatto in CURIA Vescovile a Piacenza davanti al Vescovo Conte mons. Claudio RANGONI che lo approva, conferma e decreta, è per volontà del Conte GiovanBattista Zanardi-Landi assegnato alla chiesa di Calendasco in data 9 agosto 1617, redatto dal Notaio e CANCELLIERE EPISCOPALE Piacentino GiovanFrancesco De Parma è “ad devotionem et reverentiam versus Sancti Conradum Confessorem” la cui festa è ricordato essere celebrata nella città di Piacenza “et Diocesis Placentina” il 19 febbraio e che Santo Corrado “oriundus de predecta civitate” ed altresì della Illustrissima Famiglia dei Confalonieri abitante nelle loro dimore poste nel luogo di Calendasco.

La erezione della Cappella dedicata al Santo che “subinde ornavi et munivi” cioè che veniva tutta decorata e fornita del necessario affinchè fosse possibile celebrarvi messa è tutta a spese dello stesso Conte specificando che la “Capella et Altare S.ti Conradi” eretto nella chiesa di S.Maria di Calendasco è posto nella parte sinistra “per eius Portam minorem respicentem versum Castrum loci predicti Calendaschi et sic versus nullam horam” e come ancora oggi appare, sebbene modificato nel tempo e in special modo nel 1700 con i lavori di ampliamento della stessa chiesa, è situato vicino alla porta minore posta verso il castello e entro la qual porta essere quella finestra romanica della chiesa medievale.

Le cappelle della chiesa col tempo vennero eliminate lasciando solo le pareti con una piccola rientranza, basti pensare agli anni 1970 quando per i lavori che vennero eseguiti, le cappelle che erano ancora esistenti nella parte destra entrando nel tempio, furono abbattute mantenendo la attuale struttura.

Nel Legato viene lasciata la rendita relativa al possesso posto in Villa Campadone, poco discosti dal Borgo, che è dato in enfeteusi ad un certo Codeghini che ha l’obbligo di mantenere e migliorare il fondo e versare il prezzo del fitto al “rectore” della chiesa assieme “ad unuis caponi”.

Il “moderno Rectore” della chiesa si obbliga “in perpetuum” a celebrare ogni giorno una messa all’altare di S.Corrado con “memento dello Zanardi-Landi” e celebrare la messa solenne, senza memento, il 19 febbraio giorno della festa del Santo.

Quello che emerge è che il Legato nelle sue espressioni iniziali vada ad evidenziare senza mezzi termini della discendenza del Santo e della sua nascita in Calendasco, in eodem loco iste sanctus ut praefertur vitam terrenam duxerit ricordando che i Confalonieri furono “iuribus” nel borgo e in villa Campadone prima di lui stesso Zanardi-Landi.

Anche circa al culto del Santo appare chiaro essere già esistente sebbene solo da ora, epoca tra l’altro in cui il Santo fu conosciuto in tutta la penisola aprendo il culto a tutta la chiesa, inquanto in Calendasco il culto non era da impiantare ma da accrescere prova era che già tante erano le grazie ricevute dalla gente del posto e questo viene chiaramente specificato.

Torna a risplendere un gioiello di valore storico e di bellezza barocca tipica del sud-est siciliano


La Cattedrale di Noto ieri e oggi


di Salvatore Guastella


«Il felice evento della riapertura al culto dell’insigne Cattedrale possa suscitare nel popolo di Noto, per l’intercessione della Vergine Santa e del patrono S. Corrado Confalonieri, un rinnovato entusiasmo spirituale ed una coraggiosa testimonianza missionaria».

Benedetto XVI, 15.06.2007


Nell’antica Noto (Netum) la Chiesa Maggiore venne riedificata - dopo la definitiva liberazione dai Musulmani (1091) – per volontà di Ruggero il Normanno che la volle dedicata, come le altre Matrici del Meridione d’Italia, a S. Nicolò di Bari. Il papa Paolo V la creava parrocchia autonoma il 20 maggio 1609; dopo il terremoto del 9 e 11 gennaio 1693, nella nuova attuale città, G.B. Deodato Scammacca ne promosse la costruzione e nel 1698 l’agibilità, sebbene non fosse del tutto completata. Lo stemma del Comune, con croce bianca in campo rosso, e l’iscrizione S.P.Q.N. [‘il Senato e il Popolo di Noto’] posto sull’architrave del tempio ricordano l’impegno municipale per la sua manutenzione.

Il Consiglio Comunale nel 1701-1706 - Nell’aprile 1701 il Consiglio Comunale devolveva alla fabbrica della Matrice 80 once annue; ma il 9 aprile 1703 sostituì il contributo in materiali di pietra d’intaglio lavorata, che veniva trasportata dall’antica Noto, e da pietra rustica da estrarre dalle cave [1]-. Il 20 giugno 1706 i signori Giurati chiesero ai sacerdoti il contributo “di sei tarì, onde rifarsi la campana maggiore della Chiesa Madre con l’obbligo di suonarla gratis nel loro obito”; la campana venne fusa a Caltanissetta da Silvestro Bonaccorto e benedetta il 25 novembre 1706 da Mons. Asdrubale Termini vescovo di Siracusa.

Costante il rischio sismico - Tutta la nostra zona iblea viene collocata tra le aree ad altissimo rischio sismico. Le principali caratteristiche della Sicilia sud-orientale vengono inquadrate nel sistema geodinamico del Mediterraneo occidentale. Anche la nuova Noto deve affrontare le soluzioni più opportune. La terra sussulta decisamente il 6-7 gennaio 1727: crolli e lesioni sono evidenti anche nella Chiesa Madre. Nessun danno fortunatamente alle persone. Più disastroso il terremoto del 1769: “la Chiesa Madre trovavasi diroccata dalle fondamenta”; l’arca argentea di S. Corrado venne trasferita nella chiesa del Collegio (S. Carlo al Corso), che fungeva da Matrice ad interim. Inevitabili i disagi, ma con tenacia venne portata a termine la costruzione del tempio principale ‘santuario di San Corrado’.

Finalmente il 1776 - Il vescovo di Siracusa, Mons. G. B. Alagona il 14 febbraio 1776 autorizzava che “i notinesi potevano celebrare la festa di S. Corrado nella chiesa del Ss. Crocifisso. E ciò perché la matrice chiesa trovavasi chiusa fin dal 1769 a causa della cupola diroccata” [2]. Lo stesso vescovo già il 18 novembre 1771 aveva dato disposizione “per le due processioni: una alle ore 21 del 18 febbraio per portare l’arca di S. Corrado dalla chiesa del Collegio sotto il titolo di S. Carlo Borromeo alla chiesa del Crocifisso, essendo che la Madre Chiesa trovavasi diroccata dalle fondamenta nel marzo 1769; l’altra per le ore 19 del giorno festivo, che dal Crocifisso l’arca dovea ritornare alla chiesa del Collegio, dopo il consueto giro per la città”. Vi si trova indicata pure “la soppressione della terza parte delle Messe degli anniversari e dei benefici in favore della fabbrica della Madre Chiesa” [3]Il Magistrato e i Giurati di Noto il 5 marzo 1776 chiesero allo stesso Mons. Alagona “perché permettesse la benedizione della matrice chiesa, fatta possibilmente dal benefattore di detta chiesa, il can. Giovanni Di Lorenzo e quindi la benedizione col Santissimo, dopo di averlo portato in processione dalla chiesa della Rotonda alla nuova Chiesa Madre, dopo però di essere questa benedetta”. Mons. Alagona rispose affermativamente il 9 aprile[4]Nel secolo XIX - Grande fu la gioia della città il 15 febbraio 1818, quando Mons. Filippo Trigona vescovo di Siracusa consacrò solennemente il Duomo netino. La facciata sontuosa (m. 40 x 32), la scalea a tre ripiani, tra edifici e piazzette ad esedra, in un proscenio d’incomparabile bellezza! Così in quel 19 febbraio 1918, in un tripudio indescrivibile, vi fece ritorno dalla chiesa del Collegio l’arca argentea di S. Corrado. La stessa notte un terremoto, non eccessivo, fece ricordare ai nostri padri quello del 1810 e l’altro del 5 marzo 1823.

Intanto il 13 agosto 1837 Noto ‘capovalle’ divenva capoluogo di Provincia e il 15 maggio 1844 sede vescovile [e la Chiesa Madre Cattedrale] per bolla pontificia di Gregorio XVI. Da ricordare: nel 1848 la rivoluzione liberale siciliana e nel 1849 la restaurazione borbonica; poi nel 1860 la svolta politica risorgimentale con lo sbarco dei Mille a Marsala.

L’11 gennaio 1848 alle ore 19 “succedevano tre fortissimi tremuoti: due consecutivi e l’altro dopo un quarto d’ora, i quali fecero crollare la cupola della Cattedrale e lesionarono tutto il tempio”. In conseguenza l’arca di S. Corrado giovedì 17 agosto verso le ore 10 viene trasferita a S. Maria dell’Arco e poi a S. Carlo al Corso[5]. Nel frattempo, nel 1851, Noto celebra degnamente il 5° centenario della morte di S. Corrado Confalonieri patrono della città, la quale però nel 1855 soffre il flagello del colera. L’assistenza agli ammalati negli improvvisati lazzaretti viene programmata dal vescovo Mirone. La città, liberata finalmente dal morbo, esprime in una commossa processione cittadina e con un pellegrinaggio al santuario di S. Corrado e.m. il 16 aprile 1856 la gratitudine al suo Santo.

Ma resta ancora insoluto il problema cupola. Per questo “il prevosto curato Nicolò Messina e i deputati di Maramma e dell’opera Bonfanti della Cattedrale” a nome del vescovo Mirone – da tutti stimato per la sua operosa carità – pubblicano nel 1860 un pressante accurato editto per la raccolta di offerte pro ricostruzione della cupola [6].

Intanto l’architetto Luigi Cassone, con atto del notaro Antonino Labisi il 5 giugno 1860, “richiedeva onze 1.800 sino al totale compimento della cupola, inclusa la grande forma di legname e la covertura di piombo; per finestre a spranghe di ferro onze 200, per il pavimento e le porte della chiesa onze 400, per rinnovare cinque altari di marmo, la cappella di S. Corrado, quella del Sacramento, l’intonaco del cappellone e gli stalli corali onze 600". Pertanto si programma “un mutuo di azionisti: trenta nobili s’impegnino per onze 50 e venti proprietari per onze 25. Tutto verrà restituito ai sottoscritti entro il 1° aprile 1866”. Inoltre “gli associati alla contribuzione mensile saranno tutti coloro che non sono azionisti. Tutti i lavori degli impiegati che concorreranno al retto procedimento della presente associazione saranno graditi. Trovandosi 4.000 firme, duemila di 5 bajocchi e duemila di 5 grana al mese, si raccoglieranno 150 ducati al mese, che alla fine dell’anno formeranno onze 600”. I lavori di ricostruzione vennero eseguiti dai capimastri Gaspare Rimmaudo e Primo Muccio da Ragusa. La costruzione era a pomice, materiale fatto venire da Catania, commissionato da fra Stefano M. Caruso da Catania presso il capo mastro Lao (8 giugno 1859) [7]Finalmente, dopo 13 anni dal crollo, riparata la cupola sotto la direzione dello stesso ing. L. Cassone, il vescovo di Noto, Mons. Mario Mirone, ha la consolazione di riaprire al pubblico la Cattedrale il 2 giugno 1861, festa del Corpus Domini. Quel restauro fu a regola d’arte? Non sembra, se dieci anni dopo fu necessario correre ai ripari, come riferisce Corrado Puglisi nella sua Cronica della Città di Noto, vol. I, 10 [8].Il crollo del 13 marzo 1996 - La Cattedrale, gioiello del barocco netino - dichiarata Monumento Nazionale con decreto presidenziale del 21 novembre 1940 - con decreto vescovile del 22 luglio 1986 ha assunto la nuova denominazione di Parrocchia San Corrado nella Cattedrale, civilmente riconosciuta per decreto presidenziale del 19 dicembre dello stesso anno.

Abbiamo vissuto con angoscia il recente nuovo crollo della cupola, della navata maggiore e di quella orientale: era la notte del 13 marzo 1996. Va ricordato il 13 dicembre 1990 un boato in piena notte e 40’’ di terremoto del 7° grado Mercalli con epicentro nel Golfo di Noto. Il crollo del 13 marzo 1996 avvenne dopo venti giorni di pioggia quasi ininterrotta. Così, ancora una volta ha fatto provvisoria supplenza la vicina chiesa S. Maria dell’Arco e, ben presto, la chiesa S. Carlo al Collegio, che già nel 1848-61 avevano surrogato l’inagibilità della stessa Cattedrale.

Il vescovo Mons. Salvatore Nicolosi nella ‘Lettera a conclusione del Sinodo diocesano’ affermava: “…Adesso, dopo che l’inclemenza del tempo e l’incuria degli uomini hanno fatto crollare le mura di pietra della nostra chiesa cattedrale, prima ancora di rialzarle materialmente siamo chiamati ad accogliere l’appello del Signore che ci ha eletti per costruire la sua casa viva, opera dello Spirito Santo. Noto, 4 aprile 1996”.

Verso la riapertura - Subito dopo il crollo furono avviati i lavori necessari alla salvaguardia delle parti residue della chiesa e gli studi propedeutici alla redazione del progetto di ricostruzione. Tutte le operazioni di primo intervento e sgombero delle macerie, come pure la fase successiva di ricostruzione vera e propria, sono state coordinate dal Prefetto di Siracusa, dott. Elio Priore, nella qualità di Commissario delegato per la ricostruzione della Cattedrale netina[9].Nell’omelia programmatica del 29 agosto 1998 il novello vescovo di Noto, Mons. Giuseppe Malandrino sottolineava “la priorità della ricostruzione della nostra Cattedrale, senza dimenticare gli altri edifici sacri dissestati delle città e di tutta la diocesi”.

“Il compito di progettare e dirigere i lavori di ricostruzione fu confermato allo stesso gruppo che poche settimane prima del crollo era stato incaricato del restauro della chiesa, composto da prof. Antonino Giuffrè, dal sottoscritto [ing. Roberto De Benedictis] e dall’arch. Salvatore Tringali. (…) Quasi tutte le parti residuate dal crollo sono state mantenute ed integrate nella nuova costruzione, ad eccezione dei pilastri della navata sinistra che, pur non crollati, presentavano le stesse pessime caratteristiche costruttive di quelli in lato destro ed erano diffusamente lesionati. Si è lavorato in un ‘moderno’ cantiere del Settecento, basato su una tecnica antichissima e un materiale elementare come la pietra, ma che poi ha fatto uso di organizzazione e processi attuali, strumenti di calcolo e di controllo sofisticati e qualche inserto, assai circoscritto e mirato, di tecnologie avanzate, come l’impiego di fibre di carbonio per alcuni rinforzi strutturali. (…) Per la cupola sono stati assembrati 1.800 elementi distinti, per i pilastri e le fondazioni più di 81.000, blocchi cavati, tagliati secondo disegni e misure diverse e murati uno ad uno. Ogni pietra è entrata a far parte della struttura della Cattedrale solo grazie alle mani di chi l’ha tagliata, sollevata, adattata ed infine fissata con la malta di calce. Gesti che si sono ripetuti ogni giorno, per sette anni, ma non ripetitivi, perché ogni volta hanno richiesto l’attenzione, la perizia, la pazienza degli uomini” [10].Concludendo, va ricordato che la costruzione di una cupola è stata l’ossessione di generazioni di architetti, la sfida più difficile che abbiano dovuto affrontare. Comunque, la costruzione di una cupola rivela insieme le capacità tecnologiche della civiltà che la realizza e la dimensione simbolica che essa accorda al cosmo. Una tradizione comune a molte culture, che si radica nel simbolismo del quadrato e del cerchio, del cubo e della sfera. Si pensi al Pantheon romano, che tante vicissitudini valse agli architetti dell’imperatore Adriano; oppure alle difficoltà dei costruttori della volta di Santa Sofia a Costantinopoli, che crollò cinque volte dopo l’ingresso trionfale di Giustiniano nell’edificio, o alle delusioni procurate a Filippo Brunelleschi dai committenti della Cattedrale S. Maria del Fiore di Firenze. Si pensi alla Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme o alla cupola del Brunelleschi a S. Ivo alla Sapienza di Roma.

Qui, ho accennato appena a quanto è successo nel tempo alla Cattedrale netina, mirabile opera d’arte e singolare testimonianza di fede. Dedicata a S. Nicolò, essa si staglia sulla Città con la sua straordinaria scalinata e ne costituisce il cuore e il centro della vita spirituale.

Il 7 novembre 2006 si è svolta la cerimonia di copertura completa della chiesa cattedrale mediante la chiusura della lanterna della cupola sormontata dalla Croce. Così, a undici anni dal crollo, si è realizzato quest’ultimo adempimento a regola d’arte, alla presenza del vescovo Mons. G. Malandrino e del sindaco Avv. Corrado Valvo.

La tanto attesa riapertura della stessa beneamata Cattedrale viene vissuta il 18 giugno 2007 con indicibile trepidazione da tutti: inaugurazione ufficiale alla presenza dei Card. G.B. Re prefetto della Congregazione dei Vescovi, dell’Arciv. Bagnasco presidente della CEI, di Mons. Malandrino e Mons. Nicolosi, di numerosi Vescovi e presbiteri, come anche dell’On. Romano Prodi presidente del Consiglio dei Ministri, di Sindaci e di Autorità civili e militari.

Prima a rientrare nella Cattedrale ricostruita era stata, la sera precedente alle ore 22, l’Arca argentea con il corpo del Santo Patrono nella sua cappella! Finalmente quelle ampie volte del risorto tempio maggiore netino risuonano di preghiere e canti corali e del tradizionale Inno al Santo: “O Netini, sul labbro e nel core / di Corrado la lode risuoni…”!


Salvatore Guastella




Così il prof. Corrado Gallo, storico netino, commentava lo sforzo della pubblica autorità nel 1703 a pro della costruenda Chiesa Madre S. Nicolò, oggi Cattedrale: “Coll’affrontare una serie di problemi, dei quali il più spinoso era quello finanziario, la città di Noto si rivelava ancora una volta la degna patria del Carnilivari e del Manuella, e realizzava quel mirabile complesso urbanistico che è motivo di ogni più alto e sincero apprezzamento da parte di chi, visitandola, ne scopre le manifeste e occulte bellezze”.

Noto, Biblioteca comunale, Libro Giallo, c. 452.

Noto, l. c., op. cit., 191.

Noto, l. c., op. cit., c. 132.

Gaetano Giammanco, Memorie storiche netine, p. 23 e 25.

Questo il pressante editto: “Cittadini di Noto, figli di S. Corrado, germe di pietosi antenati, voi che tante lacrime versaste sulle rovine del tempio maggiore di questa metropoli, che per tanti anni ne sospiraste la ricostruzione, voi che ormai non potete più sostenere la vergogna di mostrare al pellegrino le ceneri del vostro santo proteggitore riposte alla peggio in un angolo del tempio crollante, inonorate e malconce, aprite finalmente il cuore alle più liete speranze: le vostre brame sono già alla vigilia del suo compimento, il tempio di Corrado sorgerà più bello e magnifico di mezzo alle sue macerie. Gigantesca è l’impresa, enorme la spesa da sostenersi, parche le rendite disponibili della chiesa cattedrale, e pure vedrete tra poco torreggiare magnifica e bella la cupola del vostro maggior tempio, ristorati gli altari e l’arca del Santo protettore tornerà all’avito suo trono, per accogliere le vostre preghiere. Lo sperare sussidi da fonti straniere è vana lusinga. Inutili sono tornati gli sforzi per ottenere munificenze da più alti personaggi. Il nostro Santo non ha permesso che la gloria di ristorare il suo tempio sia diviso da noi con persone d’estranea contrada. Sì, noi solamente che sotto l’ombra ci accogliamo di tanto protettore, ci recheremo il vanto non perituro di aver costruito un’opera che lotterà coi secoli, e insegnerà ai posteri qual fu mai sempre il cuore dei Notinesi verso il suo gran Santo. Veramente facea gran pena l’udir come in Avola, in Modica, in Ferla, in Scicli e in altre città della diocesi nostra siano state ristorate e in più vaghe forme ridotte le chiese danneggiate dal terremoto del 1848; e Noto sola, città colta e nobile, capitale di Provincia e sede di un Vescovo e di un Capitolo Cattedrale, Noto, che sì di frequente schiude i suoi tesori per le opere pubbliche comunali, mostravasi neghittosa e inerte al cospetto del suo tempio in rovina. No, che non son anco estinti i grandi spiriti dei nostri maggiori, di quegli eroi che abbellirono l’antica e la moderna Noto dei più sontuosi edifici sacri e profani. Destiamoci dunque dal letargo profondo, animiamoci scambievolmente alla grande impresa, avviamo quella scintilla di devozione pel nostro San Corrado, che c’è in tutti i cuori dei notinesi. La difficoltà dell’opera non ci spaventi. Un magnifico slancio di cittadino entusiasmo, uno spirito di associazione concentrata e compatta, un’accesa brama di concorrere ciascuno giusta sua possa, una costante riunione di piccole oblazioni dei singoli farà fronte alla spesa. Cittadini, uomini e donne, grandi e piccoli, nobili e plebei, tutti siam figli di Corrado, che invochiamo nei bisogni; tutti ne sperimentiamo la beneficenza, la protezione, l’amore; tutti dunque dobbiamo concorrere: i nobili da nobili, i ricchi da ricchi, i poveri da poveri. Oh, il grato piacere, l’ineffabile sentimento, la lieta satisfazione che sperimenterà il cittadino quando, entrando nel venerando tempio già condotto al suo perfezionamento, quando al contemplare da lungi la cupola che svetta ed elegante si spingerà alle nubi, potrà dire nell’intimo del suo cuore: ancor io benché indigente diedi un obolo per quel sontuoso edificio, ancor io col frutto delle mie privazioni diedi una spinta per innalzare questo monumento a Corrado! Che se per l’opposto duro e tenace si mostrerà all’invito pietoso, questo simulacro di cittadina munificenza sarà un perpetuo rimprovero alla sua indifferenza, né potrà fissarvi gli sguardi senza rimorso. Noto, 1 aprile 1860”.

“Detta costruzione a pomice non fu consigliata dall’architetto catanese Maddem (secondo quanto scrive da Catania il 30 maggio 1859 Giuseppe Mirone, fratello del vescovo di Noto, Mons. Mario Giuseppe Mirone) il quale consigliava piuttosto di ricostruirla di soli mattoni cimentati con malta di pozzolana del Vesuvio. La forma delineata nel progetto, anzi, gli sembrò tozza; sarebbe stato assai meglio che fosse più alta per non gravare tanto” (C. G. Canale, Noto. La struttura continua della città tardo barocca, p. 296).

“Nella nostra cattedrale si lavora a restaurare la cupola e veramente n’era tempo, perché quanti inverni si lasciavano correre tanti colpi si davano per acconciare la durata della stessa. un’opera di recente data, che reclama pronti ripari, di argomento ad una viva censura a chi ne diresse i lavori. Non occorreva un grande sforzo per prevedere che quella copertura di piombo non poteva resistere a lungo ai calori eccessivi del nostro clima. Ci dicono che quel piombo fu messo ad onta dei reclami e delle rimostranze dell’ingegnere, e solo per una ostinazione matta del parroco D. Nicolò Messina. Ne avvenne quello che era prevedibile; in molti punti il piombo non aderiva più alla fabbrica, perché diradato dal solleone; un forte vento di ovest – il quale fu così violento da portare via le tegole in varie case, e che fece cadere gran quantità di arena rossa da rimanerne tinte tutte le strade – spirato nello scorso novembre [1871], lo distaccò quasi dell’intutto; e si deve alla scarsezza delle piogge se lungo i mesi invernali non ha molto sofferto sì bello edificio. Pure, qualche macchia d’umido alla parte interna ci dice che qualche infiltrazione v’è sempre stata”.

Vedi: Roberto De Benedictis-Salvatore Tringali, La ricostruzione della Cattedrale di Noto, L.C.T. edizioni, Noto 2000, pag. 13.

Ing. Roberto De Benedictis, Cattedrale: verso la riapertura, in “Noto informa” del dicembre 2006, pp. 4-5.


I Cilï di San Corrado


di SALVATORE GUASTELLA

«A Noto (Siracusa), la città adottiva del Santo eremita piacentino Corrado Confalonieri (1290 c. – 19.2.1351), segno caratteristico della sua festa è il cìlio, sorretto su una fascia a tracolla con nastri multicolori dal braccio poderoso in alto dal portatore, fiero della sua fede e devozione al Santo Patrono della città. Entrambi, cìlio e portatore, danno alla festa quel colore e tono che la rendono unica e tipica per quelle due ali colorate di ceri, alti più di due metri, che fanno corona all’Arca argentea del Santo, mentre risuona il grido fervente e appassionato: “Cu tuttu lu cori ciamamulu: evviva San Currau!” [Con tutto il cuore gridiamolo: viva S. Corrado!]» (Corrado Pantano).

Materiali del cìlio sono: un foglio di lamiera (cm 100x200, spessore 0.25) e un fusto in abete o altro legno leggero (spessore cm 28x28, lunghezza cm 180).

«Tra i simboli più conosciuti e amati dai netini un posto d’onore spetta senza dubbio ai cilï. La loro origine era un mistero. Ad uno studioso netino, mons. Salvatore Guastella, fortunato scopritore di tanti importanti documento, spetta il merito di aver trovato e pubblicato nel volume XIV-XV degli Atti e memorie dell’I.S.V.N.A. il testamento (e i codicilli) del can. Pietro Ansaldi che, finalmente, hanno fornito la chiave per risolvere il problema storico. Essendo molto devoto del Santo, l’Ansaldi volle che la festa del 19 febbraio venisse celebrata in maniera più solenne. A tal fine dispose che, durante le processioni invernali, l’Arca venisse illuminata da intorchi grandi (grandi torce) del peso di 20 rotoli di cera ciascuno: 2 il 1° anno, 4 il 2° anno, 6 il 3°, e così via per sei anni, raggiungendo così il numero di 12, che sarebbe rimasto definitivo. Essendo morto l’Ansaldi nel giugno 1635, le prime due intorchi grandi dovettero quindi fare la loro apparizione il 19 febbraio 1636, e nel 1641 venne completato il numero di 12 voluto dal fondatore.

Fu questo con ogni probabilità l’origine – originale e suggestiva – dei cilï di S. Corrado, anche se il termine tardò ad essere usato e la forma che oggi conosciamo venne raggiunta solo in seguito ad una lenta evoluzione funzionale. Ma nel corso dei decenni le cose andarono ben diversamente da come le aveva stabilite il fondatore: i cilï piacquero a nobili, ecclesiastici e notabili, e il loro numero si moltiplicò nel corso dei secoli, fino a superare i 100 agli inizi dell’Ottocento e diventare 150 alla fine di quel secolo. Ogni famiglia benestante volle infatti partecipare simbolicamente alle processioni (comprese ormai quelle estive) con un cilio portato da un uomo di loro fiducia. Poi, con la 2ª guerra mondiale, la crisi: il numero dei cilï si assottigliò progressivamente riducendosi, negli anni 80, a meno di 40. Ma la campagna di promozione intrapresa dalla “Pro Noto” cominciò ben presto a dare i suoi frutti: nell’agosto 1990 (cioè durante quel centenario della nascita di S. Corrado) ne furono contati oltre 50 e nell’agosto 1996 si sono sfiorate le 100 unità, oltre i c. d. “cilï dei bambini” che si sono affermati negli ultimi decenni e stanno proliferando rapidamente» (Francesco Balsamo).

La luminaria dei cilï ha quindi avuto una felice evoluzione che ha generato quel folklore religioso rituale che si ripete ormai da secoli. I cilï costituiscono la più interessante e caratteristica espressione popolare delle processioni di San Corrado!

"E’ bella questa unione con gli amici devoti netini: è esemplare per tutti quelli della nostra terra!» (Umberto Battini).

Salvatore Guastella


RINNOVARE la Pietà popolare e mantenerla viva !!!

Anche per il culto dovuto al santo Corrado e per tutta l'opera grandiosa che da Noto e Calendasco di Piacenza si sta compiendo per mantenere vivo e corroborare la devozione ritorna utile leggere ciò che i Vescovi Italiani suggeriscono nella nota sulla Liturgia, riportiamo il passo che interessa:

IL RINNOVAMENTO LITURGICO
IN ITALIA

Nota pastorale della Commissione Episcopale per la Liturgia

Una pietà da orientare

18. Nel patrimonio di fede e di pietà che il passato ci ha tramandato, un'attenzione particolare va rivolta alla cosiddetta «pietà popolare», le cui espressioni, «per lungo tempo considerate meno pure, talvolta disprezzate» , «sono praticate in certe regioni dal popolo fedele con un fervore e una purezza d'intenzione commoventi».
Tali espressioni di devozione e di fede «formano oggi un po' dappertutto l'oggetto di una riscoperta» e questo è certamente un fatto provvidenziale. In realtà, se bisognerà vegliare perché certe forme di devozione non sconfinino nella magia e nella superstizione, sarebbe colpevole non riconoscere, in quelle pratiche, elementi che, «se ben utilizzati, potrebbero servire benissimo a far progredire nella conoscenza del mistero di Cristo e del suo messaggio» : in esse infatti si manifesta un ardore di fede, una passione d'amore, un'accettazione di dipendenza, un attaccamento alle tradizioni religiose che da soli costituiscono autentici valori e feconde possibilità di evangelizzazione. Bisognerà anche riconoscere il ruolo storico che la pietà popolare ha svolto per secoli, quando è stata l'unica forma di pietà accessibile al popolo cristiano, escluso come era dalle ricchezze della Liturgia.

Ora tutto un grande campo di lavoro ci si offre davanti: comporre in armonia Liturgia e pietà popolare, ispirando la seconda alla prima e vivificando quella con questa, senza esclusivismi e senza preclusioni, ma anche senza fondere o confondere le due forme di pietà; il popolo cristiano avrà sempre bisogno dell'una e dell'altra, e a Dio bisognerà lasciare aperte tutte le strade che conducono al cuore dell'uomo.

dalla Redazione dell' Araldo di San Corrado blog

TERZO ORDINE REGOLARE DI SAN FRANCESCO
E' reperibile l'ultimo numero della Rivista Internazionale di Studi francescani ANALECTA TOR

presto proporremo una ricca recensione della importante pubblicazione di Studi
Araldo di San Corrado
a tutti un Santo NATALE

venerata reliquia di San Corrado conservata in Calendasco

"REALIZZATO con successo il 5° Convegno

Internazionale di Studi in onore di San Corrado Confalonieri"

Il Centro Studi del Santo ha sede Ufficiale

nell'eremo e hospitale di S.Corrado Confalonieri

SAN CORRADO CONFALONIERI

è stato eletto a PATRONO e PROTETTORE

della Compagnia di Sigerico di Calendasco

L'Ordine Francescano Secolare (OFS)*)
*) Denominato anche con il nome di Fraternità Francescana Secolare
o con la sigla T.0.F. corrispondente al Terzo'0rdine Francescano.

  1. Tra le famiglie spirituali, suscitate dallo Spirito Santo nella Chiesa*), quella Francescana riunisce tutti quei membri del Popolo di Dio, laici, religiosi e sacerdoti, che si riconoscono chiamati alla sequela di Cristo, sulle orme di S. Francesco d'Assisi.
    *) Lumen Gentium 43.
    In modi e forme diverse, ma in comunione vitale reciproca, essi intendono rendere presente il carisma del comune Serafico Padre nella vita e nella missione della Chiesa*).
    *) Apostolicam Actuositatem , 4,8.
  2. In seno a detta famiglia, ha una sua specifica collocazione l'Ordine Francescano Secolare. Questo si configura come un'unione organica di tutte le fraternità cattoliche sparse nel mondo e aperte ad ogni ceto di fedeli, nelle quali i fratelli e le sorelle, spinti dallo Spirito a raggiungere la perfezione della carità nel proprio stato secolare, con la Professione si impegnano a vivere il Vangelo alla maniera di S. Francesco e mediante questa Regola autenticata dalla Chiesa*).
    *) Can. 702,1 [314].
  3. La presente Regola, dopo il Memoriale propositi (1221) e dopo le Regole approvate dai Sommi Pontefici Nicolò IV e Leone XIII, adatta l'Ordine Francescano Secolare alle esigenze ed attese della santa Chiesa nelle mutate condizioni dei tempi. La sua interpretazione spetta alla Santa Sede e l'applicazione sarà fatta dalle Costituzioni Generali e da Statuti particolari.
La Famiglia francescana, fin dalle origini, nasce molteplice.

A fianco di Francesco con i suoi Frati, c’è Chiara con le Sorelle Povere; c’è un gruppo di laici, uomini e donne, dell’Ordine Francescano Secolare che fanno riferimento alla stessa spiritualità. Nel corso dei secoli, i Frati diventano quattro Famiglie principali (altre ancora ne stanno nascendo...): tre del 1° Ordine (Minori, Conventuali e Cappuccini) e uno del Terz’Ordine Regolare: attualmente, circa 35.000; alle Clarisse (circa 900 Monasteri con circa 16.000 membri) si aggiungono altri sette gruppi di Francescane contemplative (alcune con Regole proprie ed altre con la Regola del Terz’Ordine Regolare); nasce e si sviluppa, poi, un altro importante gruppo di quasi 400 Istituti femminili di ispirazione francescana (Regola del Terz’Ordine). C’è da ricordare, inoltre, che il carisma francescano ha dato vita, un fatto più unico che raro, a Famiglie francescane in altre confessioni cristiane: francescani e clarisse anglicani, gruppi francescani indù, "amici" di san Francesco in ogni cultura e religione.

San Corrado Terziario penitente


Assemblea Generale in Assisi nel giugno 2005 della CONFERENZA FRANCESCANA INTERNAZIONALE
vedi il sito ifc-tor.org

Decisioni e raccomandazioni

  1. Celebrare Congressi per i giovani Francescani nei continenti, in modo da poter vivere tutti in pienezza questa conversione evangelica di vita in spirito di contemplazione, di povertà e di umiltà (TOR 2).
  2. Collaborare con Franciscans International per stabilire relazioni giuste FI è il progetto comune della Famiglia Francescana, che unisce i nostri sforzi:
    1. Nella nostra difesa dei poveri
    2. Nella costruzione della pace
    3. Nella protezione della creazione

  1. Continuare a collaborare nella traduzione e pubblicazione delle fonti TOR.
  2. Promuovere la comunione tra tutti i Francescani, tra le diverse denominazioni cristiane, tra i popoli di tutte le fedi e con tutta la creazione.
  3. Accrescere la comunicazione con tutti i membri CFI‑TOR, collaborando con le Federazioni Francescane nei nostri diversi paesi.
  4. Essere una presenza di reciproco appoggio nella Conferenza della Famiglia Francescana.
  5. Organizzare Scuole Itineranti per aiutare nella formazione doveè necessario.
  6. Prepararsi alle celebrazioni del Giubileo con una interpretazione rinnovata della nostra Regola e Vita TOR (2007: 25° anniversario della nostra Regola e Vita TOR e 800° anniversario. della nascita di Santa Elisabetta, patrona del Terzo Ordine; 2009: 800° anniversario dell'approvazione della prima Regola di San Francesco da parte del Papa Innocenzo III, etc.).

"Ovunque, in ogni luogo, ad ogni ora e in ogni tempo, i fratelli e le sorelle credano veramente e umilmente, conservino in cuore ed animo, onorino, adorino, servano, lodino, benedicano e glorifichino l'altissimo e sommo Dio, l'eterno Padre e il Figlio e lo Spirito Santo ". (TOR Regola e Vita, 9)

SAN CORRADO

FRANCESCANO

EREMITA
TERZIARIO

Francescanesimo
da www.sanfrancesco.com

Il Francescanesimo sorge in Italia, nel suo centro, l'Umbria, in un periodo in cui sta sorgendo anche la civiltà italiana: lingua, letteratura, arte confluiranno, dopo essersi alimentate al francescanesimo, a renderlo più popolare, diffuso, ammirato!.

Il Movimento di frate Francesco si diffonde dall'Umbria all'Italia: tanti paesi si vantano di quel passaggio, di un convento da lui toccato o fondato, di una grotta o di un romitorio, dove il Poverello di Dio abbia sostato. Un movimento che in pochi anni (1208-1221) ingloba 5.000 membri; oltre alle tante Clarisse e le migliaia di Penitenti e Terziari francescani di cui parla subito un estraneo, il vescovo Giacomo da Vitry.

Il Movimento francescano esce anche dall'Italia, ma resta psicologicamente un "Movimento italiano".
Generalmente, i francescani provengono da estrazione popolare, pur potendo documentare adesione da parte di ricchi, di nobili e del clero.
Giacomo da Vitry sottolineava, già agli inizi: «Non c'è terra cristiana nella quale non abbiano fratelli» (Historia occidentalis, 32).
Non c'è terra e non c'è ceto, da cui non si possa provenire, per diventare francescani, soprattutto nei momenti "forti": quelli dell'istituzione (sec. XIII) e poi quello della rinascita, attraverso l'Osservanza (sec. XV).

Il francescanesimo ha un rapporto diretto con la Chiesa (vd. istituzione del Cardinale protettore) e più ampio: si pensi alla fermentazione che esso induce attraverso il laicato; il Terzo Ordine Francescano (Ordine Francescano Secolare) porta a maturazione il problema che si sta affacciando alla ribalta della storia con i vari gruppi di "penitenti" e con gruppi maschili e femminili di "incarcerati" e di eremiti.
Dal Trecento al Seicento, questi gruppi troveranno la loro stabilità nei monasteri maschili e femminili francescani e nelle varie "Riforme" del francescanesimo.
Ci sarà qualche punta di esasperazione, poi si tornerà alta pacificazione e all'ortodossia.

L'Umbria, quindi - indiscutibile e orgogliosissima "mater" del francescanesimo -, non avrebbe il fascino irresistibile per milioni di persone, di ogni età, di ogni cultura, di ogni nazione e - senza dubbio - di ogni religione, se non vi fosse nato, in un paese sperduto alle falde dell'Appennino centrale, un uomo come Francesco d'Assisi.

a cura di Paolo Rossi

grazie al sito sanfrancesco.com



Aggiungiamo un passo estratto da un volume di Thomas Merton, sulla solitudine e gli eremiti.

Sulla vita solitaria

L'eremita rimane là per dimostrare, con la sua mancanza di utilità pratica e l'apparente sterilità della sua vocazione, che gli stessi monaci dovrebbero avere scarsa importanza nel mondo, o addirittura nessuna. Sono morti al mondo, non dovrebbero più apparire in esso. E il mondo è morto per loro. Sono pellegrini, testimoni appartati di un altro regno. Questo, naturalmente, è il prezzo che pagano per una compassione universale, per una soli­darietà che tutti raggiunge. Il monaco è capace di compassione nella misura in cui è meno coinvolto, e con minore successo, nel­le cose pratiche, perché lo sforzo di avere successo in una società competitiva non lascia tempo alla compassione.
L'eremita ha un ruolo particolare nel nostro mondo perché non ha un posto specifico. Il monaco non è ancora abbastanza un esule. Ecco perché abbiamo bisogno degli eremiti. Il monaco può essere capito e apprezzato. Non appena si paragona il monastero a una "centrale di preghiera", il mondo è pronto a ricono­scergli, anche se a malincuore, un certo rispetto. Una centrale produce qualcosa. E, così sembra, le preghiere dei monaci pro­ducono una specie di energia spirituale. O, per lo meno, i mona­ci si prendono cura delle proprie necessità e guadagnano un pò di denaro. Sono come una presenza confortante. La presenza dell'eremita, quando la si conosce bene, non è piacevole; distur­ba. Egli non sembra nemmeno buono. Non produce niente.
Una delle critiche più diffuse nei confronti dell'eremita può addirittura essere che perfino nella sua vita di preghiera è meno "produttivo". Verrebbe da pensare che nella sua solitudine egli dovrebbe raggiungere velocemente il livello delle visioni, delle nozze mistiche o comunque di qualcosa di sensazionale. Invece può ben essere che sia più povero del cenobita anche nella sua vita di preghiera. La sua è un esistenza fragile e precaria: ha più preoccupazioni, è più instabile, deve lottare per preservarsi da tutta una serie di fastidi, e spesso ne è preda. La sua povertà è spirituale. Pervade interamente la sua anima e il suo corpo, così che alla fine tutto il suo patrimonio è l'insicurezza. Sperimenta il dolore e l'indigenza spirituale e intellettuale di chi è davvero povero. Questa è esattamente la vocazione eremitica, una voca­zione all'inferiorità a ogni livello, anche quello spirituale. E’ cer­to che vi è in essa un pizzico di follia. Altrimenti non è ciò che dovrebbe essere, una vita di diretta dipendenza da Dio, nell'o­scurità, nell'insicurezza e nella fede pura. La vita dell'eremita è una vita di povertà materiale e fisica senza sostegno visibile.
Ovviamente non bisogna esagerare o essere troppo assoluti in questo. L'assolutizzazione in se stessa può diventare una specie di "fortuna" e "onore". Dobbiamo anche tener presente il fatto che l'uomo medio è incapace di una vita in cui l'austerità sia senza compromesso. Esiste un limite oltre il quale la debolezza umana non può andare e in cui la stessa mitigazione entra come una sottile forma di povertà. Può accadere che, senza colpa, l'eremita si procuri un'ulcera proprio come l'uomo normale. E deve bere grandi quantità di latte e forse anche prendere delle medicine. Questo lo sbarazza definitivamente di ogni speranza di divenire una figura leggendaria. Anche lui si preoccupa. Forse si preoccupa anche più di altri, perché solo nella mente di coloro che non conoscono niente della vita solitaria questa appare co­me una vita senza preoccupazioni.

( brano di Thomas Merton)

I DOCUMENTI INEDITI piacentini

Dal volume edito dalla Compagnia di Sigerico in Calendasco nel 2006

“SAN CORRADO CONFALONIERI I DOCUMENTI INEDITI PIACENTINI”



autori vari a cura di Umberto Battini


Premessa

In questi ultimi anni a Piacenza c’è stata una riscoperta molto accalorata della figura del santo piacentino Corrado Confalonieri. Intorno a questo illustre personaggio si è sviluppato un nuovo filone di ricerca storica basata principalmente sui documenti contenuti negli Archivi.

E così è stato necessario rivedere e correggere alcune vecchie tesi che non avevano base documentale ma che egualmente la buona fede della gente aveva preso per certe, e quindi con prove scritte quali sono appunto un atto antico conservato in archivio oppure una vecchia mappa del tardo 1500 si sono smontate e ricostruite su base scientifica quelle tesi d’annata ormai superate.

In questo efficace lavoro sono messe in chiaro per mezzo appunto di documenti antichi e non solo, alcune questioni che ‘girano’ attorno alla figura del santo di Piacenza e che interessano lo studioso e l’appassionato di storia, proprio perchè sono rivolte all’ambiente ed al territorio che lo hanno visto nascere e convertirsi prima della partenza per la lontana Sicilia.

E cercando nomi di luoghi sulle carte che datano dal primo medioevo fino al 1600 e cercando anche sulle nuove ed antiche mappe si riescono a fare dei collegamenti che uniscono un territorio ad un modo di essere comune a tutta una popolazione varia ma unica e disposta lungo l’asse del fiume Po.

Le piccole località scomparse o esistenti, le frazioni comunali, i corsi d’acqua più o meno capienti, i molini, le chiese ed i castelli, le strade ed i confini rurali, ancora oggi parlano a chi è attento di ciò che rappresentano o hanno rappresentato nel tempo.

Dopo l’eccellente volume “San Corrado Confalonieri il cercatore di Dio”, edito sempre dalle Edizioni Storiche della Compagnia di Sigerico di Calendasco nel 2005, che colmava un vuoto piacentino sull’argomento di bren quattro secoli, con quest’ulteriore lavoro, la cui cura è stata a me affidata, si porta alla conoscenza degli studiosi e dei devoti di Piacenza, di Noto, di Calendasco e di ogni luogo e dove, di ciò che in oltre dieci anni di silenziosi ma continui e decisi Studi e Ricerche su San Corrado e la Sua Nobile Famiglia Confalonieri, sono stati gli esiti a volte unici, inediti, inaspettati e eccezionali cui ci si è imbattuti.

Segno questo che la ricerca mai si può dire conclusa, e nel nostro caso, ha voluto significare che nel piacentino rare erano state, fino ad ora, serie ed approfondite ricerche d’Archivio su questo Santo.

Quando circa dieci anni fa mi imbattei nel ‘Legato Sancti Conradi’, frugando nell’Archivio della Parrocchiale di Calendasco grazie al significativo appoggio dell’allora Arciprete parroco don Carlo Maria Ossola, mai avrei immaginato di fare una scoperta così rivoluzionaria ed eccezionale sul Santo eremita piacentino cioè che in Calendasco egli vi fosse nato fisicamente. Queste lunghe e fitte 27 pagine scritte in latino con la penna d’oca in una ottima scrittura corsiva, dopo pagine e pagine di dati e termini giuridici proprii di una Scrittura Pubblica fatta dal notaio e Cancelliere della Curia di Piacenza Giovan Francesco de Parma dinnanzi al Vescovo Claudio Rangoni, alla pagina 12 mi indicava senza mezze misure, in modo chiaro e inconfutabile: che san Corrado aveva avuto la sua origine terrena qui a Calendasco.

Entusiasta, ma senza eccessiva enfasi comunicai la scoperta a padre Andreozzi ed altri amici e devoti con me impegnati nel recupero di questa eccellente Devozione piacentina. Seguirono i 4 Convegni Nazionali di Studi corradiani, con Partner Organizzativo la Banca di Piacenza, e nel 3° Convegno di Piacenza nel 2000, presentai in una relazione principalmente basata sulle mie scoperte d’Archivio sull’hospitale di Calendasco, luogo del primo ritiro del Santo alla conversione, anche ciò che avevo scoperto essere contenuto nel ‘Legato’. Sebbene la notizia fosse importantissima al momento venne recepita con le famose ‘pinze’: ma una analisi scientifica, paleografica e diplomatica dell’importantissimo documento non ha lasciato dubbi: l’intero Atto è formalmente perfetto e giuridicamente valido, consegnato e approvato dal Vescovo di Piacenza perchè in tutto ciò che vi si affermava, fosse oltre che confermato, pure così decretato.

In questo Volume al Capitolo 1 abbiamo due importanti saggi a cura di p. Lino Temperini TOR, docente alla Pontificia Università Francescana ‘Antonianum’ di Roma e Direttore delle Editrici Franciscanum di Roma oltre che della Rivista Internazionale di studi francescani ANALECTA TOR, in questi ottimi saggi di Lino Temperini riusciamo a percepire in quale ambiente sociale e religioso fosse inserito san Corrado, quale importanza aveva il movimento Terziario dei laici francescani, uomini e donne, ed ancora di quanto seguito ebbero i Penitenti Terziari francescani a Piacenza, al punto che scopriamo che proprio qui a Piacenza nel 1280 vi era stata una riunione grandiosa che vide confluire Terziari dalle Marche, dall’Umbria e da tutto il nord Italia, riunione che può essere assurta quale primo grande Capitolo Generale dei terziari francescani.

Nel Capitolo 2 sono contenuti una serie di saggi relativi agli studi che ho personalmente compiuto nel piacentino, e che vedono essere occorse notevoli novità che andranno a concretizzare e per certi casi, rinnovare gli studi datati, perfezionando certe vecchie tesi, che le nuove indagini d’Archivio hanno portato alla luce, quali ad esempio ‘il sutta’ e ‘il supra’, e poi la nascita ed il ‘Legato’ e la concretezza del luogo del ‘gorgolare’, e dell’hospitale dei penitenti, il luogo dell’incendio, la questione se il santo fosse o meno sposato ed altri argomenti.

Il Capitolo 3 contiene la lettura paleografica del ‘Legato’ con la trascrizione latina, per mano e grazie all’esperienza di mons. Salvatore Guastella, insigne studioso netino, che in questi anni ha dato alle stampe ottimi e numerosi Studi, Ricerche e Saggi storici, tra i maggiori cultori ed esperti della devozione a san Corrado Confalonieri.

Nello stesso Capitolo 3 è contenuta la traduzione dal latino all’italiano del ‘Legato’ per l’opera paziente ed erudita del proff. Gianni Boiardi, colto ed esperto classicista.

Questo Volume nasce quindi dalla cooperazione gratuita e sincera di tutti questi singoli Autori. E gli Autori hanno reso concreto in modo storico e preciso il santo eremita piacentino, contestualizzato in maniera notevole nella ricca indagine che è stata condotta.

A me, quale piacentino e natio dello stesso luogo del santo Corrado, spetta l’obbligo e l’onore di ringraziare con debito profondo di stima e riconoscenza i carissimi p. Lino Temperini TOR S. Francesco, mons. Salvatore Guastella e il proff. Gianni Boiardi.

Poter presentare a tutti gli innamorati della storia piacentina queste pagine, ricche di Studi di eminenti studiosi, su alcuni aspetti della vita di san Corrado piacentino, è motivo di grande soddisfazione ed augurio che possano infondere nel lettore la voglia di guardare con occhio meravigliato quello che tutti i giorni gli si mostra davanti e che si credeva non possedesse storia; una storia, quella civile e religiosa che sono immancabilmente unite insieme e sempre attuali.

Concludo con una curiosità:san Corrado inizia la sua ‘storia’ andando a caccia, cercando nel fitto bosco la selvaggina da stanare; quando si converte e poi da Calendasco parte e arriva in Sicilia, dapprima viene egli stesso reso ‘preda’, avventandogli contro dei cani; finalmente a Noto, nella sua bella Valle, in una grotta può darsi alla vita eremitica. Qui morirà nel 1351. Segue tutto un iter che lo porterà a divenire prima venerabile per la sola Noto e Siracusa, poi per tutta la Sicilia ed infine, Santo della Chiesa tutta, e ormai agli inizi del 1600 è così che a Piacenza si conosce del Santo piacentino. Calendasco lo ha quale Patrono da subito, da quattrocento anni, però di san Corrado si era certi solo della sua nascita ‘spirituale’ nel paese. Siccome era piacentino, ed i Confalonieri Nobili di questa città, ancorché in Castrun Calendaschi vi sia la certezza di duecento anni come loro feudo, non si sapeva con certezza di dove fosse: per convenzione si diceva nato a Piacenza.

Così a me toccò di ritrovare nel ‘fitto’ di quel manoscritto conservato nell’Archivio della chiesa di Calendasco, quella importantissima indicazione storica, che il Vescovo di Piacenza e i convenuti in Curia ebbero a cuore di tramandare ai posteri.

Che cioè a Calendasco san Corrado era nato fisicamente.

Quando Corrado andava a caccia, secondo l’uso medievale, mentre egli attendeva con l’arco già pronto con la freccia la preda, là nel fitto della boscaglia, tra le sterpi, vi erano coloro che erano addetti a far rumore, muovere le sterpi, battere ferri per spaventare la selvagggina e farla fuggire tra i prati, in luogo visibile, pronta alla cattura da parte dei cani e dell’uomo. A me è toccato ‘scovare’ il luogo d’origine di san Corrrado, Calendasco.

Questi servitori e battitori per la caccia, erano detti ‘battini’.

Non sò quanto possa valere, di certo però, io che mai ho praticato la caccia, ho l’onere di portare questo antico cognome.

Umberto Battini


La Domus Loci Romitorio di San Corrado Confalonieri di Calendasco (Piacenza) è la Sede Ufficiale della Compagnia di Sigerico.

L'Associazione Culturale
presiede alla cultura locale legata alla storica Via Francigena ed alla valorizzazione culturale e religiosa del Santo Corrado penitente ed eremita francescano.


UN PREZIOSO

VOLUME DELLA

EDITRICE

FRANCISCANUM

ROMA

Per tutti i devoti di Santa Elisabetta d'Ungheria della quale il prossimo 17 novembre ricorre la chiusura dell'anno centenario, proponiamo questo volume delle EDITRICI FRANCISCANUM Roma di Lino Temperini Docente alla Pontificia Università Antonianum di Roma.

Un testo indispensabile per comprendere in modo chiaro e rigoroso la figura di questa grande Santa francescana del Terzo Ordine. Un libro per tutti.

Santa Elisabetta d'Ungheria è la Patrona mondiale di tutti i TERZIARI FRANCESCANI.

Il volume di 170 pagg. riporta le fedeli Fonti Storiche antiche, costa € 18 codice ISBN 88-85225-32-2

Nella traduzione italiana di Lino Temperini ritroviamo alcuni DOCUMENTI ORIGINALI:
  • Lettera di Corrado
  • Detti delle quattro ancelle
  • Processo di canonizzazione
  • Relazione dei miracoli
  • Bolla di canonizzazione
  • Lettera di Gregorio IX alla regina Beatrice
  • Libellus o Detti, nella redazione lunga

2° CORTEO STORICO a CALENDASCO in ONORE di San CORRADO 2008

Compagnia di Sigerico di Calendasco 2008



SAN CORRADO CONFALONIERI vivo in mezzo a noi con la rievocazione storica in costume d'epoca.

Stiamo lavorando alla preparazione del Corteo Storico commemorativo della vicenda di san Corrado Patrono e Protettore di Calendasco da tanti secoli!
Tutti coloro che sono interessati possono partecipare attivamente all'evento preparatorio con idee e adesione.
Il Patrono ci attende tutti senza distinzione: le radici e la tradizione della nostra terra passano anche per questa emblematica figura di piacentino, orgoglio di Calendasco.




Lavoreremo tutti unitamente alla nostra antica Parrocchia che ha origine in epoca longobarda, e con la buona volontà e gli amici proporremo ancora questo bel evento che dovrà coinvolgere adulti e bambini.

Gli studi sui documenti inediti piacentini hanno dato nuova luce e vigore al culto del santo





VIII CENTENARIO DELLA NASCITA


17 NOVEMBRE
SANTA ELISABETTA D'UNGHERIA
Patrona del Terz'Ordine Francescano

(1207 -1231)
Festa per i francescani

Figlia del re Andrea II d’Ungheria, fu data sposa assai giovane al duca Ludovico IV di Turingia. Vivacissima di carattere, molto dedita alla preghiera, era piena di carità attiva verso i poveri, i malati, gli appestati, operando contro ogni ingiustizia fatta al popolo, assecondata in ciò dal marito. Morto lui in una crociata, dovette coi suoi tre bambini, ventenne, lasciare la corte. Allora abbandonò ogni cosa per darsi tutta al Cristo «vivo», i poveri.
Iscrittasi al terz’ordine di san Francesco (morto un anno prima), si dedicò con umiltà e amore alle cure dei malati nell’ospedale che aveva eretto in suo onore a Marburgo. Visse come una «religiosa» fino alla morte, avvenuta il 17 novembre 1231. Fu canonizzata nel 1235. La «pista» evangelica da lei tracciata alle spose dei crociati fu percorsa come più luminosa che non quella di una conquista terrena.


Elisabetta conobbe ed amò Cristo nei poveri


Dalla «Lettera» scritta da Corrado di Marburgo, direttore spirituale di santa Elisabetta (Al pontefice, anno 1232; A. Wyss, Hessisches Urkundenbuch I, Lipsia 1879, 31-35)


Elisabetta incominciò presto a distinguersi in virtù e santità di vita. Ella aveva sempre consolato i poveri, ma da quando fece costruire un ospedale presso un suo castello, e vi raccolse malati di ogni genere, da allora si dedicò interamente alla cura dei bisognosi.
Distribuiva con larghezza i doni della sua beneficenza non solo a coloro che ne facevano domanda presso il suo ospedale, ma in tutti i territori dipendenti da suo marito. Arrivò al punto da erogare in beneficenza i proventi dei quattro principati di suo marito e da vendere oggetti di valore e vesti preziose per distribuirne il prezzo ai poveri.
Aveva preso l'abitudine di visitare tutti i suoi malati personalmente, due volte al giorno, al mattino e alla sera. Si prese cura diretta dei più ripugnanti. Nutrì alcuni, ad altri procurò un letto, altri portò sulle proprie spalle, prodigandosi sempre in ogni attività di bene, senza mettersi tuttavia per questo in contrasto con suo marito.
Dopo la morte di lui, tendendo alla più alta perfezione, mi domandò con molte lacrime che le permettessi di chiedere l'elemosina di porta in porta. Un Venerdì santo, quando gli altari sono spogli, poste la mani sull'altare in una cappella del suo castello, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni intimi, rinunziò alla propria volontà, a tutte le vanità del mondo e a tutto quello che nel vangelo il Salvatore ha consigliato di lasciare. Fatto questo, temendo di poter essere riassorbita dal rumore del mondo e dalla gloria umana, se rimaneva nei luoghi in cui era vissuta insieme al marito e in cui era tanto ben voluta e stimata, volle seguirmi a Marburgo, sebbene io non volessi. Quivi costruì un ospedale ove raccolse i malati e gli invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili ed i più derelitti.
Affermo davanti a Dio che raramente ho visto una donna così contemplativa come Elisabetta, che pure era dedita a molte attività. Alcuni religiosi e religiose constatarono assai spesso che, quando ella usciva dalla sua preghiera privata, emanava dal volto un mirabile splendore e che dai suoi occhi uscivano come dei raggi di sole.
Prima della morte ne ascoltai la confessione e le domandai cosa di dovesse fare dei suoi averi e delle suppellettili. Mi rispose che quanto sembrava sua proprietà era tutto dei poveri e mi pregò di distribuire loro ogni cosa, eccetto una tunica di nessun valore di cui era rivestita, e nella quale volle esser seppellita. Fatto questo, ricevette il Corpo del Signore. Poi, fino a sera, spesso ritornava su tutte le cose belle che aveva sentito nella predicazione. Infine raccomandò a Dio, con grandissima devozione, tutti coloro che le stavano dintorno, e spirò come addormentandosi dolcemente.


“Abbiamo creduto all'Amore”

Lettera in occasione dell'ottavo centenario
della nascita di Santa Elisabetta,
Principessa d'Ungheria, langravia di Turingia,
penitente Francescana
(1207 – 2007)

A tutte le sorelle e fratelli Francescani del Terzo Ordine Regolare
dell’Ordine Francescano Secolare della Conferenza Internazionale
Francescana Tor che onorano S. Elisabetta come Patrona,
e a tutti i devoti e ammiratori:
la misericordia di Dio ricolmi i vostri cuori.

1. VIII centenario: 1207-2007

1.1. Nell’anno 2007 celebriamo l’VIII centenario della nascita di S. Elisabetta principessa d’Ungheria, langravia di Turingia e penitente
francescana. L’anno giubilare si inizia il 17 novembre 2006 e si
concluderà il 17 novembre 2007. Il Terzo Ordine Francescano la onora come Patrona e tutta la famiglia francescana la annovera tra le sue glorie. Vogliamo approfittare di questa occasione per presentare la sua
eccezionale testimonianza di donazione a Dio Padre, nella sequela di
Cristo e nella sublimazione di tutto il suo essere nel Dio-Amore.
Vogliamo rievocare la consegna di tutte le sue energie nell’esercizio
della carità, fino all’eroismo.
Abbiamo creduto all’amore di Dio. Papa Benedetto XVI, nell’enciclica
programmatica del suo pontificato, Deus caritas est (DC 1), ci ha
ricordato che queste parole esprimono l’opzione fondamentale del
cristiano. L’amore fu l’asse intorno al quale si svolse tutta la vita di
Santa Elisabetta. Se l’inizio e lo sviluppo della nostra vita cristiana non
sono segnati da una decisione etica ma dall’incontro con una persona,
come dice il papa, il nostro desiderio è che quest’anno 2007 diventi un
incontro con Santa Elisabetta, che ci porti a una comprensione più
personale dell’amore di Dio, perché la nostra fede nel suo amore
diventi più forte, ci spinga e ci incoraggi ad essere strumenti della sua
misericordia. Forse possiamo realizzare con tutto il nostro cuore quella
che fu la scelta fondamentale di tutta la vita di Elisabetta: Abbiamo
creduto all’amore
.
L’astro di Santa Elisabetta nel firmamento della santità, della
solidarietà e degli apostoli della misericordia brilla della luce di Cristo.
Il suo merito trascende le frontiere della Chiesa cattolica e la sua figura
è ammirata e venerata anche dalle confessioni luterane. Scopriamo in
lei modelli universali di carità, di fraternità e di condivisione che
possono orientare nel settore dell’impegno sociale coloro che si
dedicano a spargere il seme della consolazione in mezzo all’umanità
sofferente.
Nella sua vita si incrociano atteggiamenti che rispecchiano
letteralmente il Vangelo di Gesù Cristo. Elisabetta accettò con
decisione intrepida e provocatoria i postulati proposti da Gesù sulla
signoria di Dio Padre, sulle esigenze di spogliarsi di tutto per farsi
piccoli, bambini per entrare nel regno del Padre. Lei dimenticò se
stessa per dedicarsi ai bisognosi: scoprì la presenza di Gesù nei poveri,
nei derelitti della società, negli affamati e nei malati (Mt, 25). Profuse
tutto l’impegno della sua vita nel vivere la misericordia del Dio-Amore
e nel testimoniarla in mezzo a quelli che non conoscevano quella degli
uomini.

Elisabetta, penitente francescana

4.1. Elisabetta d’Ungheria è la figura femminile che più genuinamente incarna lo spirito penitenziale di Francesco d’Assisi. Si è discusso se fu
o no terziaria francescana. Dobbiamo puntualizzare che negli anni di
Elisabetta non esisteva nella Chiesa una categoria ufficiale di religiose
penitenti francescane di vita comunitaria. Forse per questo o perché
non si tiene conto di ciò che era veramente l’ordine medievale della
penitenza promosso da Francesco, ci sono degli storici che, senza
fondamento, negano globalmente la sua appartenenza alla famiglia
francescana. Ignorano anche che Elisabetta fu una pioniera nella
creazione di uno stile di vita comunitaria e penitente dedicata alle opere
di misericordia, che dopo i secoli ha costituito uno de pilastri del
carisma terziario francescano. Sappiamo però con certezza che nei
tempi della morte e canonizzazione di Elisabetta c’erano in molti paesi
d’Europa penitenti guidati dai frati minori e da altri sacerdoti.

4.2. Un primo tentativo dei frati minori di penetrare in Germania nel
1219 fallì per mancanza di preparazione. Pochi anni dopo, nel
settembre di 1221, venticinque di loro intrapresero di nuovo la
missione in forma più pianificata sotto la guida di un fratello tedesco,
Cesario da Spira. Nel 1225, le fondazioni francescane in territorio
tedesco erano già 18. Non si trattava di grandi chiese con conventi, ma
umili centri familiari di predicazione. In quell’anno arrivarono anche a
Eisenach, la capitale della Turingia, nel cui castello di Wartburg
risiedeva la corte del gran ducato, presieduta da Lodovico ed
Elisabetta.
Giordano da Giano, che guidò questa spedizione, nella sua
cronaca delle fondazioni (1262) dice che entrò nell’Ordine «un laico
chiamato Ruggero il quale dopo diventò maestro di vita spirituale di
Santa Elisabetta, insegnandole a custodire la castità, l’umiltà e la
pazienza, a vegliare in orazione e a dedicarsi assiduamente alle opere di
misericordia» (FF 2352). Se Giordano ci dice che Ruggero era un laico
quando fu ammesso, non significa che dopo non fosse ordinato
sacerdote e diventasse anche confessore di Elisabetta. Lo stesso
Giordano entrò da laico e fu ordinato sacerdote nel 1223.
La predicazione dei frati minori tra il popolo consisteva
nell’esortare i fedeli a fare vita di penitenza, cioè, l’abbandono della vita
mondana, la pratica della preghiera, della mortificazione e l’esercizio
delle opere di misericordia. Tale fu l’insegnamento di Ruggero a
Elisabetta, quello che aveva imparato da Francesco, che penetrò nella
sua anima predisposta già per i valori dello spirito; questo viene
confermato da Giordano. Nel 1225 lei aveva 18 anni ed era sposata.

4.3. Le fonti francescane ci raccontano come Francesco optò per lo
stato di vita penitenziale, che consisteva in una esperienza intensa e
radicale di fede. Lo stato penitenziale si assumeva con un proposito o
rinuncia formale al mondo, come fece lo stesso Francesco che rifiutò
di diventare monaco. L’altro gesto significativo era l’adozione di un
abito penitenziale. Francesco scelse di seguire decisamente nella
povertà Gesù, il quale, essendo Dio, non ha voluto fare ostentazione
della sua condizione divina, ma si fece povero e si abbassò facendosi
uno di tanti (Fil 2, 6-7). Francesco dimostrò che la santità poteva fiorire
in mezzo al popolo se si fossero abbandonati gli interessi mondani.
Fece capire chiaramente che la santità non era patrimonio dei monaci,
né di eremiti. La prima regola dei penitenti, il Memoriale propositi, fu
approvata nel 1221, l’anno delle nozze di Elisabetta.
Essa visse profondamente l’incarnazione di Dio nell’umanità di
Gesù Cristo. Scese dal trono, si identificò con i diseredati della società
diventando una di loro. Già prima aveva dimostrato che anche nei
palazzi e nei castelli si poteva vivere la fede in Cristo, sottomessa alla
signoria di Dio Padre; ma dopo lo fece nell’abbandono e nella povertà,
nella gioia e nella sofferenza.

4.4. Tutta una serie di testimonianze convergenti ci parla del suo
essere francescana. Voler negare ciò equivarrebbe a violentare i testi, i
riferimenti alla sua vita, e ignorare l’istituzione penitenziale promossa
da San Francesco. I frati minori la educarono alla vita penitenziale e da
essi Elisabetta conobbe la personalità di Francesco. Se i Francescani
non la guidarono verso la penitenza, verso dove l’avrebbero orientata?
Quelli che hanno voluto vedere in lei una “semi-religiosa” vicina
all’ordine cistercense non hanno nessuna prova.
Le testimonianze sul suo vivere francescano sono molto evidenti
e innegabili nelle prime fonti. Non potremmo capire Elisabetta senza
questo aspetto fondamentale. Accenniamo ad alcuni riferimenti tra i
più espliciti:
— Fra Ruggero diventò la sua guida spirituale quando i
Francescani si stabilirono a Eisenach.
— Corrado, il sacerdote che, dopo l’incontro con frate Ruggero,
fu il suo direttore spirituale e confessore, in una sua lettera al papa,
chiamata anche Summa vitae, testimoniò che Elisabetta diede ai frati
francescani una cappella in Eisenach.
— Elisabetta filava la lana per gli abiti dei frati minori e per i
poveri. Ci possiamo domandare se questo atteggiamento era
conseguenza degli insegnamenti di Francesco che, nel suo testamento,
esortava i suoi fratelli a vivere del lavoro manuale, oppure, in caso di
necessità, ricorrere alla mendicità.
— Quando fu scacciata dal suo castello, sola e abbandonata, se
ne andò dai Francescani per far cantare un Te Deum di ringraziamento a
Dio.
— Il maestro Corrado dichiarò che un Venerdì Santo, il 24 di
marzo 1228, fece la professione pubblica nella cappella francescana. A
questo atto solenne erano presenti i frati, i parenti (le ancelle) e i suoi
figli. Davanti a tutti e per propria volontà, mise le mani sopra l’altare
spogliato, rinunciò alle vanità del mondo. Assunse anche l’abito grigio
dei penitenti come segno esterno. Tale era il colore che vestivano i frati
e i penitenti in quel tempo.
— Le quattro ancelle, che furono interrogate nel processo di
canonizzazione, presero anche lo stesso abito grigio. Corrado allude a
questa “tunica vile” con la quale Elisabetta volle essere sepolta. Per lei
questa tonaca costituiva un segno di capitale importanza: esprimeva la
professione religiosa che le aveva conferito una nuova identità.
— L’ospedale che fondò a Marburgo (1229), lo dedicò a San
Francesco, canonizzato nove mesi prima.
— Un autore anonimo cistercense (1236) afferma che, Elisabetta
«vestì l’abito grigio dei frati minori». Il colore grigio dei Francescani
deve essere inteso in senso molto generico, con un’ampia gamma di
toni che si possono ottenere con la mescolanza di lana naturale bianca
e nera. In questo senso parlano le referenze storiche di quel tempo.
Quelli che sostengono che Elisabetta fu di spiritualità cistercense non
hanno tenuto conto di questa testimonianza.
— L’impegno dimostrato da Elisabetta per vivere la povertà, fare
donazione di tutto e dedicarsi alla mendicità, non sono prerogative che
Francesco chiedeva ai suoi seguaci?

Fr. Ilija Živkovic, TOR
Ministro Generale
Encarnación Del Pozo, OSF
Ministro Generale
Sr. Anisia Schneider, OSF
Presidente CFI – TOR

Dal web www.ifc-tor.org dove si può leggere in integrale tutta la Lettera


Per approfondire

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